Il carattere del nostro bassotto Mr. Bentley è un po' scontroso. Tende a considerare alla stregua di acerrimo nemico chiunque (umano o no) non appartenga al branco ma si avvicini ad esso. Per questo abbiamo deciso di iscriverlo ad una scuola di rieducazione caratteriale, in modo che impari a socializzare un po' meglio con gli estranei.
Ieri è stato il primo giorno di scuola, e come tutti i primi giorni di scuola, l'eccitazione era tanta.
La giornata è stata lunghissima e faticosa. Non so se funzionera', ma quanto meno il fatto di dover dividere lo spazio con altri umani e cani estranei puo' essere gia' una buona terapia.
Mentre noi "ragazzi" facevamo lezione, R. e Maddie hanno perso l'intera giornata solo ad aspettarci in un angolino del campo, convinte che prima o poi avrebbero preso parte (che brutto modo per celebrare l'8 marzo!!!).
lunedì 9 marzo 2009
martedì 3 marzo 2009
Il cold frame
Chiunque abbia più di 40 anni, come me, si ricorderà certamente della
popolare serie televisiva
Mac Gyver. Per i più giovani e quelli che hanno scarsa memoria, La7
sta riproponendo quei telefilm dal lunedì al venerdì verso le quattro
del pomeriggio.
Si tratta di una specie di storie di spionaggio, dove il protagonista, non avendo a disposizione i consueti ed improbabili accrocchi supertecnologici alla James Bond, è molto abile nel trovare soluzioni altrettanto improbabili con mezzi di fortuna. E così eccolo ad esempio a costruire una bomba con una bottiglia di gazzosa, una confezione di fertilizzante e un collare per cani, magari controllata tramite un comando a distanza realizzato con uno specchio per il makeup, il fondo di un bicchiere rotto e il tappo della gazzosa di cui sopra. Ovviamente al termine di ogni episodio il nostro eroe riuscirà a sconfiggere, almeno temporaneamente, i malvagi.
R, madrelingua inglese-americana, mi ha fatto morir dal ridere raccontandomi di come l'arte di arrangiarsi di Mac Gyver era così popolare negli States che il nome stesso è diventato, nello slang popolare, un verbo: "to macgyver", con tanto di passato e participio "macgyvered" e forme continuative "macgyvering".
Sostanzialmente significa qualcosa tipo "risolvere un problema con una soluzione ingegnosa e con poca spesa, utilizzando il più possibile ciò che c'è già a disposizione". In particolare definisce il successo nel risolvere i lavoretti di faidaté per la casa. In italiano potremmo tradurre con "mecgaiverare", ma suona davvero male!
La primavera è ormai alle porte (almeno speriamo) e R si è già attivata per far germogliare i primi semi di ortaggi in bicchierini tenuti in casa al calduccio. Le piantine, prima di essere trapiantate nella loro locazione definitiva, il terreno dell'orto, dovranno trascorrere un periodo in vasetti, sul terrazzo, alla luce del sole ma riparate dall'aria, da queste parti ancora fredda. A questo scopo ci serve un cold frame. Non so quale sia l'equivalente espressione italiana per definire questo aggeggio che mi ha descritto R, ma lo conosco, lo utilizzava anche mio nonno.
Si tratta di una specie di scatola senza fondo, di legno la cui parte superiore, inclinata verso il sole, è costituita da una o più finestre trasparenti, che possono essere aperte nei giorni caldi.
Eccomi quindi nei panni di Mac Gyver, a progettare e costruire il cold frame.
Le pareti sono state costruite con leggere perline, di quelle che si utilizzano per decorare i muri. Le ho trovate di seconda scelta, le ho tagliate a misura e le ho montate insieme con un'ossatura di legno un po' piu' massiccio.
Le finestre sono due fogli di plastica trasparente, montati in un telaio di legno, poi applicato alla scatola tramite cerniere.
L'operazione è costata 29.50 euro (15 per i fogli di plastica, 12.50 per le perline, 2 per le cerniere) più un po' di impregnante impermeabile (22 euro la tolla da 2.5 litri, ma ne ho usato solo un po'), con cui ho verniciato il tutto per proteggerlo dalle intemperie. Tutto il resto era materiale di recupero avanzato dalla costruzione del tavolo da lavoro.
Si tratta di una specie di storie di spionaggio, dove il protagonista, non avendo a disposizione i consueti ed improbabili accrocchi supertecnologici alla James Bond, è molto abile nel trovare soluzioni altrettanto improbabili con mezzi di fortuna. E così eccolo ad esempio a costruire una bomba con una bottiglia di gazzosa, una confezione di fertilizzante e un collare per cani, magari controllata tramite un comando a distanza realizzato con uno specchio per il makeup, il fondo di un bicchiere rotto e il tappo della gazzosa di cui sopra. Ovviamente al termine di ogni episodio il nostro eroe riuscirà a sconfiggere, almeno temporaneamente, i malvagi.
