lunedì 18 ottobre 2010

Meritocrazia

Settimana scorsa ho scritto, in un mio post, di un particolare imprenditore, il mio datore di lavoro, ed ho forse ingiustamente qualificato tutta la categoria. Ingiustamente perche', mentre e' piu' che palese che il mio datore di lavoro non faccia altro che sfruttare la ricchezza prodotta dai propri dipendenti (me compreso) per suoi vantaggi personali, non e' affatto detto che gli altri imprenditori facciano lo stesso con i loro dipendenti.
In un commento a quel post Liber mi ha portato l'esempio del suo datore di lavoro, che invece sembra si dimostri consapevole del fatto che sia il benessere del lavoratore, sia quello dell'imprenditore dipendono da un patto che consente di operare in sinergia. Entrambe le parti operano per massimizzare il bene comune.
Ma di quale bene stiamo parlando? Come diceva Cecilia Strada in una favola che ho postato su questo blog tempo fa, c'e' molta confusione su cosa sia la ricchezza. Per uno ricchezza significa un milione di miliardi, mentre per un altro una patata al giorno.
Se anche esistesse davvero (e francamente continuo a dubitarne, anche se ammetto l'esistenza di casi particolari) un imprenditore che divide equamente gli introiti dell'impresa, comunque si tratterebbe di uno che si integra e trae profitto dagli ingranaggi di un sistema che si basa sulla disuguaglianza.
Nel caso dell'imprenditore di Liber si tratta di uno che si e' fatto da se', mentre nel caso del mio datore di lavoro si tratta di uno che ha ereditato l'attivita'.

Cio' che il nostro modello economico dovrebbe assicurare (il condizionale indica che mi pare proprio che non lo assicuri affatto, ma questo discorso va fuori tema), e' la pari opportunita'. Non credo pero' che questo renda la situazione piu' socialmente accettabile.
Facciamo un esempio estremo. In un mondo ideale in cui la Fisica e' il metro di giudizio del merito, Einstein sarebbe supermilionario, perche' e' stato un fisico molto piu' geniale della media. Io ad esempio sarei poco piu' che un mendicante, in una societa' del genere, perche' le mie capacita' nel campo sono piuttosto limitate. Penso che sia un fatto genetico: io non riesco bene ad assimilare la Fisica (quanto ad esempio faccio egregiamente con la Matematica), quindi anche se la cultura fosse modellata su un sistema che premia quella disciplina, comunque non sarei mai diventato un grande genio della Fisica. E credo che la maggior parte della gente sarebbe piu' o meno al mio livello.
Il sistema sarebbe destinato ad avere pochi genii della Fisica supermilionari e una moltitudine di poveri imbecilli come me. Eppure ci sarebbe pari opportunita' per tutti. Ognuno sarebbe libero di fare le proprie scoperte sensazionali di importanza comparabile con la Teoria della Relativita' Generale, presentare le proprie scoperte al Grande Fisico ed ottenerne una adeguata retribuzione. Ci sarebbe il massmo di parita' di opportunita', ma ci sarebbe enorme disuguaglianza sociale.
Forse incolpare di questa situazione un genio come Einstein e' sbagliato, ma rimane il fatto che quel genio sta approfittando di quella disuguaglianza sociale.
Gia' questo sarebbe sbagliato, ma quanto meno un genio della fisica produce delle scoperte scientifiche che hanno di per se un valore in quanto tali.

Prendiamo invece un sistema basato sul consumo come il nostro. E' evidente che la ricchezza materiale e' prodotta da chi costruisce il prodotto di consumo.
Qualcuno, come il mio amico Maurice, direbbe che il marketing fornisce valore aggiunto al prodotto. E' vero, il prezzo di un vestito firmato dal Famoso Stilista e' maggiore del prezzo di un vestito identico non firmato. Eppure il lavoro necessario per produrre l'uno e l'altro e' identico. Il valore attribuito dalla nostra societa' al marketing non e' trascurabile. Ma questo perche' la nostra societa' premia il marketing.
A me pare un po' poco etico. Quel venditore in grado di offuscare gli occhi del cliente facendogli acquistare una cosa di poco valore intrinseco ad un prezzo elevato, inducendolo sovrastimarne il valore, e' in generale considerato un bravo venditore.
Questo paragone va un po' fuori tema, e' vero. Ma in fondo il "mestiere" dell'imprenditore e' proprio questo. Si tratta di riuscire a vendere un prodotto ad un prezzo maggiore del suo valore. Se cosi' non fosse l'azienda non riuscirebbe a stare in piedi. A tal proposito mi viene in mente una discussione tra me e un'altra blogger, riportata su un mio vecchio blog (scusate l'inglese).

Il mio datore di lavoro, nelle riunioni periodiche in cui giustifica il suo atteggiamento repressivo nei confronti delle rivendicazioni dei dipendenti, ottenendo l'effetto collaterale di creare un clima ancor piu' repressivo, e' solito dire "Non siamo qui per fare beneficienza", sottintendendo che il motivo per cui l'imprenditore mette del capitale e' perche' vuole ricavarne profitto, mica per fare genericamente 'del bene'. Io credo che in un sistema cosi' modellato sia anche comprensibile. Se io avessi soldi, perche' mai dovrei decidere di impiegarli in una attivita' produttiva se non avessi un margine di profitto?
Evidentemente, all'interno del sistema etico del capitalismo, questo e' ragionevole. Ma non credo che si possa negare che questo meccanismo crea ed accentua disuguaglianza sociale.

Io ho dei dubbi sull'effettiva capacita' del mio datore di lavoro di promuovere l'azienda (e quindi di fornire un aumento di ricchezza per i dipendenti, oltre che per se) - anche ammesso che cio' abbia un assoluto valore etico.
Ma se anche non avessi questi dubbi e il mio datore di lavoro fosse un imprenditore modello, non ci troverei nulla di strano se lui stesso ammettesse che io sono di gran lunga piu' bravo di lui con l'informatica. Che io sono in grado di fare programmi di una qualita' che rasenta la perfezione, mentre lui magari non e' nemmeno in grado di accendere il PC che sta sulla sua scrivania piu' che altro come status-symbol.
Io stesso non avrei problemi ad ammettere che lui, in quanto imprenditore e' decisamente molto migliore di me. Io non so vendere il prodotto, non so promuovere l'attivita', non so gestire il personale, non so procacciare affari, non sono capace nemmeno di maneggiare il denaro (tant'e' che, in famiglia, e' mia moglie a gestire questa attivita' :-/). Io al suo posto sarei un disastro completo. Almeno quanto lui al mio posto sarebbe un disastro completo.
Ma lui, per fare bene il suo lavoro, prende un sacco di soldi che escono dalla azienda. Io invece lavoro altrettanto duramente, e non riesco ad ottenere un aumento (nemmeno l'adeguamento all'inflazione programmata previsto dal contratto nazionale), da oltre quattro anni. La disuguaglianza sociale tra me e lui non e' basata sul fatto che uno dei due abbia piu' o meno abilita' nel proprio lavoro. E nemmeno sul fatto che l'attivita' svolta sia piu' o meno importante di quella svolta dall'altro nel processo aziendale. Ma semplicemente perche' il merito dell'uno e' valutato di piu' secondo metodi del tutto arbitrari e decisi in modo parziale. Per l'esattezza il mio merito lo valuta lui, ma io non valuto il suo. In soldoni lui decide quanto deve essere il mio stipendio, ma io non decido quanto debba essere il suo. Questa asimmetria, secondo me, fa si' che non si puo' proprio dire che la parita' di trattamento equivale alla parita' di ruolo e che il valore sia equamente ripartito sul merito.

