Sono due ore che aspetto e chi se ne importa se mi guardano, borbotto a voce bassa
mentre mi cerco in un angolo dello specchio per ravviarmi i capelli e aggiustare
il nodo della cravatta. Ci sono tante cose nello specchio: schiene di materiale
sintetico che sfoggiano giacche di marca, gambe infilate in pantaloni di lino perché
si avvicina l'estate, strane strutture vagamente antropomorfiche per sostenere camicie
oppure maglioni di quelli che si portano con noncuranza sulle spalle, e lì, fra
due paia di mocassini, c'è anche la mia testa, il mio viso un po' nervoso, serio,
speranzoso.
La gente mi osserva, qualcuno sorride, altri danno una gomitata al compagno perché mi guardi e so che non è per via di quel che indosso. Vestito o nudo non passerò inosservato. Ho raccolto dei fiori nel parco qua vicino, niente di straordinario, fiori semplici che erano lì, a portata di mano. Non so nemmeno come si chiamano.
Verrà? Ne dubito, pereché so quant'è difficile vincere una paura che non è paura, una vergogna che non è vergogna, la colpa più innocente. Ne dubito e, per vincere la sfiducia delle ore passate ad aspettare mi accendo una sigaretta. Ora attiro molto di più gli sguardi dei passanti. È sempre così. "Sta fumando", "Sta mangiando", "Sta piangendo". Qualunque cosa faccia, è sempre così.
All'improvviso guardo il mazzo di fiori e scopro che la mia mano, invece di reggerli, li stringe, li strangola con quella violenza minima che basta a sconfiggere i loro fragili colli vegetali. Sorrido pensando che sono appassiti in un lasso di tempo davvero minimo, come le bandiere di un esercito altrettanto minimo e sconfitto, e i loro petali cenciosi mi dicono che è tempo di intraprendere la ritirata.
Getto i fiori nel primo cestino dei rifiuti e mi allontano, seguito dagli sguardi dei passanti e delle loro voci che dicono: hai visto il nano come ha buttato via i fiori? Aveva un appuntamento? Con una nana? Hanno tirato un bidone al nano. Sono strani i nani, e altri commenti sulla cui statura non voglio ne' devo pronunciarmi.
Luis Sepúlveda, La lampada di Aladino.
Tempo fa vidi, alla trasmissione televisiva La Vita in Diretta,
questa intervista a Marco Sessa,
vicepresidente dell'AISAC, Associazione
per l'Informazione e lo Studio dell'Acondroplasia.La gente mi osserva, qualcuno sorride, altri danno una gomitata al compagno perché mi guardi e so che non è per via di quel che indosso. Vestito o nudo non passerò inosservato. Ho raccolto dei fiori nel parco qua vicino, niente di straordinario, fiori semplici che erano lì, a portata di mano. Non so nemmeno come si chiamano.
Verrà? Ne dubito, pereché so quant'è difficile vincere una paura che non è paura, una vergogna che non è vergogna, la colpa più innocente. Ne dubito e, per vincere la sfiducia delle ore passate ad aspettare mi accendo una sigaretta. Ora attiro molto di più gli sguardi dei passanti. È sempre così. "Sta fumando", "Sta mangiando", "Sta piangendo". Qualunque cosa faccia, è sempre così.
All'improvviso guardo il mazzo di fiori e scopro che la mia mano, invece di reggerli, li stringe, li strangola con quella violenza minima che basta a sconfiggere i loro fragili colli vegetali. Sorrido pensando che sono appassiti in un lasso di tempo davvero minimo, come le bandiere di un esercito altrettanto minimo e sconfitto, e i loro petali cenciosi mi dicono che è tempo di intraprendere la ritirata.
Getto i fiori nel primo cestino dei rifiuti e mi allontano, seguito dagli sguardi dei passanti e delle loro voci che dicono: hai visto il nano come ha buttato via i fiori? Aveva un appuntamento? Con una nana? Hanno tirato un bidone al nano. Sono strani i nani, e altri commenti sulla cui statura non voglio ne' devo pronunciarmi.
Luis Sepúlveda, La lampada di Aladino.
Non sono solito seguire quel programma di gossip, ma in quella occasione fui consigliato da una persona a me vicina, mamma di un bimbo acondroplasico, a conoscenza della programmazione, per quel giorno, di quella intervista.
Vi risparmio una ricerca su Wikipedia: l'Acondroplasia è una malattia genetica, una forma di nanismo. Colpisce in particolar modo gli arti, che crescono di meno rispetto al resto del corpo (per gli interessati ecco il link).
Al di là dell'aspetto medico-scientifico e del problema delle barriere architettoniche,
O addirittura l'offesa implicita nei loro confronti quando vengono paragonati con disprezzo a Berlusconi (psico-nano), con un cattivo gusto paragonabile a quello dello stesso Berlusconi nei confronti del colore della pelle di Obama (abbronzato), quasi che la statura fisica fosse in qualche modo uno specchio di quella morale...
Da quel giorno sto cercando di imparare a misurare meglio quella parola.