martedì 30 settembre 2008

Strada Régia


Vista del lago
Ecco un altro sentiero che abbiamo percorso qualche tempo fa.
Da un lato mi è piaciuto molto, perché è immerso nel bosco e offre qua e là numerosi suggestivi scorci sul Lago di Como (della parte più bella, per giunta!).
D'altra parte non mi piace il fatto che sia molto frequentato. Non abbiamo trovato tantissima gente, ma è chiaro che il percorso, anche data la facilità, sia molto popolare.
Già qualche mese prima avevamo tentato di affrontare lo stesso sentiero, ma, a causa di un dolore alla schiena, avevamo abbandonato.

Alla fermata della funicolare di Como ci si arriva, volendo, agevolmente in treno. Noi siamo andati in auto. Il consiglio è di lasciarla nel parcheggio vicino al "Fontanone", a pagamento ma decisamente più economico degli altri parcheggi della zona (con pochi euro si può lasciare l'auto tutto il giorno).
C'è un divieto, nel territorio di Brunate, per il transito dei SUV, ma sconsiglierei di andarci anche con auto di piccole dimensioni. A parte le strade strette, il problema è quello del parcheggio.
La funicolare è costituita da due vagoni che partono contemporaneamente, uno da Brunate e l'altro da Como, allo scoccare dell'ora e della mezza. Il percorso è per entrambi i vagoni su un solo binario, che si sdoppia a metà del tragitto, consentendo l'incrocio dei due.

Pietra Pendula
Arrivati a Brunate si prosegue a piedi sulla strada che, dai gradini della stazione, va verso destra. In poche centinaia di metri si arriva, dopo una svolta a sinistra ben indicata, al campo sportivo e finalmente, dopo averlo costeggiato, si imbocca un sentiero denominato "Strada Regia".
Il sentiero è ben tenuto dai volontari della proloco e non presenta particolari difficoltà. È quasi totalmente in discesa o pianeggiante, e comunque le salite sono sempre abbastanza dolci, ma è molto lungo. Sulla sinistra del percorso, da Brunate fino a Montepiatto, si può godere di numerose viste sul lago.
Più o meno a metà del percorso si raggiunge una chiesina, dove alcune panche offrono una ottima occasione per una sosta.
Giunti a Montepiatto si seguono le indicazioni per la Chiesa, il cui piazzale sembra un balcone, a centinaia di metri sul lago. Aggirata la piazza si può andare a visitare pa Pietra Pendula, una stranissima formazione rocciosa che sembra sfidare ogni legge di gravità.
Da Montepiatto comincia la discesa, piuttosto ripida (e perciò faticosa) anche se su un sentiero ben sistemato a gradini. Si raggiunge quindi la città di Torno, da dove si può tornare a Como con l'autobus o con il battello. Abbiamo preferito questa seconda possibilità, decisamente più suggestiva. Il battello ferma ogni circa mezz'ora (l'orario può essere liberamente preso alla stazione della funicolare) e, da Torno, dopo un paio di fermate, si raggiunge l'imbarcadero di Como, non distante dal punto di partenza.

Altre informazioni su questa escursione sul blog di R.
  • Tempo impiegato: 4:11 (esclusa la parte in battello).
  • Dislivello (tra Brunate e il lago): 581m (il lago e' ad una altitudine di 143m s.l.m.)
  • Distanza percorsa: 28.3km (escluso il tratto in battello).
Traccia GPS:
in verde il tratto sulla funicolare, in rosso la scarpinata a piedi, in giallo la navigazione in battello.
A: Stazione funicolare di Como; B: Stazione funicolare di Brunate; C: Inizio del sentiero "Strada Regia"; D: Chiesina; E: Chiesa di Montepiatto; F: Pietra Pendula; G: Inizio dell'ultimo tratto in ripida discesa; H: Imbarcadero di Torno; I: Imbarcadero di Como

martedì 16 settembre 2008

Ibridi? No, grazie!


Ecco alcune delle nostre piantine di pomodoro in giardino
Quest'anno, in primavera, abbiamo piantato qualche ortaggio. Piu' che altro è mia moglie che si occupa della cura delle piantine, ma entrambi ci abbiamo messo entusiasmo e finalmente, dopo un ampio successo con le zucchine, in questo periodo cominciamo a raccogliere gli amati pomodori, forse un po' tardivi, con il clima montano che ci ritroviamo. Ne siamo particolarmente orgogliosi.
Il sapore è decisamente molto migliore della verdura acquistata, perche' i frutti giungono a maturazione ancora sulle piante. Se solo si potesse infilare un pomodoro nel doppino telefonico ve li farei assaggiare.