Oppure possiamo invece ammettere che si', la nostra e' una societa' meritocratica, applicando pero' artificiosamente il merito sulle qualita' imprenditoriali, come nel mio stupido esempio di prima l'ho attribuita alla capacita' di eccellere nella Fisica. E' giusto?
L'imprenditore a questo punto potrebbe ribattere, in tono di sfida "Be', Dario, se non lo trovi giusto, perche' non fai tu l'imprenditore?". Gia', ma allora, se lui e' cosi' bravo, perche' non viene qui lui a fare il programmatore al posto mio?

Senza contare, poi, che se a botta fredda mi viene da dire che sono pagato poco rispetto al lavoro che faccio, anche questa affermazione risulta  piuttosto traballante, perche' non c'e' un termine di paragone. Un chilo di patate vale piu' o meno di tre grappoli d'uva? Dipende. Dipende da quanto e' nutriente? Da quante persone ci sfami? Da quanta energia ci vuole per produrre l'uno e l'altro bene? Di solito i prezzi di questo tipo di generi di consumo e' dettato dalla legge della domanda e dell'offerta. Se ci sono poche patate e le vogliono tutti, il prezzo delle patate andra' alle stelle, anche se per coltivarle il contadino ha fatto molta piu' fatica con l'uva, che pero' non se la fila nessuno e quindi viene data via a poco.

Valgono di piu' otto ore di Dario a sgobbare con la mente per fare programmi oppure otto ore di un ragazzino africano spese per andare a recuperare l'acqua potabile per se e la sua famiglia a piedi, sotto il sole cocente? Eppure io sono ben pasciuto e mi permetto pure degli extra, tipo una bottiglia di buon vino in una serata romantica di fronte alla mia R al fresco del pergolato di una trattoria nella campagna toscana, lui invece porta a casa solo dell'acqua sporca, sufficiente appena per tirare fino a domani.

Esiste la meritocrazia?
Precondizione, secondo me, e' stabilire quale sia il criterio per misurare il merito. E non mi pare proprio che, a livello sociale, l'imprenditore possa arrogarsi il diritto di decidere.

39 commenti:

liber ha detto...

ma l'imprenditore non valuta il valore di una persona, solo il suo valore in relazione ad un dato lavoro. e se anche una persona è meritevole lavorativamente e ottiene dei riconoscimenti, questo non misura il suo valore globale.
e neppure il denaro remunera il valore di una persona.
un sacco di gente ha soldi e poi è isterica, divorzia, litiga, non sa godersi ciò che ha, guarda chi ha di più, che alla fine ti rendi conto che tu avrai la metà, ma quella metà te la godi.
io personalmente credo nella meritocrazia e nel suo valore, non riesco ad immaginare una società in cui l'uomo non possa lottare e aspirare a qualcosa di più (non solo intermini di denaro), ma è un conceto limitato a delle capacità, non ad un valore effettivo.
quello secondo me è un'altra cosa, e soprattutto è una cosa che si ripaga sola, lungo tutto il corso della vita, e non ha bisogno che siano gli altri a riconoscerlo.

dario ha detto...

In altre parole, correggimi se sbaglio, credi nel consumismo come valore positivo per la persona, indipendentemente dal fatto che possa o meno fare danni a livello sociale... Anche se, d'altra parte, giudichi che il valore etico di una persona si misura spesso con altri parametri.

Io la vedo in modo un po' diverso. Personalmente mi pare di essere una persona buona, ma fatico per riuscire ad ottenere denaro sufficiente per soddisfare quelli che in una societa' come la nostra sono comunemente considerati beni essenziali (la casa, ad esempio).
Mi scoccia che gente cattiva ma ambiziosa riesca ad avere molto piu' denaro di me (e molto piu' di quanto riesca a spendere) proprio grazie a qualita' come cattiveria e ambizione.

In altre parole mi da' fastidio che si misuri il merito in base a valori che non hanno niente a che vedere con il bene della societa'.

Io aspiro a qualcosa di piu'. Malauguratamente quel qualcosa di piu' si puo' ottenere solo con del denaro. Ma dovro' rinunciare ad ottenerlo se per guadagnare quel denaro io dovessi passare sopra ai miei valori morali.

Artemisia ha detto...

E' sicuramente colpa mia che leggo i post sempre di fretta e con l'ansia di tornare al dovere, ma confesso che mi perdo sempre nelle tue considerazioni. Mi sa che il filosofo lo avresti fatto proprio bene, perche' i filosofi io non li capisco mai ;-)

Solo qualche considerazione sparsa.

- Io non credo affatto che il tuo datore di lavoro sia "bravo a gestire il personale" se e' vero che crea un clima repressivo. Questo, non solo non e' giusto ma e' anche poco conveniente. Chi si sente represso lavora peggio e se puo' cerca di fregare. Forse proprio il fatto che la sua posizione se la sia trovata per nascita e non se la sia conquistata come ha fatto invece il capoi di Liber significa qualcosa.

- Ha ragione Liber quando dice che il valore di una persona non si misura certamente in quanto guadagna.

- Anch'io credo nel merito, nel senso che ci dovrebbe essere differenza tra chi fa e chi non fa (lascia perdere per un attimo la bravura). Invece purtroppo spesso e volentieri non c'e' (anzi spesso e' il contrario).

- La nostra societa' non e' affatto meritocratica. Neanche un po'. Tant'e' che, come dimostra anche la tua storia, le nostre sorti sono legate quasi sempre alla famiglia in cui nasce che e' solo questione di fortuna e non di merito (salvo eccezioni naturalmente).

