giovedì 1 settembre 2011

Contratto a progetto/Partita IVA

Tempo di cambiar lavoro. Provate a sfogliare gli annunci sui siti specializzati, e noterete che la formula "Contratto a Progetto/Partita IVA" e' molto comune, nelle offerte di lavoro.
Il Contratto a Progetto e l'impiego con partita IVA sono due forme di rapporto lavorativo che hanno un loro senso di esistere.

Il contratto a Progetto regola una prestazione di lavoro a tempo determinato. Si sa gia' quale deve essere il lavoro da svolgere (il progetto) e quali siano i suoi limiti temporali, per cui si assume una persona limitatamente finalizzata a quella esigenza. Non c'e' nessun indizio che faccia presupporre una eventuale proroga quel lasso di tempo tramite un rinnovo del contratto oppure con la proposta di un rapporto regolato da una tipologia contrattuale diversa.
Un problema e' che nel mio campo (Informatica) spesso e' difficile determinare con esattezza i limiti temporali di un progetto, non tanto per la pur reale difficolta' a misurare il tempo necessario in questo tipo di attivita', quanto piuttosto perche' il progetto non e' mai ben definito, in quanto il datore di lavoro non ha le idee chiare su cio' che vuole, ciononostante deve determinare i tempi e i costi per realizzarlo.
Intendiamoci: non e' che si tratta (sempre) di stupidi. E' che "avere le idee chiare" significa definire esattamente e scrupolosamente che cosa deve fare un determinato prodotto software e come lo deve fare. Se questa definizione (che noi informatici ci vezziamo a chiamare specifiche) e' ben formulata, il compito dell'informatico e' banale e veloce. Quel che voglio dire e' che il tempo di realizzazione di un prodotto software e' determinato in larghissima misura dalla definizione puntuale di cio' che quel prodotto deve eseguire, mentre la stesura del codice in se' e' soltanto una minima parte del lavoro. E' piuttosto evidente che le cose stanno cosi' se si pensa a che cos'e' un programma. Essenzialmente e' la stesura, in un determinato linguaggio, di un algoritmo, ovvero della descrizione precisa di quello che il programma deve fare, e di come lo deve fare. Del resto cos'e' un computer se non uno stupido aggeggio che fa esattamente cio' che gli si chiede?
Per fare un paragone, e' un po' come la traduzione di un discorso. Una volta che il discorso e' pronunciato, per l'interprete e' un gioco da ragazzi tradurlo, tanto che i traduttori simultanei lo fanno in tempo zero (mi perdonino gli interpreti, so che la faccenda non e' cosi' semplice). Cosa piu' complessa e' la stesura del discorso, che invece comporta delle decisioni e delle invenzioni per la formulazione dei significati.
Quindi, nel caso dell'Informatica, non ha molto senso un contratto a progetto, perche' se la definizione del problema e' abbastanza articolata (e non lo e' mai), tradurla in programma e' cosa facile e veloce, se invece non lo e', il lavoro dell'analista/programmatore richiede un'indagine e una stesura delle specifiche, il che non e' quantificabile (per quanto piu' interessante). Un po' come chiedere al cuoco quanto ci impiega per cucinare un piatto, senza specificare quale sia il piatto. La risposta potrebbe variare tra il mezzo minuto e il paio di settimane.

Eppure, sulla Rete, si trovano un sacco di inserzioni che offrono contratti di lavoro a progetto per informatici. Quello che viene da pensare e' che il mondo sia pieno di progetti gia' ben definiti, e il lavoro da svolgere e' quindi banale e dequalificante (se il problema e' solo quello di scrivere codice, bisogna concludere che si tratta di progetti immensi).

L'impiego "a partita IVA" invece e' cosa totalmente diversa. Opposta, direi. La partita IVA e' un meccanismo per sottoporsi al Fisco se si lavora in autonomia (sono un po' evasivo perche' di 'ste scartoffie non ci capisco una fava). Quindi questo tipo di impiego fa riferimento ad un'impresa individuale per la produzione e vendita del software. Personalmente non credo che mi ci troverei bene, perche' se da un lato mi reputo molto bravo a progettare e scrivere software, dall'altro so che sarei una frana nel mestiere di venderlo, in quello di trovare, convincere e mantenere clienti e sarei un totale disastro nel gestire la burocrazia (gia' ora, ogni volta che devo solo compilare il 730 mi viene l'ulcera!). Pur essendo bravo a fare software, finirei per dedicare la maggior parte del mio tempo e delle mie energie in attivita' totalmente diverse, nelle quali non mi sento portato ne' interessato.