Ci abbiamo messo impegno, ed abbiamo visto i frutti generarsi a partire dai semi, seguendo tutte le fasi della crescita.
Ma non è solo per questo che mi piace l'idea. Mi pare che questo tipo di risultato dimostri che, almeno in parte, si puo' uscire dalla logica del consumo che ingrassa la nostra societa' a scapito dei paesi poveri.
L'autoproduzione della verdura riduce al minimo gli sprechi della commercializzazione, soprattutto a regime di sussistenza (che noi non abbiamo ancora cominciato a praticare), cioe' con la conservazione dei semi dell'anno precedente da piantare l'anno successivo.

L'esperienza di quest'anno ci ha intrigato al punto che abbiamo gia' cominciato a fare compere per le sementi dell'anno prossimo, e nella ricerca ho scoperto una cosa sconcertante.

Al supermercato tra i pomodori piu' gustosi ci sono i "Mini San Marzano". Abbiamo quindi cercato informazioni riguardo le sementi di questa varieta', e abbiamo scoperto che si tratta di ibridi.
Anche per altre sementi trovate nei vivai abbiamo notato sulle confezioni in bella mostra la dicitura "ibrido F1" stampata nell'angolo della busta.
Da ignorante ho cercato di dare un significato a questo termine, immaginando l'analogo nel mondo animale. Un ibrido è un individuo prodotto dell'incrocio di genitori di razze diverse. Ma in botanica?


Pomodori della varietà "Rouge d'Iraq"
Cercando su internet mi si è aperto un mondo totalmente sconosciuto.
Un ibrido (in particolare del pomodoro, ma il discorso vale anche per numerosissimi altri vegetali che costituiscono la base dell'alimentazione di interi continenti, come il mais) è una pianta generata da un seme ottenuto da un frutto prodotto da una particolare tecnica di impollinazione artificiale.

Il primo passo consiste nella replica in fecondazione autotrofa di piante, per sei-dieci generazioni. Poiche' i pomodori sono ermafroditi (cioe' ogni fiore contiene sia l'elemento maschile che quello femminile), è possibile che si autofecondino (fecondazione autotrofa).
Questo tipo di fecondazione ottiene delle piante figlie piu' deboli di quelle genitrici, poiche' (se ho capito bene) si replicano anche i geni recessivi. In genetica, tra due alternative, tende a vincere il gene dominante (piu' forte) il quale solitamente porta le caratteristiche migliori, ad esempio il vigore della pianta (un gene dominante portatore di una caratteristica perdente si sarebbe infatti estinto nella storia per selezione naturale). In una fecondazione autotrofa, invece, il patrimonio genetico dello stilo (parte femminile del fiore) è identico a quello del polline (parte maschile), e quindi anche i geni recessivi si replicano indisturbati.
Una volta ottenute piante si' deboli, ma pure, si incrociano con impollinazione artificiale degli stili di una linea genetica con il polline di un'altra (l'impollinazione artificiale e' necessaria per evitare che i fiori si autofecondino di nuovo). Questo meccanismo produce piante molto piu' vigorose e fruttifere delle antenate da cui si è partiti. I semi prodotti dai frutti di queste piante vengono etichettati come "Ibridi F1" (cioe' di prima generazione). Di conseguenza, acquistando sementi di varieta' "ibride F1" si ha una aspettativa di produzione migliore, il che, se è gia' stimolante per l'orto di famiglia, è fondamentale per gli agricoltori.


Pomodori della varietà "Cherokee purple"
Il problema degli ibridi cosi' ottenuti è che in genere i frutti che producono contengono semi con un patrimonio genetico piu' povero, e le generazioni successive tendono quindi ad indebolirsi progressivamente. Tanto da rendere sconveniente l'utilizzo dei semi dell'annata precedente per produrre le piantine dell'annata successiva.
La conseguenza di tutto questo è che gli agricoltori debbono acquistare tutti gli anni le sementi per le loro piantagioni. E chi ne trae profitto sono le societa' che producono sementi ibride.
Il loro gioco è quello di trovare varieta' commercialmente valide, spingerle sul mercato e creare domanda, cosi' che gli agricoltori siano costretti a riconvertirsi ad esse e quindi ad acquistare i semi anno dopo anno.
Poche multinazionali, dai nomi gia' sentiti nella produzione di organismi geneticamente modificati (Monsanto, Pioneer...) controllano anche il mercato di queste sementi, e quindi stanno progressivamente diventando proprietarie, in questo modo, dell'intero mercato agroalimentare, manipolando l'economia delle popolazioni agricole che fin'ora hanno campato di sussistenza.