- Riguardo a chi giudica il merito, penso che il tuo capo ti risponderebbe che il suo lo giudica il mercato, che e' il dogma imperante del liberismo (che io non condivido, sia chiaro). A questo proposito, se non lo hai gia' visto, ti consiglio caldamente l'ultimo film di Michael Moore "Capitalism a love story". L'ho visto ieri sera e ho pensato che ti piacerebbe.

Ciao!

liber ha detto...

io non sono brava a scrivere come te ma penso che:
l'"ambizione materiale" dell'uomo lo abbia spinto a creare benessere, chi ha inventato la lavatrice l'ha fatto probabilmente perchè era un curioso creativo e perchè lui o chi lo finanziava ci vedeva una possibilità di guadagno. ma oggi non ci si spacca più la schiena per lavare.
(esempio banale ma che credo che possa sintetizzare tante cose, ben più importanti).
viviamo in una società materialmente fortunata, viviamo nel benessere.
e qual'è la fondamentale importanza di ciò?
che l'uomo nel benessere può coltivare se stesso, può permettersi di fare cose belle, la sua personalità può vivere ed esprimersi (molto più difficile per il ragazzino che va a prendere l'acqua e magari ha fame... che possibilità hanno le sue potenzialità umane di vivere appieno?)
quindi non condanno un sistema un po' libero che lascia respirare l'intrapendenza dell'uomo (un po' libero eh, il capitalismo libero totalmente è una porcheria che schiaccia il più debole e asservisce ogni morale al denaro).
la meritocrazia fa sì che una società crei (se i riceracatori non li valorizza nessuno chi fa ricerca? se i capi nati non lo diventano chi dirige? se il bravo artigiano viene messo su una catena di montaggio chi fa certi lavori che richiedono cura?)

il consumismo è l'altra faccia della medaglia, la schiavitù dall'avere l'ultimo cellulare (anche questo uno stereotipo per sintetizzare), l'infelicità perchè magari a uno gli pare che non ha abbastanza, il guadagno ad ogni costo (anche a scapito dei propri principi, o del proprio tempo che si dovrebbe dedicare per es. alla famiglia, agli amici, alla cultura, ai meno fortunati, alla natura o che ne so).

ma se farci schiacciare dal consumismo o goderci il benessere che abbiamo, è una scelta tutta nostra. sta a noi prendere il buono di questo sistema e rifiutare culturalmente e personalmente la parte negativa.

riguardo al valore della persona, non credo che si misuri "spesso" con altri parametri, si misura proprio con altri parametri!

il valore vero si ripaga solo.
io ho avuto un paio di occasioni in cui un po' meno lealtà mi avrebbero portato dei vantaggi materiali... non ho rifiutato perchè sono santa, ma nella mia scala di valori la mia persona vale molto, e non la svendo per soldi. detta franca, non me ne sbatte niente. ho i miei principi e la mia prima libertà é quella di esser loro fedele, non è neanche un sacrificio.
e si ripaga con la soddisfazione di sentirmi libera di essere quello che sono e come voglio.

liber ha detto...

e si ripaga con la soddisfazione di sentirmi libera di essere quello che sono
e come voglio.

ci sono persone che hanno più soldi essendo cattiveriosi? scelta loro. loro hanno in cambio il denaro, e la persona che si ritrovano, che poi con te stesso ci devi vivere, no? e non è che coi soldi ti puoi sfuggire...! tu faresti cambio? io no. i soldi fanno comodo, ma non danno la felicità, ed è una verità sotto gli occhi di tutti che ha l'unico difetto di essere stata troppo detta e poco ascoltata.
ognuno fa le sue scelte, l'importante è essere contenti e in pace con le proprie.

liber ha detto...

vabbè, mi dava sempre che non aveva scritto il commento, ti prego cancella un po'...

dario ha detto...

Liber: spero di non aver cancellato troppo...
...ti rispondo domani, con calma...

dario ha detto...

Artemisia,
Io penso che tu capisci molto di piu' di quanto ammetti. Pero' ti devo dare sicuramente ragione sul fatto che io non so spiegarmi abbastanza ;-)
Ultimamente questa incapacita' e' aggravata dal fatto che curo meno la forma dei miei post. E' il nuovo corso, che pare funzionare ;-)

Io non credo di aver detto che il mio datore di lavoro e' bravo a gestire il personale. Dio mi fulmini!
Ho invece detto che anche nel contesto di uno scenario del tutto ipotetico e speculativo in cui "il mio datore di lavoro fosse un imprenditore modello", io potrei dire di non avere la sua capacita' di "gestire il personale" tanto quanto lui non ha la mia capacita' di scrivere programmi. Eppure, sempre nel contesto di quello scenario, lui sarebbe pagato di piu'. Perche'? Perche' lui, in quanto imprenditore, decide il mio stipendio, mentre io non decido il suo.
Ed io non posso diventare imprenditore di me stesso, perche' non ho la capacita' di fare l'imprenditore. Anche lui, invero, non ha la capacita' di diventare il suo programmatore, ma cio' non toglie che io piglio meno di lui. E' cosi' che va. E questo e' il fallimento della meritocrazia. A meno che...

...a meno che, come cercavo di dire, c'e' sotto il trucco. Cioe', in un sistema gerarchico il merito e' contato con quanto piu' in alto si sta nella gerarchia. In effetti un dirigente piglia di piu' di un impiegato, anche se il dirigente e' cosi' cosi' e l'impiegato e' un genio. Questo perche' le qualita' di un dirigente sono valutate di piu' di quelle dell'impiegato, quando si da' un voto per determinare la corrispondenza dell'appagamento del merito.

Chi non sarebbe d'accordo con Liber quando dice che il valore di una persona non si valuta in quanto guadagna? Ebbene si', anche io sono d'accordo. Ma questo non e' esattamente il fallimento della meritocrazia? Oppure non ho capito che cosa intendi per meritocrazia?

Okay, in qualche modo sono d'accordo con te. Anche io penso che un programmatore che fa dovrebbe essere pagato di piu' di uno che non fa. Ma bisognerebbe anche definire che cosa significa il verbo fare in questo contesto. Tipicamente, quando si parla di meritocrazia, si intende che fa di piu' uno che porta piu' ricchezza all'azienda.

A me, francamente, piacerebbe di piu' un sistema in cui venisse piu' pagato uno che fornisce piu' ricchezza umana, culturale... piuttosto che materiale. Mi piacerebbe un sistema meritocratico in cui il merito venisse valutato secondo parametri che non sono quelli del guadagno materiale. Ma come fare a pagare con soldi materiali una ricchezza non materiale?