Nemmeno le inserzioni che offrono "contratto a Partita IVA" hanno quindi molto senso. Tanto per cominciare se uno ha la partita IVA non e' che ha un contratto lavorativo presso una azienda. Al piu' stipula un contratto per la prestazione di un lavoro o per la vendita di un prodotto. Non ha senso che uno che ha un'impresa individuale lavori di fatto subordinato ad una azienda. Inoltre ci sarebbe un enorme spreco di risorse, perche' il programmatore puo' impiegare solo una parte del suo tempo a focalizzarsi sul proprio lavoro.

Il fatto e' che le offerte di lavoro che propongono "Contratto a Progetto/Partita IVA" in realta' ricercano lavoratori per prestazioni di lavoro piu' o meno continuative, simulando la richiesta di prestazioni definite e limitate nel tempo oppure fornite da parte di aziende autonome, per eludere il fisco e l'articolo 18. Finendo, oltretutto, per snaturare il lavoro dell'informatico (oltre che, scommetto, di molte altre tipologie professionali). A prescindere dal giudizio etico che uno vuol dare a questi bassi trucchi, mi pare che sia una perdita considerevole per l'azienda, che forse riesce si' a risolvere l'esigenza, ma senza detenerne il know-how della soluzione.

Il che ci puo' anche stare. Cioe', posso immaginare che una azienda non sia interessata a fare propria la conscienza, ma solo a risolvere il problema contingente. Come quello che compra un chilo di pane senza riporre alcun interesse nell'arte della panificazione. Ma, se uno vuole un chilo di pane, mi pare insensato che metta un annuncio in cui richieda la prestazione occasionale del lavoro di un fornaio, definendone i limiti e la retribuzione. Mi pare piu' saggio che si rivolga invece ad una panetteria, che si occupa di produrre e vendere il pane in autonomia.

A questo scopo, per gli informatici, ci sono le agenzie di consulenza. Una azienda che ha bisogno di un prodotto, servizio o prestazione software, si rivolge ad una di queste agenzie (il panettiere), dotata di ufficio vendite, marketing, segretarie e ragionieri... e di uno staff di informatici per l'analisi e la definizione del progetto e per l'implementazione del software.
Ecco. Credo che anche una realta' del genere non mi sia troppo congeniale, perche' io tendo a rendere molto quando c'e' un problema complesso piuttosto che quando c'e' una gran quantita' di roba facile. Insomma, prediligo la qualita' alla quantita', e la qualita' e' molto piu' difficile da monetizzare, se presuppone una invenzione innovativa; percio' e' piu' probabile trovarla in una azienda (se non in un istituto di ricerca, ma questa e' utopia!) che investa in know-how.
Pero', vabbe', non sputerei sopra nemmeno a questo tipo di realta', dovesse capitare.
Il fatto e' che poi, se l'agenzia di consulenza, a sua volta, utilizza lavoratori tramite contratti a Progetto o Partita IVA, siamo ancora daccapo. Mi pare che, come al solito, a rimetterci, sia soltanto il lavoratore. In buona sostanza l'azienda paga la prestazione di lavoro all'agenzia, ma solo una parte di quel denaro finisce al lavoratore. Sarebbe accettabile se ci fosse una contropartita, se l'agenzia si occupasse cioe' di dare stabilmente lavoro al lavoratore.

