venerdì 28 ottobre 2011

Deja-vu...?

Quello che colpisce, nonappena uscendo dall'aereo ci si ritrova nell'aeroporto di Lihue, è una forte percezione di deja vu.
Anzi, no. Forse deja vu non è l'espressione corretta in questo caso, perché, si potrebbe obiettare, è evidente che si ha la sensazione di aver già visto (appunto "deja vu") un posto dove si sa di essere già stati (ed io sono già stato diverse volte all'aeroporto di Lihue).
È piuttosto un insieme di stati d'animo che ti prendono dentro, nei polmoni, nello stomaco. Lo noti, ma non ti rendi conto di che cosa sia, esattamente.
Io credo che questa sensazione sia evocata principalmente dall'odore. Cannella e zenzero, ma soprattutto frutta molto matura. Odore dolcissimo e un po' appiccicoso (forse anche per l'elevato tasso di umidità dell'aria). Niente affatto sgradevole, ma molto violento. E anche sentori di torba e sottobosco grasso. L'isola ha un profumo molto diverso dall'odore secco e pungente che si prova dalle mie parti. Sembra quasi di riconoscere qualcosa di ancestrale e primitivo, che appartiene ai geni, ma senza alcun riferimento culturale, in questo senso deja vu. Come il ruggito di un leone, che farebbe spaventare chiunque, anche chi non ne avesse mai sentito il suono.


Baia di Kealia
Anche all'udito si percepisce qualcosa di diverso. Non è il solito riverbero di scalpitio della sabbia tra tacchetti di cuoio e pavimenti in finto marmo, tipico degli aeroporti, con voci artificiali asettiche e metalliche in sottofondo. Qui gli altoparlanti diffondono mielose melodie hawaiiane, gli annunci cominciano sempre con aloha e finiscono con mahalo. Tutto arriva un po' ovattato alle orecchie (sarà forse che ci si ritrova in un ambiente di aria calda e umida dopo l'aria condizionata dell'aereo). Il tutto si acuisce quando poi si esce dall'aeroporto, e lì è costante il rumore della risacca sulle spiagge o delle onde che si schiantano sulle scogliere.

La gente è straordinariamente, quasi irritantemente calma e pacata. Con gli haole (quale io appaio - e sono) sono tutti molto amichevoli. Con i locali (come R) attaccano a parlare in stretto pidgin ricercando - ed in genere trovando - amicizie o parentele comuni.
Le auto si muovono lentamente e il traffic rage non esiste. Lo scorrere degli eventi non è dettato dagli orologi ma dalla disponibilità di tempo di chi ne è coinvolto, tanto che c'è da chiedersi come sia possibile che la società si incastri in ciò che deve invece rispettare un tempo assoluto (ad esempio gli orari dei mezzi pubblici).
Stavolta siamo atterrati di sera, ma a me piace arrivare di giorno, a Kaua'i, perché si offre da subito, dalla highway, alcune vedute commoventi della catena montuosa, dalle forme simili alle Dolomiti, ma di diverse sfumature di verde (ai tropici la vegetazione riesce ad invadere ogni spazio disponibile). Da lontano sembrano quasi surreali, le tinte smussate un po' dall'umidità dell'aria.

La cosa più sorprendentemente buona al gusto è la frutta tropicale. Ho fatto enormi scorpacciate di papaya - chi non è mai stato ai tropici non può capire, la papaya da noi ha al massimo un vago sentore di polistirolo, lì sono invece dolcissime e burrose alla consistenza. Mango, avocado, ananas, star-fruit, banane di ogni dimensione e sapore, noci di cocco, le tipiche macadamia nuts, limoni, lime, pomelos, frutti della passione. A Kaua'i si trovano genuini e saporitissimi ai farm markets (cioè i mercati dove la vendita avviene direttamente dal produttore).
E poi c'è il pesce fresco, che viene venduto anche sotto forma di poke, cioè insalate di bocconcini di pesce crudo insaporite da salse, spezie e alghe, da mangiare con i chopsticks alla cinese.
Il vino è inusuale, ma la birra va a fiumi...
Ma all'argomento libagioni sarà dedicato un post specifico. Del resto il motivo (o la scusa) della nostra vacanza laggiù era proprio la partecipazione al tipico luau, in occasione del family reunion.

mercoledì 26 ottobre 2011

Aloha!

Eccomi di ritorno, dopo una breve vacanza alle Hawai'i. Sto ancora cercando di riassorbire il jetleg di 12 ore.
Cercherò di descrivere la bellissima vacanza con un po' di tempo nei prossimi post, ma intanto cominciamo da ciò che è andato male.

