venerdì 23 maggio 2008

Io sono per il risparmio

Questo post prende spunto da una discussione nata sul blog di Maurice, riguardo all'utilizzo, per bere, dell'acqua venduta nella grande distribuzione, tipicamente nelle bottiglie di plastica o vetro piuttosto che l'"acqua del sindaco" (cioè quella proveniente dall'acquedotto), che viene dichiarata potabile, e spesso più pura di quella in bottiglia.

Noi, in casa, facciamo uso di acqua nelle bottiglie di vetro con vuoto a rendere. Il tentativo è di limitare all'osso lo spreco di plastica, combattendo non solo la dispersione di questo materiale inquinante, ma anche il danno ambientale, di entità minore ma pur sempre non irrilevante, proveniente dai processi di riciclo.
Ma anche le bottiglie di vetro con vuoto a rendere causano inquinamento inutile, perché questo sistema comporta alcuni sprechi, ad esempio il detergente per lavare la bottiglia, il tappo di plastica per chiuderla (notare che la quantità di materiale contenuto in un tappo è maggiore di quella nella bottiglia di plastica), l'etichetta di carta e la colla per appiccicargliela sopra, l'energia elettrica per le macchine imbottigliatrici, il carburante per il trasporto alla grande distribuzione, il carburante per il trasporto a casa, e poi tutto il tragitto all'indietro del vuoto, fino a tornare a chiudere il ciclo.
Però, l'"acqua del sindaco" del nostro comune, anche ammesso che sia batteriologicamente pura, fa decisamente schifo. Sa di cloro ed è molto calcarea. Per quest'ultimo problema ci sono efficaci filtri in commercio, ma contro il cloro non esiste alcuna soluzione semplice, che io sappia.

In quella discussione, Maurice stesso scrive:
Credo che sia necessario anche mettersi d’accordo sullo sviluppo sostenibile, come sostengono alcuni ecologisti fra i quali vorrei collocarmi.
Una semplice bottiglietta d’acqua inquina il pianeta, ma dà anche lavoro (e quindi produce ricchezza) a chi deve produrre la bottiglia ed il tappo, a chi la imbottiglia, a chi la trasporta, eccetera.
Leggiamo spesso cifre precisissime sull’inquinamento - ricordo a memoria che una bistecca inquina quanto un’auto che corre per 50 km - ma non ho mai letto quanto valore produce la bistecca in termini di lavoro e di ricchezza.
Credo che si possa vivere con agiatezza rispettando la natura e l’ambiente, senza con questo ritornare alle società primitive. Ammesso che esse rispettassero l’ambiente, come non hanno fatto i pellerossa distruggendo le foreste delle grandi praterie per permettere la sopravvivenza delle mandrie di bisonti e di loro stessi.
Io penso che sia un errore giustificare il consumismo con la scusa che si tratti di un sistema che consente una redistribuzione equa della ricchezza. Tanto per cominciare perché non appare affatto equa.
Ma soprattutto, la falla del capitalismo consumista è proprio intrinseca nel meccanismo secondo cui la quantità di beni (e servizi) commercializzati deve sempre crescere, e quindi anche l'inutile deve essere comunque venduto (e comprato).
Da un lato è vero che la commercializzazione di una bottiglietta di acqua fornisce ricchezza a chi fa parte della sua catena di produzione/distribuzione. Ma prendiamo ad esempio l'autotrasportatore che la trasporta sul suo camion, che chiameremo Mario. A conti fatti, quant'è la ricchezza che Mario ricava dal trasporto di una bottiglietta? Sicuramente meno del costo al dettaglio di quella bottiglietta. A Mario, indefesso lavoratore, verrà pure sete, prima o poi, no? E come si disseterà? Berrà dal rubinetto l'"acqua del sindaco"? No! Applicando diligentemente la logica del consumismo andrà al supermercato a comprare una bottiglietta d'acqua simile a quelle che ha trasportato (spendendo di più di quanto ha guadagnato per ognuna di esse).
Ora, è pur vero che il nostro Mario di bottigliette non ne trasporta una sola, ma un camion intero, e non verrò certo a raccontare che la fatica necessaria per quel trasporto gli procura una sete tale da scolarsi l'intero carico. Ma è anche vero che Mario avrà esigenza di acquistare anche altri prodotti, i quali tendenzialmente avranno subito analoghi passaggi commerciali. Se Mario acquista una mela perché ha fame, vuol dire che c'è un altro autotrasportatore che ha trasportato le mele. E quest'altro autotrasportatore avrà magari necessità di dissetarsi con l'acqua di Mario, oltre che sfamarsi con le proprie mele.
Insomma, applicando questo meccanismo a tutto il sistema chiuso, la società consumerà esattamente l'intera quantità dei prodotti che vengono commercializzati, spendendo esattamente la quantità data dalla somma del denaro che ogni singolo individuo ha guadagnato come frutto del proprio lavoro. In questo sistema, quindi, non è stata creata alcuna ricchezza. Al più è stata redistribuita in quantità minori o maggiori a seconda di quanto abbia lavorato ciascun individuo. Siccome la quantità di ricchezza nel sistema chiuso non è infinita, se la ricchezza è proporzionale al lavoro, quando un individuo lavora di più, gli altri individui sono costretti a lavorare di meno. E questo meccanismo genera disparità sociale, cioè l'esatto opposto di ciò che il sistema si ripropone.