Sono d'accordo che la nostra societa' non e' meritocratica, perche' premia secondo criteri che non possono proprio essere definiti "merito". Ma questo e' un altro paio di maniche. La domanda e': davvero vorremmo una societa' (per ora utopistica) in cui il merito paga? Una societa' cosi' e' una societa' che da' valore al denaro (infatti si persegue il merito per ottenerne).

Mi sono perso il film di Moore che citi, uno delle poche sue opere che non ho visto. Sono d'accordo con te quando dici di non condividere il dogma del liberismo. Ma come contestualizzi allora la meritocrazia? Io non ci riesco, ed e' per questo che mi puzza.
Cioe', potremmo dire, per esempio, che meritocrazia significa che se uno da' tanto amore viene ripagato con altrettanto amore. Se invece uno odia molto non dovrebbe essere altrettanto amato. Ma io francamente non ci credo che stai parlando di questo. Secondo me quando dici meritocrazia intendi soldi. Ammettilo! ;-)

dario ha detto...

Liber.
Non buttarti giu', francamente io penso che tu sia molto piu' brava di me a scrivere.

Pero', supponiamo che la tua affermazione sia vera. Io sono piu' bravo a scrivere di te.
Se questo fosse il metro per valutare il merito, io avrei diritto a fare piu' soldi di te, non credi?
Io non so se faccio piu' soldi di te, ma se il metro fosse quello mi sembrerebbe una assurdita', perche', non so quale sia il tuo lavoro, ma il mio non e' scrivere. Non dico che non mi piace il mio lavoro (per la verita' in quest'ultimo periodo, da un annetto a questa parte, lo odio, non per il lavoro in se, piuttosto per la qualita' della vita nel posto di lavoro... ma questo e' un altro discorso), ma io lavoro per i soldi. Faccio programmi perche' mi pagano, se non mi pagassero non li farei. O magari li farei per sfizio personale, ma in quel caso non mi aspetterei che venissero ricompensati secondo un criterio di merito.
Quindi, se lo scrivere bene non e' un criterio per misurare il merito che serve per pagarmi uno stipendio, allora qual'e' il criterio?
Si potrebbe pensare che il criterio e' scrivere buoni programmi. Ma se cosi' fosse, io, che sono davvero un eccellente programmatore perche' scrivo eccellenti programmi, dovrei essere pagato tantissimo, e invece cosi' non e'. Temo che nel mio caso ci siano due fatti che concorrono fortemente alla inadeguatezza (?) del mio stipendio:
1) la crisi economica porta ad avere molti programmatori (di diversi livelli) ad accettare la qualunque, per una semplice legge di domanda/offerta.
2) le persone dell'ufficio delle risorse umane non sono assolutamente in grado di valutare il mio lavoro. Questo e' evidentemente gravissimo per un ufficio di risorse umane. Ma forse nell'economia dell'azienda cio' non costituisce un problema: dipende da quale sia la strategia di evoluzione dell'azienda, ed io, come gia' detto profusamente, in queste cose e' meglio che non metta il naso. Insomma, magari e' piu' utile all'azienda uno smanettone dei computer che si trova ad ogni angolo, magari fresco di universita', o addirittura di superiori, senza ne' esperienza ne' conoscienza approfondita, che si paga due lire, che un genio che e' in grado di formulare soluzioni innovative e di costruire algoritmi mai visti prima, efficienti, eleganti e facilmente manutenibili (ma quanto me la tiro!). La scelta tra queste figure e' un fatto di strategia aziendale in cui non voglio ne' posso mettere il becco.
Certo si potrebbe valutare un lavoratore in un determinato campo in base ad un criterio proprio di quel determinato campo. Un programmatore e' difficile da misurare (anche se la qualita' del suo lavoro e' facilmente smascherabile). Storicamente, nondimeno, si e' tentato di farlo in svariati modi. Ad esempio, il modo piu' becero che ho mai visto (su cui in passato sono stato misurato), e' il numero di righe di programma. Quante piu' righe di codice il programmatore scrive, tanto piu' duramente lavora. Peccato che un programma geniale in genere e' costruito in poche righe di codice, mentre un programma da smanettone e' tipicamente lunghissimo e difficile da leggere. Ma fa niente, supponiamo che il numero di righe al giorno sia un criterio buono per valutare un programmatore. Avremmo risolto il problema del merito nell'ambito dei programmatori. Ma allora, visto che entrambi percepiamo uno stipendio nello stesso sistema produttivo, come facciamo a proporzionare il mio stipendio con quello del mio capufficio, che programmatore non e' e svolge compiti piu' "manageriali"?
A me pare che nel contesto dell'azienda (e sottolineo il complemento di limitazione), il merito dovrebbe essere misurato in base alla produttivita', cioe' in base a quanta ricchezza si fornisce all'azienda. Cioe', il mio lavoro produce molta ricchezza? Allora dovrebbe essere pagato molto.

continua...

dario ha detto...

...continua

Questo criterio e' discutibile, ma secondo me e' l'esatta fotografia della definizione di meritocrazia.
Non valuta la persona in quanto tale. Valuta la persona solo in base a quanto bene opera nel campo in cui opera, ed in base a quel valore viene retribuita. Non credo che nessuno si permetterebbe di determinare il valore morale dell'Uomo tramite un criterio di produttivita' (in altre culture, la giapponese, per esempio, credo che si giunga anche a questo, con effetti devastanti).

Io trovo che questo metodo per misurare il merito sia anche pericoloso, come ti dicevo, perche' spesso premia chi opera in modo immorale (e quindi dannoso) nei confronti della societa'. Ad esempio, un bravo venditore e' uno che riesce a vendere a caro prezzo la merda. Ottiene un gran risultato per l'azienda, ma costituisce una fregatura dannosa a chi compra.
L'esempio del venditore e' evidentemente funzionale a promuovere la mia opinione, ma se ci pensi, l'intero sistema capitalista liberista nel quale viviamo fa esattamente la stessa cosa di quel venditore. Cioe', piu' brava e' una azienda che riesce a produrre ricchezza a basso costo. Cioe' a vendere il prodotto ad un prezzo piu' alto del suo valore. Questa asimmetria tra valore e prezzo e' intrinseca nel sistema, perche' in un sistema capitalista una azienda vive del fatto che produce un utile. E quell'utile e' esattamente la differenza tra prezzo e valore (materiale).