R, madrelingua inglese-americana, mi ha fatto morir dal ridere raccontandomi di come l'arte di arrangiarsi di Mac Gyver era così popolare negli States che il nome stesso è diventato, nello slang popolare, un verbo: "to macgyver", con tanto di passato e participio "macgyvered" e forme continuative "macgyvering".
Sostanzialmente significa qualcosa tipo "risolvere un problema con una soluzione ingegnosa e con poca spesa, utilizzando il più possibile ciò che c'è già a disposizione". In particolare definisce il successo nel risolvere i lavoretti di faidaté per la casa. In italiano potremmo tradurre con "mecgaiverare", ma suona davvero male!
La primavera è ormai alle porte (almeno speriamo) e R si è già attivata per far germogliare i primi semi di ortaggi in bicchierini tenuti in casa al calduccio. Le piantine, prima di essere trapiantate nella loro locazione definitiva, il terreno dell'orto, dovranno trascorrere un periodo in vasetti, sul terrazzo, alla luce del sole ma riparate dall'aria, da queste parti ancora fredda. A questo scopo ci serve un cold frame. Non so quale sia l'equivalente espressione italiana per definire questo aggeggio che mi ha descritto R, ma lo conosco, lo utilizzava anche mio nonno.
Si tratta di una specie di scatola senza fondo, di legno la cui parte superiore, inclinata verso il sole, è costituita da una o più finestre trasparenti, che possono essere aperte nei giorni caldi.
Eccomi quindi nei panni di Mac Gyver, a progettare e costruire il cold frame.
Le pareti sono state costruite con leggere perline, di quelle che si utilizzano per decorare i muri. Le ho trovate di seconda scelta, le ho tagliate a misura e le ho montate insieme con un'ossatura di legno un po' piu' massiccio.
Le finestre sono due fogli di plastica trasparente, montati in un telaio di legno, poi applicato alla scatola tramite cerniere.
L'operazione è costata 29.50 euro (15 per i fogli di plastica, 12.50 per le perline, 2 per le cerniere) più un po' di impregnante impermeabile (22 euro la tolla da 2.5 litri, ma ne ho usato solo un po'), con cui ho verniciato il tutto per proteggerlo dalle intemperie. Tutto il resto era materiale di recupero avanzato dalla costruzione del tavolo da lavoro.
...I macgyvered it!
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martedì 24 febbraio 2009
La misura dell'uomo
L'uomo è la misura di tutte le cose (Protagora).
Non sono solito seguire quel programma di gossip, ma in quella occasione fui consigliato da una persona a me vicina, mamma di un bimbo acondroplasico, a conoscenza della programmazione, per quel giorno, di quella intervista.
Vi risparmio una ricerca su Wikipedia: l'Acondroplasia è una malattia genetica, una forma di nanismo. Colpisce in particolar modo gli arti, che crescono di meno rispetto al resto del corpo (per gli interessati ecco il link).
Al di là dell'aspetto medico-scientifico e del problema delle barriere architettoniche,
quello che mi ha colpito nell'intervista è la constatazione
di come io, pur avendo un caso a me vicino, non abbia mai considerato prima l'umiliazione
che coloro che sono affetti da questa sindrome devono subire. Ogni volta vengono
nominati come fenomeni anormali, tanto che il nano e' considerato una attrazione da baraccone,
quella parola e' quasi un insulto. Penso ai circhi, ma anche a opere di qualunque
livello (la favola di Biancaneve, la saga del Signore degli Anelli, la serie TV
Fantasilandia, la canzone il Giudice di De André...).
O addirittura l'offesa implicita nei loro confronti quando vengono paragonati con disprezzo a Berlusconi (psico-nano), con un cattivo gusto paragonabile a quello dello stesso Berlusconi nei confronti del colore della pelle di Obama (abbronzato), quasi che la statura fisica fosse in qualche modo uno specchio di quella morale...
Da quel giorno sto cercando di imparare a misurare meglio quella parola.
Sono due ore che aspetto e chi se ne importa se mi guardano, borbotto a voce bassa
mentre mi cerco in un angolo dello specchio per ravviarmi i capelli e aggiustare
il nodo della cravatta. Ci sono tante cose nello specchio: schiene di materiale
sintetico che sfoggiano giacche di marca, gambe infilate in pantaloni di lino perché
si avvicina l'estate, strane strutture vagamente antropomorfiche per sostenere camicie
oppure maglioni di quelli che si portano con noncuranza sulle spalle, e lì, fra
due paia di mocassini, c'è anche la mia testa, il mio viso un po' nervoso, serio,
speranzoso.