Si potrebbe obiettare che invece di spendere l'intera quantità di soldi guadagnati, sarebbe più prudente risparmiarne un po'. Cioè, che Mario decida di non acquistare la mela, se non ha troppa fame, ma di metterne da parte i soldi. Così facendo, però, quella mela rimarrebbe invenduta, e la ricchezza destinata a chi ha lavorato per produrla non sarebbe disponibile. In buona sostanza se aumentassero i risparmi, nel nostro sistema chiuso diminuirebbero i consumi di pari passo, e quindi diminuirebbero anche i soldi da redistribuire.
In altre parole, nel nostro sistema chiuso, se si evitasse di comprare il superfluo, è vero che si avrebbe una riduzione di ricchezza circolante, ma è anche vero che tale riduzione sarebbe esattamente equivalente al valore del bene superfluo invenduto.
Per tornare al nostro esempio, se tutti noi utilizzassimo l'"acqua del sindaco" è vero che, come dice Maurice, diminuirebbe la ricchezza che si sarebbe distribuita nella catena commerciale dell'acqua in bottiglia, ma è anche vero che globalmente quella ricchezza perduta equivarrebbe esattamente al risparmio che avremmo per non aver acquistato l'acqua in bottiglia stessa.
E allora, dov'è il vantaggio sociale nell'acquisto dell'acqua in bottiglia?

Una considerazione è necessaria sul fatto che, in questa analisi, ho considerato un "sistema chiuso", il che, apparentemente, non si applica perfettamente alla realtà. Nel mondo capitalista occidentale (e anche nella quasi totalità del resto del mondo), i sistemi economici non sono chiusi, nel senso che si basano sostanzialmente sull'esportazione (e sull'importazione).
L'affermazione che lavorando di più si guadagna di più a scapito di altri che, lavorando di meno guadagnano di meno, in un contesto di sistema non chiuso è falsa, poiché l'eventuale eccedenza di prodotto non andrebbe perduta ma esportata. Ma questo assunto presuppone che vi sia altrove un altro sistema non chiuso (un Paese importatore) che acquista l'eccedenza.
Questo però comporterebbe che il Paese importatore non ha necessità di prodrre il bene importato, e quindi non ha la possibilità di impiegare lavoratori in quel ciclo produttivo, e di produrne la relativa ricchezza necessaria per acquistare quel prodotto. E questo mi pare un aspetto poco etico del sistema, visto che comporta l'aumento del debito pubblico, e quindi della dipendenza politica, del Paese importatore, aumentando il divario sociale tra Paesi ricchi e Paesi poveri.
Considerando invece l'economia globale del mondo, che è per forza un sistema chiuso, visto che non è possibile esportare al di fuori del pianeta (e pare che non lo sarà ancora per molto tempo), nessuna ricchezza può essere creata, se per ricchezza si intende la capacità di acquisto. La ricchezza è pari alla somma di tutti i beni prodotti globalmente, e quindi è chiaro che quella derivante dalla produzione di un bene inutile è essa stessa inutile perché consente solo l'acquisto di un bene inutile.