Il mio sogno, per me e la mia famiglia, e' un giorno ritirarmi, acquistare una cascina da ristrutturare in centro italia, ristrutturarla e vivere coltivando la terra. Magari integrando con una attivita' agrituristica, piu' con lo scopo di far assaggiare agli ospiti il sapore di quella vita che non quello di fare soldi.
Me lo merito? Non mi conosci a sufficienza per dirlo, tu. Ma anche io stesso non so rispondermi a questa domanda, perche' in realta' me lo meriterei solo nel momento in cui avessi i soldi per realizzare questo sogno. E avere i soldi significa lavorare sodo prima, per molti anni. E lavorare sodo significa fare in modo che il frutto del mio lavoro renda molta ricchezza all'azienda per la quale lavoro, cioe' contribuisca ad alimentare un sistema che, come il venditore che vende merda, sia distruttivo per la societa'.
Allora, la realizzazione del mio sogno bucolico, all'apparenza di indubbia moralita', sembra esseresocialmente poco accettabile.
Sempre che si misuri il merito con la produttivita' (cioe' vale quel condizionale scritto sopra: "me lo meriterei solo nel momento in cui avessi i soldi per realizzare questo sogno").

Perche' francamente, dal punto di vista etico, io penso proprio di meritarmela, la realizzazione di questo sogno. Eppure la meritocrazia paga secondo un criterio di produttivita', non di valore etico.
E, alla fine, non saprei proprio come si possa ridefinire le regole del sistema per fare in modo che la meritocrazia si basi su criteri etici e non produttivi, visto che i soldi si fanno in base alla produzione.

E' fondamentalmente questo che non mi va di un sistema meritocratico.

Artemisia ha detto...

Mamma mia Dario, sono troppo stanca per seguire il tuo ragionamento!
Ti dico solo che è FACILISSIMO capire chi fa e chi non fa. Molto più facile del capire chi è bravo e chi non lo è.
Per il resto mi sembra che stiamo parlando di cose diverse e forse non è neanche troppo utile farlo.
Buona notte!

liber ha detto...

personalmente non pensoa possa esistere una meritocrazia del valore etico della persona.
banalmente: chi giudica?
e poi, non è un concetto un po' stridente?


sei un bravo programmatore? sei certamente stato fortunato ad avere in dono l'intelligenza. ma hai il merito di averla usata, probabilmente di averci messo impegno, serietà.
il problema semmai è che spesso la meritocrazia non c'è, fra un bravo programmatore che costa e uno così così che permette di economizzare spesso si sceglie il secondo.
la qualità si paga
- perchè porta ricchezza all'azienda, e questo significa anche lavoro per qualcun altro
- perchè crea un prodotto di qualità, che spesso è anche qualità della vita (quel prodotto lo comprerà forse una persona comune che non naviga nell'oro e per cui se funziona meglio o peggio ha importanza)
- perchè porta progresso (di miglioria in miglioria ci scriviamo da un pc all'altro senza conoscerci :-))
... insomma... alla fine chi lavora bene rende sempre un servizio alla società...

in una società meritocratica non fa strada il furbetto o lo scorretto. fanno strada impegno e serietà. professionalità. affidabilità. in una società di consumatori e cittadini critici, ma questo dipende da noi tutti.

certo io sono fortunata perchè lavoro in un settore che sento come utile, e per una persona che vedo correta in genere (committente compreso)
però anch'io un po' l'ho "scelto" altri capi li ho abbandonati prima perchè non mi piacevano. è molto difficle lavorare per qualcosa/qualcuno in cui si crede poco (e ammiro chi ci riesce perchè io mi demotivo e non rendo niente).


vuoi la cascina? forse puoi, forse dipende da quanti sacrifici sei disposto a fare. forse non puoi ma c'è una soluzione di compromesso che salva la sostanza del tuo desiderio. l'importante è che non ci rinunci.

guarda, è un caso, ma noi stiamo ristrutturando. non è una cascina ma ha due terreni. è piccola, di origine poverissima e contadina.
terreni e casa hanno costato 80mila euro (che era il max del mutuo che ci davano perchè per le banche io non esisto).
io sto lavorando in media 55 ore/settimana da due anni (e penso che sai che sono uno sproposito), viviamo in 25 mq in due (interrato, una cantina).
ma lui che è tornato in città per me, qui mi moriva (è una lunga storia che ti risparmio), quando l'ho vista non ci ho pensato due volte.
chissa quando useremo i terreni. ci vorrà tanto tempo. ma che importa... i sogni sono fatti per essere rincorsi, afferrati inseguiti.

non ci sono dei finanziamenti? a volte per queste cose ci sono. se davvero la vuoi l'avrai. ma non devi mollare.

chiudo con questo...

p.s. anch'io ero un po' perplessa all'idea della bravura legata alle tante righe del programma... mi ricordo che all'esame di informatica dovevi arrivare allo stesso risultato in meno istruzioni possibili...!

dario ha detto...

Arte, mettiamola cosi'.

dici:
"è FACILISSIMO capire chi fa e chi non fa"

Ma fa o non fa che cosa?

Artemisia ha detto...

Buon giorno, Dario. Scusa se sono stata un po' brusca ieri sera.

Chi fa cosa? Ma quello che c'e' da fare, diamine! Pratiche amministrative per me, portafogli e cinture per la mia amica che fa la pellettiera, metri di asfalto per chi fa le strade.

Tra me che quando sono in ufficio non mi fermo mai e la mia collega che fa tre pratiche poi si mette per il resto della giornata a chattare su FaceBook, chi merita piu' soldi secondo te? (Certo che si parla di soldi, Dario. E di cosa? Di quanto siamo bravi a letto?) Io e la mia collega prendiamo lo stesso stipendio. Io ricevo un sacco di complimenti e pacche sulle spalle ma questo va bene i primi cinque minuti poi uno si scoccia.
E comunque c'e' altro nella vita oltre al lavoro (che pure e' importante), ma questo voi uomini spesso tendete a dimenticarlo.
Adesso ti saluto perche' devo produrre.
Bacioni.

dario ha detto...

Liber,
Dall'incipit del tuo ultimo messaggio si dedurrebbe che sei d'accordo con me.
Siccome non si puo' misurare il merito sul valore etico, allora un sistema meritocratico lo puoi solo basare sulla produzione.

Poi dici che la qualita' paga. Non e' vero. In questo periodo sto facendo colloqui, perche' e' ora di cambiare aria, eppure trovo un sacco di offerte di lavoro per programmatori cosi' cosi' da pagare due soldi. Quindi, o mi adeguo a fare lo spalatore di software a due soldi (cioe' imparo a lavorare male, che' non e' richiesta la qualita'), oppure rimango dove sono, in attesa di tempi migliori.
Crisi? Boh. Se fossi un imprenditore alle prese con questa crisi, o chiuderei bottega, oppure rilancerei, cercando di battere la concorrenza, visto che il mercato si stringe, e quindi darei piu' spazio alla qualita', a costo di rischiare di piu', non meno spazio per risparmiare. Se un imprenditore non fa un ragionamento del genere vuol dire che preferisce intascare il malloppo intanto che e' caldo, e poi ritirarsi in un qualche paradiso fiscale (che, guarda caso, in genere si tratta di spiaggia tropicale). Il suo demerito gli paga, il mio merito mi costa. Altro che meritocrazia!