Impossibile pensare che gli agricoltori si adeguino a produrre i propri semi mediante ibridazione, perche', oltre che richiedere esperienza particolare, questa tecnica necessita di un grande sforzo in manodopera. Piu' semplice, per loro, approvigionarsi presso queste multinazionali che risolvono brillantemente il problema sfruttando la forza lavoro a buon mercato dei paesi poveri.

Io sono piuttosto ignorante in materia, e fino a qualche giorno fa non sapevo nemmeno dell'esistenza di sementi ibride. Mi chiedo se esiste un movimento di opposizione a queste tecniche simile a quanto sta avvenendo per gli OGM. Mi chiedo se esiste una regolamentazione in Italia (dubito che esista in paesi come gli Stati Uniti dove non ne esiste una nemmeno per gli OGM) che imponga almeno l'etichettatura di sementi ottenute mediante queste tecniche.
Mi chiedo infine come sia possibile fare consumo critico quando si acquista verdura nella grande distribuzione: per quanto ne so nemmeno l'agricoltura biologica rifiuta questa tecnica.

Riferimenti:

I nostri pomodori, in queste foto, sono non-ibridi - spero...

venerdì 12 settembre 2008

Rifugio Larcher al Cevedale


Cappella degli Alpini a Malga Mare
Sempre restando in tema, ecco un'altra escursione che abbiamo fatto proprio il giorno successivo a quella del Lago della Vacca.
L'intenzione originaria era di fare l'"anello dei laghi", su un percorso che connette al punto di partenza (la Malga Mare), prima di arrivare al rifugio Larcher, i laghi Careser, Nero, Lungo e quello delle Marmotte.

Ancora un po' provati dall'escursione del giorno precedente, però, abbiamo optato per lasciare i laghi alla prossima volta e raggiungere il rifugio Larcher sul tragitto più breve, anche se meno scenografico, per poi fare ritorno sullo stesso.


Rifugio Larcher
La malga Mare (che strano nome per una malga a quasi 2000 metri!) si raggiunge in auto da Cogolo (TN). Dopo qualche chilometro la strada si fa strettissima e si comincia a sperare di non incontrare nessuno in direzione opposta.
Ad un certo punto, per proseguire in macchina occorre pagare un pedaggio (di 2 euro) ai ragazzi del parco dello Stelvio, in prossimità di un parcheggio. Ma non siamo ancora a destinazione: da quel punto c'è ancora una decina di km prima di arrivare alla fine della strada, dove c'è un impianto idroelettrico dell'Enel ed un parcheggio.
Qui, oltre la Malga, c'è anche una cappelletta dedicata agli alpini ed alcuni tavoli da picnic immersi nella pineta sulle rive del ruscello. Alcune vacche sono libere al pascolo.
Si parte con un bivio: a destra il sentiero si dirige al Lago Careser. Noi abbiamo seguito invece il sentiero indicato dal segnavia n. 102 verso il rifugio Larcher.

Rifugio Larcher e ghiacciai del Cevedale
La parte più bella è quella iniziale, dove il sentiero si snoda in tornanti in salita tra prati erbosi, boschetti di abeti e torrenti scroscianti su cui sono sistemati ponticelli di legno. In questo tratto sono anche riuscito a vedere un cervo. In cima alla salita comincia un lungo tratto su un sentiero roccioso che arriva fino a destinazione.
Ad un certo punto, giunti al pian Venezia, c'è un'altra deviazione, che indica il Lago Lungo sul sentiero n. 146. Proseguendo invece dritto si comincia ad intravedere il rifugio su un tratto che sembra interminabile. Più lontano il panorama si apre sulle nevi perenni dei ghiacciai del Cevedale. Sul costone opposto della vallata scendono le rapide del torrente Noce Bianco. Dal rifugio, arroccato in bilico sul precipizio, si può godere di una vista mozzafiato.
Il rifugio, che ha, oltre al ristorante, alcune camere, può essere utilizzato come campo base per numerose altre escursioni.
Dopo una pausa e un panino con lo speck locale abbiamo ripreso la via del ritorno sui nostri stessi passi.
  • Tempo di andata: 2:35
  • Tempo di ritorno: 1:52
  • Distanza percorsa: 13.8km (andata e ritorno)
  • Dislivello: 660m (794m in salita, 134m in discesa)
  • Altitudine: da 1953m a 2614m
Traccia GPS
A: parcheggio alla malga Mare; B: rifugio Larcher; C: Pian Venezia; D: Lago Careser; E: Lago Nero; F: Lago Lungo; G: Lago delle Marmotte

venerdì 5 settembre 2008

Orca vacca, che escursione!