La vera ricchezza dovrebbe essere calcolata non in base al potere d'acquisto, ma in base al possesso di beni utili per migliorare la propria vita. Ad esempio, l'invenzione, la produzione e la distribuzione dei telefonini cellulari non ha affatto creato ricchezza nel senso di capacità di acquisto degli individui. Semplificando, la ricchezza data dai salari dei lavoratori che hanno contribuito nell'invenzione/produzione/distribuzione dei telefonini è pari alla ricchezza sborsata dai consumatori di quel prodotto... alla fine, cioè, le persone che lavorano, percepiscono un salario che poi serve loro per acquistare i beni che producono. La vera ricchezza fornita dal progresso invece è la possibilità di usufruire di quei beni utili. Se non ci fossero stati i telefonini noi non avremmo potuto mandarci tutti quegli SMS per comunicarci quei messaggi romantici tipo "TVTTTTTB".

Ammettendo che l'acqua in bottiglia ha la stessa qualità dell'"acqua del sindaco" (cosa palesemente falsa nel caso del mio comune), l'acquisto dell'acqua in bottiglia è assolutamente inutile dal punto di vista economico e solamente un danno da quello ecologico.

Io però non sono un economista. Dove stà l'errore del mio ragionamento?

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Devi perlomeno pagarmi da bere per gli spunti che ti dò per dissertare così.
Negli anni della mia gioventù rivoluzionaria contestavamo il consumismo che era nulla di fronte a quello d'oggi.
Non entro nel merito e non contesto il tuo discorso, ma vorrei chiosare con un'immagine che mi prende spesso, per esempio quando guido in autostrada: mi immagino di poter salire a qualche chilometro da terra e guardare in giù, vedere sei miliardi di formichine che si danno un gran daffare a correre di qua e di là, di su e di giù, avanti e indietro, indietro e avanti. Per che cosa?

Artemisia ha detto...

Sull'aspetto macroeconomico non ho le competenze per entrare in merito.
Per il resto sai gia' come la penso: io sono per l'acqua del rubinetto. Il sapore e l'odore del cloro vanno via dopo che la fai riposare una mezz'oretta nella brocca e poi comunque ci si abitua. Inoltre, sempre piu' acquedotti stanno diminuendo l'uso del cloro a favore di altri espedienti per eliminare la carica batterica (raggi ultravioletti o qualcosa del genere).
Quella dell'acqua minerale e' una delle truffe piu' scandalose.
Consiglio a tutti il libro di Giuseppe Altamore "Qualcuno vuol darcela a bere. Acqua minerale, uno scandalo sommerso" e rimando ai miei post sull'argomento:
Oro blu, Mettiamola fuori legge!.

PS Rispondi qui, per favore!

dario ha detto...

Arte, sono pienamente d'accordo con te sui principi. Ma, quando ti capitera' di venire in Padania (;-)), fa' un salto da me, e ti faccio sentire l'odore vomitevole dell'acqua che esce dal mio rubinetto. Mi ricorda quando da ragazzo mi sparavo un'interminabile ora al giorno in piscina.
E poi ho anche problemi di calcolosi renale, e quindi devo dare un taglio al calcare.

Quindi, anche io voto per l'acqua del rubinetto, ma solo dopo averla opportunamente filtrata dal calcare e depurata dal cloro. Finche' non mi attrezzo per questo, vado avanti con l'acqua in bottiglia.

Artemisia ha detto...

Saro' lieta di assaggiare e anche di conoscerti. In realta' diversi anni fa a casa abbiamo fatto installare un'apparecchiatura ad osmosi inversa. E' costata un bel po' ma si ottiene un'acqua molto leggera. Tornassi indietro non lo rifarei perche' attualmente la trovo inutile (e credo che si sprechi anche un bel po' d'acqua) pero' nel caso tuo forse potrebbe essere una soluzione.
Le bottiglie vuoto a rendere sono una bella schiavitu', no?

dario ha detto...

Si', da un lato sono una bella schiavitu', ma dall'altro mi libera dal dover andare tutti i sabati in auto con la plastica da riciclare al centro di raccolta (la quantita' di plastica che utilizzo si e' ridotta praticamente a quasi zero...