La gente mi osserva, qualcuno sorride, altri danno una gomitata al compagno perché mi guardi e so che non è per via di quel che indosso. Vestito o nudo non passerò inosservato. Ho raccolto dei fiori nel parco qua vicino, niente di straordinario, fiori semplici che erano lì, a portata di mano. Non so nemmeno come si chiamano.
Verrà? Ne dubito, pereché so quant'è difficile vincere una paura che non è paura, una vergogna che non è vergogna, la colpa più innocente. Ne dubito e, per vincere la sfiducia delle ore passate ad aspettare mi accendo una sigaretta. Ora attiro molto di più gli sguardi dei passanti. È sempre così. "Sta fumando", "Sta mangiando", "Sta piangendo". Qualunque cosa faccia, è sempre così.
All'improvviso guardo il mazzo di fiori e scopro che la mia mano, invece di reggerli, li stringe, li strangola con quella violenza minima che basta a sconfiggere i loro fragili colli vegetali. Sorrido pensando che sono appassiti in un lasso di tempo davvero minimo, come le bandiere di un esercito altrettanto minimo e sconfitto, e i loro petali cenciosi mi dicono che è tempo di intraprendere la ritirata.
Getto i fiori nel primo cestino dei rifiuti e mi allontano, seguito dagli sguardi dei passanti e delle loro voci che dicono: hai visto il nano come ha buttato via i fiori? Aveva un appuntamento? Con una nana? Hanno tirato un bidone al nano. Sono strani i nani, e altri commenti sulla cui statura non voglio ne' devo pronunciarmi.
Luis Sepúlveda, La lampada di Aladino.
Tempo fa vidi, alla trasmissione televisiva La Vita in Diretta,
questa intervista a Marco Sessa,
vicepresidente dell'AISAC, Associazione
per l'Informazione e lo Studio dell'Acondroplasia.La gente mi osserva, qualcuno sorride, altri danno una gomitata al compagno perché mi guardi e so che non è per via di quel che indosso. Vestito o nudo non passerò inosservato. Ho raccolto dei fiori nel parco qua vicino, niente di straordinario, fiori semplici che erano lì, a portata di mano. Non so nemmeno come si chiamano.
Verrà? Ne dubito, pereché so quant'è difficile vincere una paura che non è paura, una vergogna che non è vergogna, la colpa più innocente. Ne dubito e, per vincere la sfiducia delle ore passate ad aspettare mi accendo una sigaretta. Ora attiro molto di più gli sguardi dei passanti. È sempre così. "Sta fumando", "Sta mangiando", "Sta piangendo". Qualunque cosa faccia, è sempre così.
All'improvviso guardo il mazzo di fiori e scopro che la mia mano, invece di reggerli, li stringe, li strangola con quella violenza minima che basta a sconfiggere i loro fragili colli vegetali. Sorrido pensando che sono appassiti in un lasso di tempo davvero minimo, come le bandiere di un esercito altrettanto minimo e sconfitto, e i loro petali cenciosi mi dicono che è tempo di intraprendere la ritirata.
Getto i fiori nel primo cestino dei rifiuti e mi allontano, seguito dagli sguardi dei passanti e delle loro voci che dicono: hai visto il nano come ha buttato via i fiori? Aveva un appuntamento? Con una nana? Hanno tirato un bidone al nano. Sono strani i nani, e altri commenti sulla cui statura non voglio ne' devo pronunciarmi.
Luis Sepúlveda, La lampada di Aladino.
Non sono solito seguire quel programma di gossip, ma in quella occasione fui consigliato da una persona a me vicina, mamma di un bimbo acondroplasico, a conoscenza della programmazione, per quel giorno, di quella intervista.
Vi risparmio una ricerca su Wikipedia: l'Acondroplasia è una malattia genetica, una forma di nanismo. Colpisce in particolar modo gli arti, che crescono di meno rispetto al resto del corpo (per gli interessati ecco il link).
Al di là dell'aspetto medico-scientifico e del problema delle barriere architettoniche,
O addirittura l'offesa implicita nei loro confronti quando vengono paragonati con disprezzo a Berlusconi (psico-nano), con un cattivo gusto paragonabile a quello dello stesso Berlusconi nei confronti del colore della pelle di Obama (abbronzato), quasi che la statura fisica fosse in qualche modo uno specchio di quella morale...
Da quel giorno sto cercando di imparare a misurare meglio quella parola.
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lunedì 16 febbraio 2009
M'illumino di meno
Il 13 febbraio è stata la giornata del risparmio energetico, una
iniziativa del programma radiofonico di RadioDue Caterpillar, in occasione
dell'anniversario dell'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto.