Dici che chi lavora bene rende un servizio alla societa'. Io lavoro in un sistema capitalista liberista. Anzi, no, e' molto peggio, e' un sistema governato dalla mafia, ma aspira ad essere capitalista liberista.
Se fosse come aspirerebbe ad essere, chi lavora non fa un servizio direttamente alla societa', ma lo fa alla azienda per cui lavora, ed in ultima analisi al sistema capitalista stesso. Che e' creato per generare disuguaglianza sociale. Se non ci fosse disuguaglianza sociale il sistema non vivrebbe.
Il sistema funziona se il prodotto costa di piu' di quanto vale. In altre parole, io non avrei abbastanza soldi per acquistare quello che io stesso produco. Quindi, per evitare una banale crisi di sovrapproduzione, bisogna allargare il sistema economico. In poche parole bisogna che i poveri diventino sempre piu' poveri e che i ricchi diventino sempre piu' ricchi. Ecco, questa e' una semplificazione estrema di quello che penso del capitalismo, se ti interessa un po' di filosofia pane-e-salame qui (in inglese) ho cercato di spiegarlo meglio in una discussione entusiasmante (per me) avvenuta quattro anni fa.
In soldoni io credo che avere un telefonino per tutti (uso questo prodotto come archetipo della tecnologia, anche se in realta' odio i telefonini) sia una cosa buona per la societa', perche' consente di comunicare a distanza eccetera eccetera. Ma ritengo che il sistema che l'ha prodotto, che poi e' lo stesso che ha fornito uno stipendio all'impiegato che l'ha costruito, ha generato un danno enorme per la stessa societa'. Forse, a conti fatti, la societa' avrebbe deciso di rinunciare al telefonino per assicurare una pagnotta a tutti. E quindi forse sarebbe stato il caso che il lavoratore che ha costruito il telefonino non fosse pagato per quell'attivita'.
Io faccio il programmatore. Sono bravo. Lavoro per una azienda metalmeccanica che produce stampi per lamiere. Le lamiere servono per fare le carrozzerie delle automobili. Se io lavoro bene, l'azienda lavora bene, gli stampi costerebbero di meno, le aziende automobilistiche pagherebbero di meno per comprarli, quindi potrebbero ridurre i costi per produrre automobili, le automobili costerebbero di meno, quindi piu' persone potrebbero comprarne, e andarci in giro, bruciando benzina e producendo CO2 a manetta. Semplificando, anche se non e' il mio scopo, ma solo un effetto collaterale, se io lavoro bene, produco CO2. Quindi, di conseguenza, se io lavoro male riduco le emissioni di CO2.

continua...

dario ha detto...

...continua

Potresti pensare che il problema ecologico e' parte significativa solo del mio lavoro (e di tutti quelli coinvolti nel ciclo produttivo dell'automotive nel mondo - che per altro non sono un numero trascurabile). Ma io penso che questo si applica a qualunque cosa. Il progresso genera vantaggi per la societa', ma pure svantaggi. Penso che, anche se non so se riuscirei a sopravvivere senza i vantaggi, gli svantaggi stanno portando il mondo all'autodistruzione, da tutti i punti di vista, non solo quello ecologico, ma anche sociale.
Questo non signifca che devo lavorare peggio per evitarlo, ma che bisognerebbe modificare il sistema in modo che la logica non sia piu' produrre meglio e di piu' per fornire una produzione maggiore e di migliore qualita', ma quella di arrivare ad un livello di ricchezza equo, per nutrire tutta la societa', salvaguardando la natura e livellando la ricchezza di tutti. In poche parole dividere il pezzo di pane con gli altri per sedersi alla stessa tavola. E smettendo di produrre, se produrre significa incrinare questo equilibrio.

In altre parole l'esatto contrario della meritocrazia.

Dici: "in una società meritocratica non fa strada il furbetto o lo scorretto". Bene, ma la societa' meritocratica di cui parli, e' ancora un'utopia irrealizzabile, finche' il furbetto e lo scorretto detta le regole. Io lavoro dal 1993, e non ho mai visto una sola situazione, in italia o all'estero (conosco un po' il sistema USA) in cui chi decide lo stipendio del lavoratore (e quindi ne valuta il merito) non sia un furbetto scorretto, che fa i propri interessi anziche' quelli, non dico della societa', non dico del lavoratore, ma almeno dell'azienda che lo paga. Neanche un caso. Tu ne hai visti?
Forse si potrebbe concludere che la meritocrazia si appoggia su un equilibrio instabile, tipo un uovo sul tavolo dalla parte della punta, che tende a cadere.
Poi potremmo anche discutere se quell'utopia ci piace o no.
Quel che sto cercando di dire e' che sicuramente a me piace di piu' quel sistema ipotetico (anche se e' solo ipotetico) (o forse proprio perche' e' ipotetico!), del sistema ingiusto in cui vivo. Io sono piu' produttivo per l'azienda di quanto lo sia il mio capufficio. Lavoro piu' duramente e ottengo risultati piu' significativi in termini di aumento di ricchezza per l'azienda. Eppure il suo stipendio e' molto maggiore del mio. Vivo questa come una ingiustizia.
Tra un sistema "mafioso" e un sistema meritocratico preferisco il sistema meritocratico.
Ma tra un sistema meritocratico e un sistema equo preferisco di gran lunga il sistema equo.
Cioe', il sistema che da' cibo a tutti, non che premia il migliore.
Come si fa a realizzare questo sistema? Boh, chiedetelo agli espertoni. Quegli espertoni che dicono che il massimo della liberta' e' lasciare libero il mercato, che in questo modo si produce ricchezza per tutti, e infatti il ragazzino africano fatica anche a trovare l'acqua sporca per dissetarsi, mentre il mio capo si lamenta per lo sfriso sulla sua maserati placcata oro.

continua...

dario ha detto...

...continua

La cascina? No, non rinuncio. Ma non ho la minima idea di come realizzarla. Intanto, per i prossimi dieci anni devo pagare il mutuo di questa casa. Mi rimangono tra i cinque e i diecimila euro, a seconda del periodo, in banca, quindi, considerando il debito del mutuo sono piu' o meno sotto di cinquantamila euro. Avevo pensato che piu' o meno una cascina da ristrutturare costa centomila euro, e piu' o meno, ristrutturalrla, altri centomila. Quindi mi mancano duecentocinquantamila euro, penny piu', penny meno, per realizzare il mio sogno.
Magari pero' domani mi schiatta uno zio d'america ricchissimo che non sapevo nemmeno di avere, e dopodomani ce la posso fare. Pero' mi pare piuttosto improbabile. Nondimeno il sogno mi costa niente, quindi vale la pena di spenderlo, quel niente.