Aeroporto di Milano Linate, Check-in.
Ma lei ce l'ha l'ESTA? mi chiede l'antipatica signorina con l'emblema della British Airways appuntata sulla giacchetta.
E che diavolo è l'ESTA? vi chiederete voi.
E che diavolo è l'ESTA? chiedo io all'antipatica signorina con l'emblema della British Airways appuntata sulla giacchetta.
Si tratta di una specie di visto di ingresso per gli Stati Uniti, da compilare online prima della partenza. Scoprirò più tardi che si tratta delle stesse domande che una volta bisognava compilare su un modulo cartaceo a bordo dell'aereo, tipo "sei un terrorista?", "Stai trasportando del materiale esplosivo?", "Hai mai avuto a che fare con episodi di delinquenza comune?", "hai dei pendenti con la giustizia da scontare?", insomma domande retoriche con risposta negativa (non credo che un criminale o un terrorista si facciano problemi etici sulla sincerità delle risposte).
No, non ce l'ho, l'ESTA.
E allora non può partire.
Panico.
Come si fa, l'ESTA?
Si va all'indirizzo http://esta.cbp.dhs.gov/ e si ficcano dentro tutti 'sti dati. Tempo totale circa un minuto. Dopodiché istantaneamente si è abilitati ad entrare negli USA.
Un gioco da ragazzi.
Sì, a patto di avere un accesso ad Internet, ovviamente, altrimenti dove lo scrivo l'indirizzo http://esta.cbp.dhs.gov/? Su una cartolina?
Ora, direte voi, in un aeroporto trovare una connessione ad internet è un gioco da ragazzi!
A Linate evidentemente no. C'è una postazione Internet a gettone, ma temporaneamente fuori uso. Vedo se c'è un accesso WiFi libero raggiungibile dal mio palmare. Non c'è. Mi chiedo se ai banchetti dei CheckIn abbiano postazioni internet, scarto l'idea: la signorina con l'emblema della British Airways appuntata sulla giacchetta sarà mica così antipatica da non aiutarmi!
Demoralizzato decido di rivolgermi all'altra signorina, quella alla biglietteria della British Airways (questa qui invece molto simpatica!), per spostare il mio volo al giorno successivo. La simpatica signorina a tutta risposta mi chiede se non riesco a connettermi a Internet per fare l'ESTA al momento. Eh, no, purtroppo non riesco a connettermi a Internet, da qui. Neanche al banchetto della biglietteria British hanno una connessione. L'unica sembra davvero essere quella di cambiare data. Seicento euro e un giorno di vacanza buttati.

Va be', il giorno dopo arriviamo in aeroporto e stavolta c'è un signore, al banchetto del check in. Anche lui antipatico e anche lui con l'emblema della British Airways appuntato sulla giacchetta. Guarda i nostri passaporti. Guarda la mail stampata con la prenotazione del volo. Alza lo sguardo verso di me, ma non mi faccio prendere alla sprovvista. Sì, ce l'ho, l'ESTA. Controlla dubitativo sul suo terminale (mmmh... non hanno un accesso internet, ma possono controllare online se ho il maledetto ESTA!). Alla fine non può che ammettere. Appiccica un nastro con un codice a barre sul nostro bagaglio e ci dà le carte d'imbarco. Buon viaggio, sorride. Siamo in vacanza!
Ventisei ore dopo ci ritroviamo all'aeroporto di Lihue. Baggage Claim. Ci sono borse e valige di ogni foggia e colore, ma non una borsa sportiva nera e arancione. Il bagaglio si è perso da qualche parte nel mondo.
Andiamo all'ufficio bagagli, Ci dispiace, il bagaglio ve lo recapitiamo a casa domani. Ti viene da chiederti dove diavolo sia la sicurezza. Cioè, andando negli Stati Uniti bisogna fare almeno un paio di screening al bagaglio a mano e alla persona (togliere scarpe, cinture, orologi e passare in una porta magica) per ogni aeroporto. Bisogna anche fare il re-check del bagaglio (il nostro era già perso a LosAngeles), cioè, anche se il bagaglio è diretto a destinazione ultima, bisogna riconoscerlo e prendersi la responsabilità del contenuto. Ogni tre per due una vocina metallica ripete di non lasciare nessun bagaglio incustodito, pena la distruzione istantanea.
Però finisce che uno sta in un posto e il suo bagaglio in un altro, a decine di migliaia di chilometri di distanza. Alla faccia della sicurezza!

Il bagaglio poi arriverà tre giorni dopo il nostro arrivo (ovviamente ci toccherà andare a WalMart per comprare lo stretto necessario). Ma non ci facciamo rovinare le vacanze da questo. è una calda serata tropicale, l'aria è speziata e umida e risuona di una soffice musica di ukulele.
Aloha!

lunedì 10 ottobre 2011

Quattro


10/10/2007