Per questo evento, i conduttori del programma invitano a spegnere più luci e dispositivi elettrici possibile, per un'ora e mezza a partire dalle 18:00.
Si è calcolato che il risparmio sia stato di circa 500MW, contro i 400 dell'edizione dell'anno scorso, quindi un successone.
Oltre ai privati cittadini hanno aderito anche parecchie associazioni e luoghi pubblici, come ad esempio il Colosseo e San Pietro. L'iniziativa e' stata esportata anche all'estero.
Anche negli anni scorsi, ho sempre pensato che questa iniziativa pur avendo un grande valore simbolico, agli effetti pratici non cambiasse veramente le cose.
Nell'edizione del 2008 si è valutato che il risparmio energetico di quell'ora e mezza fosse equivalente al consumo dell'intera Umbria per l'equivalente lasso di tempo. Il che sembrerebbe tantissimo, ma, se ci si pensa bene, si conclude che la sola Umbria consuma 400MW di corrente in solo un'ora e mezza, e quindi il risparmio a fronte dell'iniziativa è evidentemente irrisorio.
Senza contare poi che se per esempio si evita di utilizzare il forno a microonde durante quell'ora e mezza, con ogni probabilità si avrà necessità di farlo dopo, utilizzando la stessa quantità di corrente risparmiata prima.
Quest'anno, Maddie, Mr. Bentley, R ed io abbiamo deciso di provarci (per la verità solo R ed io abbiamo autorità in materia). Abbiamo spento le luci, il PC, la tv e gli altri elettrodomestici, standby compresi.
Eccetto il telefono.
E la sveglia.
E il frigo.
"Vado a fare la doccia", dico. Al buio? Decido di portarmi una candela.
Accidenti, il termostato che fa partire la caldaia (a metano) per l'acqua calda è elettrico. Altra eccezione.
Esco dalla doccia. E adesso i capelli come li asciugo? Be', potevo pensarci prima, ora mi tocca usare il fon.
Poi devo prendere la biancheria pulita. Sta nell'armadio. E l'apertura delle ante aziona un interruttore che accende una luce dentro l'armadio. Be'... potrò mica rimanermene in accappatoio fino alle 19.30?!
Esco per prendere un paio di pizze d'asporto. Il cancello del condominio è elettrico. Le luci condominiali sono accese, così come i lampioni per strada e le luci della pizzeria. La pizzeria stessa, pur avendo il forno a legna, credo non funzionerebbe senza elettricità.
Torno a casa con le pizze, stando ben attento a non accendere niente. Mangiamo a lume di candela (il che è anche romantico, degno della vigilia di san valentino). Finalmente sentiamo scoccare le sette e mezza dalle campane della vicina chiesa, azionate elettricamente.
Ci ripenso. Risparmiare elettricità è importantissimo, ma questa esperienza mi ha insegnato che farne a meno del tutto, sia pure per un'ora e mezza, è quasi impossibile.
L'unica è usare fonti pulite.
Per questo evento, i conduttori del programma invitano a spegnere più luci e dispositivi elettrici possibile, per un'ora e mezza a partire dalle 18:00.
Si è calcolato che il risparmio sia stato di circa 500MW, contro i 400 dell'edizione dell'anno scorso, quindi un successone.
Oltre ai privati cittadini hanno aderito anche parecchie associazioni e luoghi pubblici, come ad esempio il Colosseo e San Pietro. L'iniziativa e' stata esportata anche all'estero.
Anche negli anni scorsi, ho sempre pensato che questa iniziativa pur avendo un grande valore simbolico, agli effetti pratici non cambiasse veramente le cose.
Nell'edizione del 2008 si è valutato che il risparmio energetico di quell'ora e mezza fosse equivalente al consumo dell'intera Umbria per l'equivalente lasso di tempo. Il che sembrerebbe tantissimo, ma, se ci si pensa bene, si conclude che la sola Umbria consuma 400MW di corrente in solo un'ora e mezza, e quindi il risparmio a fronte dell'iniziativa è evidentemente irrisorio.
Senza contare poi che se per esempio si evita di utilizzare il forno a microonde durante quell'ora e mezza, con ogni probabilità si avrà necessità di farlo dopo, utilizzando la stessa quantità di corrente risparmiata prima.
Quest'anno, Maddie, Mr. Bentley, R ed io abbiamo deciso di provarci (per la verità solo R ed io abbiamo autorità in materia). Abbiamo spento le luci, il PC, la tv e gli altri elettrodomestici, standby compresi.
Eccetto il telefono.
E la sveglia.
E il frigo.