Anche tu, mi conforto leggendo, ti sei imbattuta con una valutazione a numero di righe. Assurdo eh? Eppure spesso chi decide lo stipendio del programmatore utilizza quel metodo. Dedurrei che quella personcina e' assolutamente non in grado di fare il proprio mestiere, nonostante il fatto che pigli di piu' del programmatore. Come inseriamo questa idiosincrasia in un sistema meritocratico?

(scusa la logorrea)

dario ha detto...

Arte,

Tanto per cominciare non e' una questione di chi fa e chi non fa, quindi, ma di chi fa di piu' e chi fa di meno.

Quantita'.
Tra te e la tua collega che fate lo stesso mestiere e' facile capire chi fa di piu' e chi fa di meno. Se tu fai 150 pratiche e lei ne fa 15, grossomodo tu lavori 10 volte tanto lei. E quindi pretenderesti di essere pagata, non dico 10 volte tanto, ma almeno un poco di piu'. Questo l'ho capito.
Ma se devi confrontare il tuo mestiere con quello della tua amica pellettiera, come fai? Tu fai centocinquanta pratiche e lei fa due portafogli e una cintura. Chi ha lavorato di piu'? E di conseguenza, chi ha diritto ad avere un compenso maggiore? E' questo che e' difficile da valutare, non credi? Come fai a valutarlo?
Tu hai lavorato otto ore sudando sangue, mentre la pellettiera ha lavorato quattro ore e poi e' andata a letto con il suo uomo per altre quattro (gran resistenza del suo uomo) (questo esempio, spero non offenda nessuno, e' tanto per mostrarti che, pur essendo uomo sono consapevole che esistono cose molto piu' importanti del lavoro).
Quindi, dicevo, tu hai diritto al doppio del suo compenso, perche' hai lavorato il doppio mentre lei svolgeva attivita' piu' piacevoli?

continua...

dario ha detto...

...continua

Qualita'.
Supponiamo che tu sei un po' imbastita, lavori otto ore sudando sangue per fare 15 pratiche, mentre la tua collega invece e' un genio, lavora un'ora e chatta su facebook per sette, ma in quell'ora fa 150 pratiche. Chi ha lavorato di piu'? Secondo me lei, perche' lei ha fornito all'azienda una ricchezza maggiore di quella che hai fornito tu.
Prendiamo ora il caso di me e del mio capufficio. io lavoro sodo nove ore al giorno. Penso che produrrei di piu' se lavorassi otto, e cio' e' comprovato dal fatto che quando mi hanno intimato di lavorarne nove - con una di straordinario non retribuito - la mia produttivita' e' diminuita. Non l'ho fatto per ripicca: a me comunque piace impegnarmi al massimo: e' piu' faticoso ma piu' stimolante. Ma un'ora in piu' mi induce a meno concentrazione totale nell'arco delle nove ore. Dario che lavora duro otto ore vale di piu' di Dario che lavora duro nove ore. Quindi quale dei due Darii merita uno stipendio maggiore?
Il mio capufficio invece lavora nove-dieci ore, ma si perde via. Chatta anche lui con le sue fidanzate, ma lo fa di nascosto. Si occupa di cazzate, e impiega tremila anni a venirne a una perche' e' totalmente impreparato, e quindi non e' in grado di pianificare il lavoro degli altri (dovrebbe essere il suo compito principale). In ufficio sospettiamo che sia anche un po' cerebroleso. Eppure fa comodo, una persona come lui, alla dirigenza. E' lo zerbino del capo, e il capo ha bisogno di uno zerbino. Boh! Se l'hanno assunto e poi riconfermato e' perche' lo ritengono un valore aggiunto per l'azienda.
Il punto e' che lui e' un deficente che fa benissimo il mestiere del deficente, mentre io sono un genio che fa benissimo il mestiere del genio (concedimi l'esagerazione). Tutto quadra, salvo il fatto che lui piglia molto piu' di me, semplicemente perche' nell'albero gerarchico occupa un gradino superiore. Non funzionerebbe un sistema dove chi sta sopra piglia di meno di chi sta sotto. Ma nonostante questo in genere e' chi sta sotto che produce la ricchezza che serve a pagare lo stipendio di chi sta sopra.
Io dico "cacchio, ma io mi faccio in quattro per fare buoni programmi" e lui dice "si', ma se non ci fossi io a pianificare, il tuo lavoro sarebbe inutile". La sua risposta e' falsa. Ma se anche fosse vera, come potresti confrontare il valore del suo lavoro di pianificare con il mio di programmare?

Parlando di meritocrazia parliamo di soldi. Io fornisco una ricchezza all'azienda, l'azienda mi paga uno stipendio proporzionato.
Io non sono sicuro che mi piacerebbe una societa' meritocratica. Secondo questo metodo le persone, se vogliono avere piu' soldi, devono lavorare in modo da arricchire le loro aziende. Io non ci trovo molto di socialmente positivo in questo concetto, perche' non e' affatto detto che l'arricchimento di una azienda sia un valore sociale.

Credo che ci sia un collegamento stretto tra il significato di meritocrazia e il dogma del liberismo, che pur dichiari di non condividere.

Artemisia ha detto...

E infatto te l'ho detto che sul lavoro non sono comunista (ma neanche liberista, ti prego non cominciamo a parlare anche di questo).
Semplicemente il tuo capufficio (da quello che racconti) non e' adeguato per il ruolo che ricopre e il tuo datore di lavoro (sempre a quello che racconti) non sa scegliere i capufficio.
Poi sul fatto che si debba pagare di piu' un lavoro piuttosto che un altro o il lavoro manuale (come quello della mia amica pellettiera) piuttosto che il nostro intellettuale e' un tema luuuuuuuuungoooooooo e ampiamente dibattuto sul quale non mi sento di essere competente e, sinceramente, non ho neanche voglia di addentrarmi.
Ciao ciao

dario ha detto...

Bah, Arte, anche secondo me ci stiamo addentrando in considerazioni troppo profonde. Io in realta' volevo solo esprimere un concetto semplicissimo.

Secondo me la meritocrazia nutre il capitalismo, con tutti i suoi vantaggi e svantaggi. Il capitalismo aumenta la ricchezza globale del sistema che sfonda (anche se la diminuisce negli altri sistemi deboli), ma crea disparita' sociali. Accetto il capitalismo perche' non ho la forza di proporre un sistema diverso, ma cio' non mi convince a dire che il capitalismo e' buono.

