Questo post prende spunto da
una discussione nata sul
blog di Maurice, riguardo all'utilizzo, per bere, dell'acqua venduta
nella grande distribuzione, tipicamente nelle bottiglie di plastica o vetro
piuttosto che l'"acqua del sindaco" (cioè quella proveniente dall'acquedotto),
che viene dichiarata potabile, e spesso più pura di quella in bottiglia.
Noi, in casa, facciamo uso di acqua nelle bottiglie di vetro con vuoto a
rendere. Il tentativo è di limitare all'osso lo spreco di plastica, combattendo
non solo la dispersione di questo materiale inquinante, ma anche il danno
ambientale, di entità minore ma pur sempre non irrilevante, proveniente dai
processi di riciclo.
Ma anche le bottiglie di vetro con vuoto a rendere causano inquinamento
inutile, perché questo sistema comporta alcuni sprechi, ad esempio il
detergente per lavare la bottiglia, il tappo di plastica per chiuderla (notare
che la quantità di materiale contenuto in un tappo è maggiore di quella nella
bottiglia di plastica), l'etichetta di carta e la colla per appiccicargliela
sopra, l'energia elettrica per le macchine imbottigliatrici, il carburante per
il trasporto alla grande distribuzione, il carburante per il trasporto a casa,
e poi tutto il tragitto all'indietro del vuoto, fino a tornare a chiudere il
ciclo.
Però, l'"acqua del sindaco" del nostro comune, anche ammesso che sia
batteriologicamente pura, fa decisamente schifo. Sa di cloro ed è molto
calcarea. Per quest'ultimo problema ci sono efficaci filtri in commercio, ma
contro il cloro non esiste alcuna soluzione semplice, che io sappia.
In quella discussione, Maurice stesso scrive:
Credo che sia necessario anche mettersi d’accordo sullo sviluppo sostenibile,
come sostengono alcuni ecologisti fra i quali vorrei collocarmi.
Una semplice bottiglietta d’acqua inquina il pianeta, ma dà anche lavoro (e
quindi produce ricchezza) a chi deve produrre la bottiglia ed il tappo, a chi
la imbottiglia, a chi la trasporta, eccetera.
Leggiamo spesso cifre precisissime sull’inquinamento - ricordo a memoria che
una bistecca inquina quanto un’auto che corre per 50 km - ma non ho mai letto
quanto valore produce la bistecca in termini di lavoro e di ricchezza.
Credo che si possa vivere con agiatezza rispettando la natura e l’ambiente,
senza con questo ritornare alle società primitive. Ammesso che esse
rispettassero l’ambiente, come non hanno fatto i pellerossa distruggendo le
foreste delle grandi praterie per permettere la sopravvivenza delle mandrie di
bisonti e di loro stessi.
Io penso che sia un errore giustificare il consumismo con la scusa che si
tratti di un sistema che consente una redistribuzione equa della ricchezza.
Tanto per cominciare perché non appare affatto equa.
Ma soprattutto, la falla del capitalismo consumista è proprio intrinseca nel
meccanismo secondo cui la quantità di beni (e servizi) commercializzati deve
sempre crescere, e quindi anche l'inutile deve essere comunque venduto (e
comprato).
Da un lato è vero che la commercializzazione di una bottiglietta di acqua
fornisce ricchezza a chi fa parte della sua catena di produzione/distribuzione.
Ma prendiamo ad esempio l'autotrasportatore che la trasporta sul suo camion,
che chiameremo Mario. A conti fatti, quant'è la ricchezza che Mario ricava dal
trasporto di una bottiglietta? Sicuramente meno del costo al dettaglio di
quella bottiglietta. A Mario, indefesso lavoratore, verrà pure sete, prima o
poi, no? E come si disseterà? Berrà dal rubinetto l'"acqua del sindaco"? No!
Applicando diligentemente la logica del consumismo andrà al supermercato a
comprare una bottiglietta d'acqua simile a quelle che ha trasportato (spendendo
di più di quanto ha guadagnato per ognuna di esse).
Ora, è pur vero che il nostro Mario di bottigliette non ne trasporta una sola,
ma un camion intero, e non verrò certo a raccontare che la fatica necessaria
per quel trasporto gli procura una sete tale da scolarsi l'intero carico. Ma è
anche vero che Mario avrà esigenza di acquistare anche altri prodotti, i quali
tendenzialmente avranno subito analoghi passaggi commerciali. Se Mario acquista
una mela perché ha fame, vuol dire che c'è un altro autotrasportatore che ha
trasportato le mele. E quest'altro autotrasportatore avrà magari necessità di
dissetarsi con l'acqua di Mario, oltre che sfamarsi con le proprie mele.