"Vado a fare la doccia", dico. Al buio? Decido di portarmi una candela.
Accidenti, il termostato che fa partire la caldaia (a metano) per l'acqua calda è elettrico. Altra eccezione.
Esco dalla doccia. E adesso i capelli come li asciugo? Be', potevo pensarci prima, ora mi tocca usare il fon.
Poi devo prendere la biancheria pulita. Sta nell'armadio. E l'apertura delle ante aziona un interruttore che accende una luce dentro l'armadio. Be'... potrò mica rimanermene in accappatoio fino alle 19.30?!
Esco per prendere un paio di pizze d'asporto. Il cancello del condominio è elettrico. Le luci condominiali sono accese, così come i lampioni per strada e le luci della pizzeria. La pizzeria stessa, pur avendo il forno a legna, credo non funzionerebbe senza elettricità.
Torno a casa con le pizze, stando ben attento a non accendere niente. Mangiamo a lume di candela (il che è anche romantico, degno della vigilia di san valentino). Finalmente sentiamo scoccare le sette e mezza dalle campane della vicina chiesa, azionate elettricamente.
Ci ripenso. Risparmiare elettricità è importantissimo, ma questa esperienza mi ha insegnato che farne a meno del tutto, sia pure per un'ora e mezza, è quasi impossibile.
L'unica è usare fonti pulite.
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giovedì 12 febbraio 2009
Eluana Englaro e la Luce della Verità
Comunque la si pensi, è una tragedia.
17 anni fa una ragazza ventunenne ha un brutto incidente. Poi rimane in coma per 17 anni, fino a l'altro giorno.
E poi muore.
Mette tristezza.
Di quelle tristezze che andrebbero sofferte nell'intimo silenzio delle nostre coscienze.
E qui chiudo l'argomento, per soffrire questa tristezza nell'intimo silenzio della mia coscienza.
Ma c'è un altro aspetto della vicenda.
Una democrazia si basa sulla non assolutezza della verità. O, quanto meno, sull'inconoscibilità della verità assoluta.
Infatti è evidente che se esistesse una verità assoluta conosciuta, anche la morale sarebbe assoluta. E quindi ogni decisione politica, data l'assurdità di una presa di posizione immorale, dovrebbe essere già determinata. Non ci sarebbe bisogno di una scelta. Tantomeno di una scelta popolare.
Se ogni cittadino ammettesse l'esistenza della verità assoluta e riconoscesse almeno una persona fisica come detentore della conoscenza di quella verità, il problema del governo del popolo sarebbe semplicemente risolto attribuendo potere assoluto proprio a quella persona. Si avrebbe quindi un governo che non solo agisce nel rispetto delle esigenze del popolo, ma lo farebbe anche nel modo più moralmente giusto.
Purtroppo (o per fortuna?) la verità assoluta non esiste, o se esiste non la conosciamo. Nemmeno i più integralisti cattolici sono veramente disposti a riconoscere a qualcuno la capacità superumana di conoscerla.
E quindi ci dobbiamo accontentare della Democrazia.
La nostra Costituzione basa i fondamenti della Democrazia sulla divisione netta tra i tre poteri Giudiziario, Legislativo ed Esecutivo. La Magistratura si occupa di quello Giudiziario, il Parlamento di quello Legislativo e il Consiglio dei Ministri di quello Esecutivo. E il Presidente della Repubblica si occupa di mantenere distinti i tre poteri, evitando che le azioni di chi detiene uno dei tre interferiscano con gli altri due.
Ora, a me, personalmente, non piace molto che uno dei tre organi (la Magistratura), che in qualche modo rappresenta la società dei cittadini italiani, sia chiamato a decidere su un caso come quello di Eluana, che dovrebbe invece essere relegato al pudore dell'intimità di coscienza, e che, mi pare non possa essere generalizzato. La questione, poi, riguarda un ambito filosofico e morale, dunque non assoluto. Difficile credere che abbia quindi una esauriente soluzione politica.
Insomma, non mi va molto a genio che la società decida su un argomento che è, e dovrebbe rimanere, individuale.
Ma tant'è. La Magistratura è stata chiamata a decidere sulla richiesta del padre di Eluana di poter staccare la spina. E si è espressa in modo completo, preciso ed inequivocabile.
Si può essere d'accordo o no, ma bisogna ammettere che la sentenza c'è, ed è stata ottenuta correttamente. Ora, un normale cittadino può anche ribellarsi, accettando di subirne poi le conseguenze.
Anche Berlusconi, come normale cittadino, avrebbe la possibilità, e anche, addirittura, l'obbligo morale di manifestare il proprio dissenso, se ritiene la sentenza eticamente sbagliata. E, a mio modo di vedere, se lo ritenesse opportuno, anche di cercare di impedirla illegalmente.