L'altro giorno sono andato a fare un colloquio presso una societa' di consulenza, dove sono stato trattato a pesci in faccia.
Arrivo un po' in anticipo e, dopo qualche minuto, una giovane donna, molto gentile, carina e un po' impacciata, attacca a farmi le solite domande che si fanno ai colloqui, cioe' sostanzialmente approfondimenti a quanto c'e' gia' scritto nel curriculum, gia' in loro possesso. Completava il dialogo il solito test psicominchione, tipo "mi dica tre suoi pregi e tre difetti". Domanda alla quale tendo a trovare difficolta', non tanto per mancanza di autocritica, quanto piuttosto per un senso di pudore. Comunque una piacevole conversazione con una persona simpatica, nonostante quei goffi tentativi di non sorridere per mantenere un'aria il piu' possibile professionale e distaccata.
Alla fine, la giovane donna, in tutto il suo candore, si rivela. "In realta', dottor C, lei avrebbe dovuto sostenere questo colloquio con l'ingegner X, che purtroppo e' impossibilitato a causa di un altro impegno". Notando la mia aria perplessa, si affretta ad aggiungere "ma non c'e' nessun problema, ora lo chiamiamo e continuiamo il colloquio al telefono"...
"Devo aggiungere un quarto difetto:" dico, dopo aver assimilato la sorpresa "ho un rapporto piuttosto negativo con il telefono!" (cosa che, per altro, corrisponde a verita'). La mia battuta viene totalmente ignorata dalla giovane donna che mi sta di fronte, che, a questo punto e' evidente, sta solo recitando un copione. In cuor mio penso all'inutilita' di essermi sorbito un paio d'ore di traffico per recarmi al colloquio e di dovermene sorbire altrettante per tornare a casa, quando poi il colloquio doveva essere telefonico.
Va be', mentre la giovane donna rimane seduta immobile e muta di fronte a me io parlo nel suo iPhone con l'ingegner X. Inizio molte delle risposte con la formula "Come dicevo alla sua collega", rivelando un poco di fastidio per la situazione che si e' venuta a creare.
Morale, le domande cruciali e significative di questa fase riguardano la mia richiesta retributiva ed il periodo di preavviso. Al primo argomento rispondo che dipende molto da quale sia il lavoro che mi viene offerto (cosa che non e' stata rivelata, ne' lo sara' dopo). E comunque deve essere molto superiore alla mia attuale retribuzione, visto che si tratta appunto di contratto a progetto che non assicura alcun futuro. E non so quantificare, perche' mi aspetto che in una collaborazione del genere ci sia un'offerta da parte loro. Per quanto riguarda il preavviso, si tratta di 90 giorni teorici, contrattabili. L'ingegnere mi chiede se sono disposto a pagare la penale per liberarmi il prima possibile. La risposta a quest'ultima domanda e' che evidentemente sono disposto a pagare la penale se mi viene assicurata una retribuzione tale da consentirmi di coprire la spesa che devo sostenere per pagarla. Non provo nemmeno ad azzardare, come motivazione etica che preferirei evitare di lasciare le cose che sto facendo a meta'.
L'ingegner X conclude quindi che non ci sono basi per dialogare, visto che io non sono in grado di dirgli quanto voglio ne' quando mi libero, e, senza queste informazioni, lui non ha modo di contrattare con il suo cliente. Insomma, lui vuole avere il controllo del mio lavoro per poter vendere al meglio la mia prestazione al cliente, salvo poi avere la possibilita' di cacciarmi a calci in culo, dopo aver munto la vacca. Questo in soldoni.

"Mi dispiace di averle fatto perdere tempo" non mi resta che concludere all'ingegner X, per evitare ulteriori crampi testicolari.
Mi rifaccio poi con la giovane donna a cui espongo tutto il mio disappunto, dopodiche' mi congedo sfoderando un ossimorico sorriso con "E' stata un'esperienza davvero umiliante, ma mi ha fatto piacere conoscerla", tanto per ovviare al suo palese imbarazzo.

3 commenti:

Artemisia ha detto...

Che tristezza quello che racconti, Dario! Fa proprio incazzare la mancanza di rispetto che ti hanno dimostrato.
Io mi terrei stretto l'attuale lavoro anche se insoddisfacente. Tanto mi sa che l'andazzo è questo purtroppo.

dario ha detto...

Mah, Artemisia, non e' che nell'attuale posto di lavoro si abbia nei miei confronti molto piu' rispetto di quello che mi e' stato dimostrato durante quel colloquio. Certo, ora sono a tempo indeterminato (e spero che questa parola continui ad avere un significato!!!).

Quindi la questione e' che non andro' mai piu' a fare un colloquio per un posto che non offra la stessa tipologia contrattuale.

La cosa triste e' che, anche nel mio campo, ci sono troppe persone anche qualificate a spasso, per cui paga di piu' l'offerta di disponibilita' a digerire merda. Peccato, perche' io credo che dal baratro si esca con l'innovazione e l'innovazione e' la qualifica che la fa, non l'efficienza della flora intestinale. Ma di che mi preoccupo? Che vadano tutti al diavolo!

Artemisia ha detto...

Penso che sia così in molti campi, purtroppo.