Insomma, applicando questo meccanismo a tutto il sistema chiuso, la società
consumerà esattamente l'intera quantità dei prodotti che vengono
commercializzati, spendendo esattamente la quantità data dalla somma del denaro
che ogni singolo individuo ha guadagnato come frutto del proprio lavoro. In
questo sistema, quindi, non è stata creata alcuna ricchezza. Al più è stata
redistribuita in quantità minori o maggiori a seconda di quanto abbia lavorato
ciascun individuo. Siccome la quantità di ricchezza nel sistema chiuso non è
infinita, se la ricchezza è proporzionale al lavoro, quando un individuo lavora
di più, gli altri individui sono costretti a lavorare di meno. E questo
meccanismo genera disparità sociale, cioè l'esatto opposto di ciò che il
sistema si ripropone.
Si potrebbe obiettare che invece di spendere l'intera quantità di soldi
guadagnati, sarebbe più prudente risparmiarne un po'. Cioè, che Mario decida di
non acquistare la mela, se non ha troppa fame, ma di metterne da parte i soldi.
Così facendo, però, quella mela rimarrebbe invenduta, e la ricchezza destinata
a chi ha lavorato per produrla non sarebbe disponibile. In buona sostanza se
aumentassero i risparmi, nel nostro sistema chiuso diminuirebbero i consumi di
pari passo, e quindi diminuirebbero anche i soldi da redistribuire.
In altre parole, nel nostro sistema chiuso, se si evitasse di comprare il
superfluo, è vero che si avrebbe una riduzione di ricchezza circolante, ma è
anche vero che tale riduzione sarebbe esattamente equivalente al valore del
bene superfluo invenduto.
Per tornare al nostro esempio, se tutti noi utilizzassimo l'"acqua del sindaco"
è vero che, come dice Maurice, diminuirebbe la ricchezza che si sarebbe
distribuita nella catena commerciale dell'acqua in bottiglia, ma è anche vero
che globalmente quella ricchezza perduta equivarrebbe esattamente al risparmio
che avremmo per non aver acquistato l'acqua in bottiglia stessa.
E allora, dov'è il vantaggio sociale nell'acquisto dell'acqua in bottiglia?
Una considerazione è necessaria sul fatto che, in questa analisi, ho
considerato un "sistema chiuso", il che, apparentemente, non si applica
perfettamente alla realtà. Nel mondo capitalista occidentale (e anche nella
quasi totalità del resto del mondo), i sistemi economici non sono chiusi, nel
senso che si basano sostanzialmente sull'esportazione (e sull'importazione).
L'affermazione che lavorando di più si guadagna di più a scapito di altri che,
lavorando di meno guadagnano di meno, in un contesto di sistema non chiuso è
falsa, poiché l'eventuale eccedenza di prodotto non andrebbe perduta ma
esportata. Ma questo assunto presuppone che vi sia altrove un altro sistema non
chiuso (un Paese importatore) che acquista l'eccedenza.
Questo però comporterebbe che il Paese importatore non ha necessità di prodrre
il bene importato, e quindi non ha la possibilità di impiegare lavoratori in
quel ciclo produttivo, e di produrne la relativa ricchezza necessaria per
acquistare quel prodotto. E questo mi pare un aspetto poco etico del sistema,
visto che comporta l'aumento del debito pubblico, e quindi della dipendenza
politica, del Paese importatore, aumentando il divario sociale tra Paesi ricchi
e Paesi poveri.
Considerando invece l'economia globale del mondo, che è per forza un sistema
chiuso, visto che non è possibile esportare al di fuori del pianeta (e pare che
non lo sarà ancora per molto tempo), nessuna ricchezza può essere creata, se
per ricchezza si intende la capacità di acquisto. La ricchezza è pari alla
somma di tutti i beni prodotti globalmente, e quindi è chiaro che quella
derivante dalla produzione di un bene inutile è essa stessa inutile perché
consente solo l'acquisto di un bene inutile.
La vera ricchezza dovrebbe essere calcolata non in base al potere d'acquisto,
ma in base al possesso di beni utili per migliorare la propria vita. Ad
esempio, l'invenzione, la produzione e la distribuzione dei telefonini
cellulari non ha affatto creato ricchezza nel senso di capacità di acquisto
degli individui. Semplificando, la ricchezza data dai salari dei lavoratori che
hanno contribuito nell'invenzione/produzione/distribuzione dei telefonini è
pari alla ricchezza sborsata dai consumatori di quel prodotto... alla fine,
cioè, le persone che lavorano, percepiscono un salario che poi serve loro per
acquistare i beni che producono. La vera ricchezza fornita dal progresso invece
è la possibilità di usufruire di quei beni utili. Se non ci fossero stati i
telefonini noi non avremmo potuto mandarci tutti quegli SMS per comunicarci
quei messaggi romantici tipo "TVTTTTTB".
Ammettendo che l'acqua in bottiglia ha la stessa qualità dell'"acqua del
sindaco" (cosa palesemente falsa nel caso del mio comune), l'acquisto
dell'acqua in bottiglia è assolutamente inutile dal punto di vista economico e
solamente un danno da quello ecologico.
Io però non sono un economista. Dove stà l'errore del mio ragionamento?