Ma si dà il caso che Berlusconi non sia un normale cittadino. È il Presidente del Consiglio dei Ministri. Il detentore del potere Esecutivo, e il potere Esecutivo non deve in nessun modo interferire con quello Giudiziario. A meno di mettere in discussione i fondamenti stessi della Democrazia. E infatti il garante di questa divisione dei poteri, il Presidente della Repubblica Napolitano, bene ha fatto ad esercitare la propria autorità in modo che ciò non avvenisse (rifiutandosi di firmare il decreto legge). Allo stesso modo anche il Presidente della Camera dei Deputati Fini (potere Legislativo), bene ha fatto a ribadire la propria autorità in Parlamento.
Evidentemente Berlusconi si ritiene una specie di giuda morale. E ritiene che ciò che lui considera giusto sia giusto in assoluto. E perciò crede che sia lecito imporlo. E quindi che chi si rifiuta di accettare questa sua infallibilità morale sia spinto dal Male.
Berlusconi mostra questa aria incredula di fronte a chi osa mettere in discussione la certezza che lui sia nel giusto. Siano maledetti tutti quegli assassini comunisti coglioni che si permettono di non riconoscere la natura semidivina di Berlusconi.
Però io non penso che Berlusconi sia così stupidamente fanatico da credere veramente di essere un illuminato da Dio.
Anzi, penso che sia davvero furbo. Il suo scopo non è realizzare il suo bene morale.
Penso che non si ponga nemmeno il problema. Che si limiti a fare il proprio sporco interesse. E cerchi il modo di avere carta bianca per farlo a briglie sciolte. Poco importa se per fare ciò bisogna calpestare l'epilogo dell'ultimo respiro durato ormai diciassette anni di una donna moribonda. O il pudore del dolore dei suoi genitori. Poco importa se per farlo bisogna pulirsi il culo con il patto sociale, i fondamenti della costituzione, la democrazia.
Berlusconi è un dittatore in potenza. Si tratta soltanto, per lui, di trovare un modo sicuro per ottenere il potere assoluto che ad un vero dittatore compete.
Mi pare che ormai ci siamo proprio vicini.
17 anni fa una ragazza ventunenne ha un brutto incidente. Poi rimane in coma per 17 anni, fino a l'altro giorno.
E poi muore.
Mette tristezza.
Di quelle tristezze che andrebbero sofferte nell'intimo silenzio delle nostre coscienze.
E qui chiudo l'argomento, per soffrire questa tristezza nell'intimo silenzio della mia coscienza.
Ma c'è un altro aspetto della vicenda.
Una democrazia si basa sulla non assolutezza della verità. O, quanto meno, sull'inconoscibilità della verità assoluta.
Infatti è evidente che se esistesse una verità assoluta conosciuta, anche la morale sarebbe assoluta. E quindi ogni decisione politica, data l'assurdità di una presa di posizione immorale, dovrebbe essere già determinata. Non ci sarebbe bisogno di una scelta. Tantomeno di una scelta popolare.
Se ogni cittadino ammettesse l'esistenza della verità assoluta e riconoscesse almeno una persona fisica come detentore della conoscenza di quella verità, il problema del governo del popolo sarebbe semplicemente risolto attribuendo potere assoluto proprio a quella persona. Si avrebbe quindi un governo che non solo agisce nel rispetto delle esigenze del popolo, ma lo farebbe anche nel modo più moralmente giusto.
Purtroppo (o per fortuna?) la verità assoluta non esiste, o se esiste non la conosciamo. Nemmeno i più integralisti cattolici sono veramente disposti a riconoscere a qualcuno la capacità superumana di conoscerla.
E quindi ci dobbiamo accontentare della Democrazia.
La nostra Costituzione basa i fondamenti della Democrazia sulla divisione netta tra i tre poteri Giudiziario, Legislativo ed Esecutivo. La Magistratura si occupa di quello Giudiziario, il Parlamento di quello Legislativo e il Consiglio dei Ministri di quello Esecutivo. E il Presidente della Repubblica si occupa di mantenere distinti i tre poteri, evitando che le azioni di chi detiene uno dei tre interferiscano con gli altri due.
Ora, a me, personalmente, non piace molto che uno dei tre organi (la Magistratura), che in qualche modo rappresenta la società dei cittadini italiani, sia chiamato a decidere su un caso come quello di Eluana, che dovrebbe invece essere relegato al pudore dell'intimità di coscienza, e che, mi pare non possa essere generalizzato. La questione, poi, riguarda un ambito filosofico e morale, dunque non assoluto. Difficile credere che abbia quindi una esauriente soluzione politica.