La Vacca, Maddie, Mr. Bentley ed io
(io sono quello con gli occhiali da sole!)
Nel parco dell'Adamello c'è un passo denominato "Passo della Vacca", perché proprio lì c'è una formazione rocciosa la cui forma ricorda decisamente un bovino.
Proprio vicino al passo c'è anche un laghetto artificiale che prende lo stesso nome, accanto al quale, oltre alla diga e agli impianti dell'Enel, c'è anche un edificio del soccorso alpino e il rifugio "Tita Secchi".

Una opzione per arrivare a quel luogo è quella di percorrere il sentiero contrassegnato dal segnavia 19 partendo dalla Malga Cadino (raggiungibile in auto). Abbiamo tentato questa escursione (della quale purtroppo non ho il tracciato GPS) a qualche giorno di distanza dall'escursione descritta nel post precedente. La defezione di Mr. Bentley, stremato, ha costretto anche Maddie e R. a fermarsi ad attendermi prima della salita finale.


Marmotta
Più interessante invece è stata l'alternativa che abbiamo seguito lo scorso weekend (documentata da queste foto e dal tracciato GPS). Si tratta di arrivare in auto al rifugio Bazena e di seguire i segnali per il sentiero n. 1 (ex n. 18, come indicato dalla carta Kompass). Questo percorso, un po' più lungo, ma più pianeggiante, era alla portata anche di Mr. Bentley che è riuscito ad arrivare sano e salvo, anche se stremato, alla meta (come testimonia la foto)
Dal rifugio Bazena si imbocca una comoda carreggiabile per qualche centinaio di metri, poi un bivio consente di deviare dalla strada principale e di proseguire lungo il sentiero naturalistico, vicinissimo alla carreggiabile, ma che si immerge nella boscaglia. Su questo tratto ci sono numerosi cartelli che identificano la flora che vi si può incontrare.

Cornone di Blumone (sulla sinistra)
parzialmente coperto dalle Creste di Laione
(dal passo di Val Fredda)
A circa un terzo del percorso la boscaglia si dirada sul costone roccioso a occidente del Monte Cadino ai bordi della Val Bona, dove forti e costanti fischi simili a canti di uccelli rivelano invece un gran numero di marmotte, che siamo riusciti a spiare con il binocolo.
Si supera quindi il passo di Val Fredda, dove c'è un bivio, e si prosegue sempre lungo il sentiero n. 1. Si comincia qui ad intravedere il Passo della Vacca, anche se la formazione rocciosa ancora risulta nascosta.
A poche decine di metri dal passo, dopo l'ultima curva, si riesce finalmente a distinguere la forma della vacca.
Dopo le foto di rito, proseguendo sul sentiero n. 1 la vista monotona di rocce si apre all'improvviso sull'incantevole laghetto, dove Mr. Bentley e Maddie si sono finalmente rinfrescati. Sulla destra, dopo la diga, si raggiunge finalmente la meta: il rifugio Tita Secchi.

Dopo una meritata pausa al rifugio (da non perdere la fetta di polenta con formaggio fuso!) abbiamo preso la via del ritorno sui nostri stessi passi.

Per raggiungere il rifugio Bazena, da Breno si segue le indicazioni per il Passo Crocedomini. Il rifugio e' sulla strada. Dopo il passo, invece, seguendo per Bagolino, si incontra la Malga Cadino (il punto iniziale dell'altro sentiero).

Lago di Vacca e rifugio Tita Secchi
  • Tempo di andata: 4:05
  • Tempo di ritorno 3:02
  • Distanza percorsa: 23.8km (andata e ritorno)
  • Dislivello: 550m (993m in salita, 443m in discesa)
  • Altitudine: da 1818m a 2368m
Traccia GPS dell'escursione.
A: rifugio Bazena, B: rifugio Tita Secchi, C: passo di Val Fredda, D: passo (e roccia) della Vacca, E: Malga Cadino