Insomma, non mi va molto a genio che la società decida su un argomento che è, e dovrebbe rimanere, individuale.
Ma tant'è. La Magistratura è stata chiamata a decidere sulla richiesta del padre di Eluana di poter staccare la spina. E si è espressa in modo completo, preciso ed inequivocabile.
Si può essere d'accordo o no, ma bisogna ammettere che la sentenza c'è, ed è stata ottenuta correttamente. Ora, un normale cittadino può anche ribellarsi, accettando di subirne poi le conseguenze.
Anche Berlusconi, come normale cittadino, avrebbe la possibilità, e anche, addirittura, l'obbligo morale di manifestare il proprio dissenso, se ritiene la sentenza eticamente sbagliata. E, a mio modo di vedere, se lo ritenesse opportuno, anche di cercare di impedirla illegalmente.
Ma si dà il caso che Berlusconi non sia un normale cittadino. È il Presidente del Consiglio dei Ministri. Il detentore del potere Esecutivo, e il potere Esecutivo non deve in nessun modo interferire con quello Giudiziario. A meno di mettere in discussione i fondamenti stessi della Democrazia. E infatti il garante di questa divisione dei poteri, il Presidente della Repubblica Napolitano, bene ha fatto ad esercitare la propria autorità in modo che ciò non avvenisse (rifiutandosi di firmare il decreto legge). Allo stesso modo anche il Presidente della Camera dei Deputati Fini (potere Legislativo), bene ha fatto a ribadire la propria autorità in Parlamento.
Evidentemente Berlusconi si ritiene una specie di giuda morale. E ritiene che ciò che lui considera giusto sia giusto in assoluto. E perciò crede che sia lecito imporlo. E quindi che chi si rifiuta di accettare questa sua infallibilità morale sia spinto dal Male.
Berlusconi mostra questa aria incredula di fronte a chi osa mettere in discussione la certezza che lui sia nel giusto. Siano maledetti tutti quegli assassini comunisti coglioni che si permettono di non riconoscere la natura semidivina di Berlusconi.
Però io non penso che Berlusconi sia così stupidamente fanatico da credere veramente di essere un illuminato da Dio.
Anzi, penso che sia davvero furbo. Il suo scopo non è realizzare il suo bene morale.
Penso che non si ponga nemmeno il problema. Che si limiti a fare il proprio sporco interesse. E cerchi il modo di avere carta bianca per farlo a briglie sciolte. Poco importa se per fare ciò bisogna calpestare l'epilogo dell'ultimo respiro durato ormai diciassette anni di una donna moribonda. O il pudore del dolore dei suoi genitori. Poco importa se per farlo bisogna pulirsi il culo con il patto sociale, i fondamenti della costituzione, la democrazia.
Berlusconi è un dittatore in potenza. Si tratta soltanto, per lui, di trovare un modo sicuro per ottenere il potere assoluto che ad un vero dittatore compete.
Mi pare che ormai ci siamo proprio vicini.
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venerdì 6 febbraio 2009
Une gourmandise
Un cuoco per essere pienamente tale deve mobilitare tutti e cinque i sensi. Una
pietanza deve essere una gioia per la vista, per l'olfatto, per il gusto,
certo, ma anche per il tatto, che così spesso orienta le scelte dello chef e
ha il suo ruolo nella festa gastronomica. L'udito non sembra avere molta voce
in capitolo, ma è pur vero che l'atto del mangiare non è caratterizzato né
dal silenzio né dal baccano, perché ogni suono che interferisce con la
degustazione la favorisce o la ostacola: in questo modo il pasto si rivela
decisamente sinestetico.
Il pomodoro crudo, divorato appena colto in giardino, è la cornucopia delle sensazioni semplici, una cascata che sciama in bocca riunendo ogni piacere. La resistenza della buccia tesa quel poco quanto basta, i tessuti che si sciolgono in bocca, il liquore ricco di semi che ci cola agli angoli delle labbra e che asciughiamo senza paura di sporcarci le dita, quella piccola sfera carnosa che riversa in noi fiumi di natura: ecco il pomodoro, ecco l'avventura.
Il vero sashimi è croccante, eppure si scioglie sulla lingua. Invita a una masticazione lenta e flessuosa che non ha lo scopo di far cambiare natura all'alimento, ma soltanto quello di assaporarne l'aerea "morbilezza". Già, la morbilezza: né morbidezza né mollezza, perché il sashimi, polvere di velluto simile alla seta, porta con sè un po' di entrambe e, nella straordinaria alchimia della sua essenza vaporosa, mantiene una densità lattiginosa che le nuvole non hanno.
Il punto non è né mangare né vivere, è sapere perché. Nel nome del padre, del figlio e del bignè, amen. Muoio.
(Brani tratti da Muriel Barbery, Estasi Culinarie)
Uhm... "croccante"?
Il pomodoro crudo, divorato appena colto in giardino, è la cornucopia delle sensazioni semplici, una cascata che sciama in bocca riunendo ogni piacere. La resistenza della buccia tesa quel poco quanto basta, i tessuti che si sciolgono in bocca, il liquore ricco di semi che ci cola agli angoli delle labbra e che asciughiamo senza paura di sporcarci le dita, quella piccola sfera carnosa che riversa in noi fiumi di natura: ecco il pomodoro, ecco l'avventura.
Il vero sashimi è croccante, eppure si scioglie sulla lingua. Invita a una masticazione lenta e flessuosa che non ha lo scopo di far cambiare natura all'alimento, ma soltanto quello di assaporarne l'aerea "morbilezza". Già, la morbilezza: né morbidezza né mollezza, perché il sashimi, polvere di velluto simile alla seta, porta con sè un po' di entrambe e, nella straordinaria alchimia della sua essenza vaporosa, mantiene una densità lattiginosa che le nuvole non hanno.
Il punto non è né mangare né vivere, è sapere perché. Nel nome del padre, del figlio e del bignè, amen. Muoio.
(Brani tratti da Muriel Barbery, Estasi Culinarie)
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venerdì 30 gennaio 2009
La Giubiana 2009
...E sicome la stabilìss la legg quaranta dal
voccént-sesantòtt
che dopo 'l procèss gh'è la lugànega e 'l risòtt,
la sentenza a la fin la pö vess pronunziada:
la Giubiana, stasira, ca la sia brusada!
Anche quest'anno,
come l'anno scorso, siamo andati alla manifestazione folkloristica
della Giubiana di
Canzo, che avviene ogni anno l'ultimo giovedì di gennaio.che dopo 'l procèss gh'è la lugànega e 'l risòtt,
la sentenza a la fin la pö vess pronunziada:
la Giubiana, stasira, ca la sia brusada!
...E siccome la legge 40 dell''868 stabilisce
che dopo il processo c'è la salsiccia e il risotto,
la sentenza alla fine può essere pronunciata:
che la Giubiana, stasera, venga bruciata!
(Dalla Sentenza del Processo alla Giubiana)che dopo il processo c'è la salsiccia e il risotto,
la sentenza alla fine può essere pronunciata:
che la Giubiana, stasera, venga bruciata!
Viene inscenato processo ad una vecchia strega (la Giubiana) che rappresenta i mali dell'anno passato. Ma non ci sarà sorpresa, nella sentenza: alla fine la Giubiana verrà giudicata colpevole e quindi condannata al rogo.
La cerimonia si apre con la sfilata di diversi personaggi della tradizione popolare alpina, che portano in corteo la vecchia fino alla piazza, dove si celebra il processo, in stretto dialetto locale (tanto stretto che io stesso, pur lombardo da diverse generazioni, faccio fatica a capire).
Particolarmente condivisibili le parole della prima testimone alla difesa, che sostiene che i capi d'accusa (di anno in anno le notizie nefaste: quest'anno la crisi, i mutui salati, l'aumento della disoccupazione, le guerre in medio oriente...), non sono, a rigore, da imputare alla Giubiana, capro espiatorio, ma a noi stessi, in quanto materia costitutiva di quella società che ha generato quegli stessi mali.
Ma lo spirito della manifestazione è quello di accettare il passato e di ricominciare con ottimismo. Il rogo della Giubiana è infatti un rito propiziatorio per l'anno che viene, nella consapevolezza che siamo appunto noi gli artefici del nostro destino.
Le parole finali del testamento, scritte dalla Giubiana, ma pronunciate dalla pettegola del paese, fedele amica, augurano minacciosamente altrettanti mali per l'anno a venire, e rappresentano la consapevolezza che non sarà certo il rito propiziatorio a cambiare il nostro futuro. Il rogo è quindi simbolo dell'accettazione del nostro destino, ma anche l'impegno a migliorare le cose. La Giubiana promette infatti di resuscitare immediatamente dopo il rogo, per ricomparire, tra un anno, come rinnovato agnello sacrificale.
Dopo il processo, Maddie era eccitata, ma Mr. Bentley (di carattere molto più timido) era spaventato dalla confusione e dal rumore. "Fajah, let's go home please" mi dice, con quella voce baritonale ("Papà, andiamo a casa, per favore" - Mister Bentley si esprime in inglese americano, spesso misto ad espressioni pidgin hawaiiane).
Abbiamo preferito quindi rinunciare al rogo e al tipico risotto con salsiccia e vin brülé, e ce ne siamo tornati a casa.
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