Inoltre la meritocrazia e' quella che mi fa dire che io dovrei essere meglio retribuito di chi e' meno produttivo di me (tipicamente il mio capufficio). Ma questa posizione mi pare un poco ingiusta nei confronti di chi percepisce meno di me e sgobba molto di piu', come ad esempio il ragazzino africano. Quest'ultima asimmetria e' sostanzialmente figlia dello stesso capitalismo.

Qui dove lavoro me l'hanno davvero fatto a fettine con 'sta storia della meritocrazia. Che risulta sempre che io sono bravo bello e buono, ma finisce che di aumento non ne vedo il becco di un quattrino. E questo sostanzialmente perche' 1) il mio valore non lo sanno giudicare, 2) il mio lavoro non dipende solo dalla mia abilita' ma dalle condizioni in cui mi mettono per farla fruttare.

Mi stanno simpatici quelli che fanno il proprio dovere, e magari qualcosina in piu', ma poi staccano la spina perche' non si fanno servi della corsa alla produttivita'. A un certo punto bisognerebbe dire "basta, per me e' sufficiente" e godersi la vita. Chi e' ricco non lo fa e chi e' povero non lo puo' fare. Bisognerebbe farlo anche per gli altri, che' meno lavoro io piu' possibilita' hanno gli altri di lavorare.

liber ha detto...

io non ho detto che la qualità paga (anche se lo penso), ma che la qualità si paga. almeno in un sistema meritocratico.
la bravura è frutto anche di impegno, non può essere pagata uguale alla mediocrità.
il problema semmai è che non è così perchè oggi si fa tutto sul prezzo.
e in italia forse è peggio che altrove, e infatti un laureato della mia età se guadagna come uno dei nostri elettricisti è tanto!

ma questo è perchè la nostra è una cultura ottusa.
cmq non credo che se fai male il tuo lavoro riduci le emissioni di CO2.

se oggi siamo qui a parlarne, se oggi ci sono programmi in proposito, incentivi economici, se esiste ricerca scientifica sull'argomento, è il frutto di una società viva e abbastanza ricca da potersi permettere di parlarne.
e questa società è così anche perchè tu scrivi i programmi per le lamiere. io la vedo così.

(intanto io sparpaglio pannelli fotovoltaici, va bene? :)

dario ha detto...

Liber, tu che sparpagli pannelli fotovoltaici sicuramente fai un lavoro piu' ecologico del mio.
Ma io parlavo in generale del progresso. La mia azienda che fa lamiere e' un caso particolare che ho portato ad emblema.
Non l'ho detto io per primo che il progresso inquina. E, francamente non mi pare ci voglia un genio a notare che cent'anni fa, magari vivevamo peggio per altre ragioni, ma sicuramente il mondo era meno inquinato, il riscaldamento globale non era un problema, il buco nell'ozono non sapevano nemmeno cosa fosse. Poi adesso invece costuiscono pannelli solari e si mettono la coscienza a posto. Come dire che mangiare banane equosolidali anche quando si e' sazi risolve il problema della fame nel mondo.
Non dico che non bisogna produrre pannelli fotovoltaici. Dico che questi il problema non lo risolvono, perche' anche loro, inseriti in questo sistema, aumentano il fabbisogno di energia. Anche loro, come qualunque prodotto, si inseriscono nel sistema produttivo globale, che, se considerato da un punto di vista globale, e' dannoso per la societa' (anche se puo' essere positivo per molti individui). Ma sto divagando. Quello che mi premeva dire l'ho detto. Il progresso peggiora la situazione, non la migliora. La meritocrazia aiuta il progresso, quindi peggiora la situazione. La "demeritocrazia", di conseguenza, la migliorerebbe. Hai visto Shindler's List? Ecco, tipo il signor Shindler che esortava i suoi lavoratori ebrei a produrre, per i Nazisti, armamenti che non funzionavano. Va bene nel contesto romanzato della narrazione, ma in una societa' come la nostra, se un lavoratore di un armaiolo produce deliberatamente armi che non funzionano lo cacciano a pedate nel culo. E forse hanno pure ragione.

La qualita' si paga. Non ho ben capito (rispiega, please) la differenza con "la qualita' paga". Cioe', il datore di lavoro se vuole assumere un impiegato di qualita' lo deve pagare di piu'. Ma da cio' si deduce pure che un lavoratore di qualita', se assunto, piglia di piu' di uno poco capace. O no?. Il problema e' che, almeno nel mio campo, il datore di lavoro preferisce assumere un lavoratore inesperto pagandolo poco piuttosto che uno esperto pagandolo tanto. Mi pare una scelta sbagliata, ma e' una scelta che non mi compete. Pero' e' cosi'. E di conseguenza l'esperto in cerca di lavoro non lo trova, visto che di inesperti ce n'e' pieno il mondo. A meno che l'esperto non si adegui a fare un lavoro da inesperto, quindi accontentandosi di uno stipendio inferiore. In questo senso la qualita' non si paga (perche' il datore di lavoro non assume il lavoratore esperto) ne' la qualita' paga (nel senso che l'esperto non trova lavoro come esperto). Almeno questo mi e' capitato di osservare in questo periodo di colloqui (che ormai dura da quasi un anno).

continua...

dario ha detto...

...continua

Il problema della meritocrazia che tentavo di evidenziare e' proprio quello che indichi tu. Dici che un laureato della tua eta' (immagino simile alla mia) guadagna meno di un elettricista. E ti scandalizzi di questo. Perche'? Secondo il criterio della meritocrazia dovrebbe funzionare che chi lavora di piu' piglia di piu'. E tu dici di lavorare di piu' dell'elettricista? E come si giudica se uno lavora di piu' o di meno? Secondo me si giudica in base a quanta ricchezza si porta sul bilancio dell'azienda. E la ricchezza come si misura se non con il mercato? In altre parole la meritocrazia si misura in questo modo: Ti va bene, Liber di prendere questo stipendio mentre Elettricista prende di piu'? Bene. Non ti va bene? Vai a cercarti un lavoro che ti paga meglio altrove, magari come elettricista.
In altre parole tu vali, come lavoratrice, quanto il mercato dice che tu vali (e l'elettricista altrettanto). Di conseguenza sei pagata in base a regole di mercato. Questo, secondo me, e' l'unico modo di far funzionare un sistema meritocratico.

Ed io trovo che questo metodo e' davvero difficile considerarlo positivo.

Certo che se fai come Artemisia e mi paragoni due lavoratori che fanno lo stesso lavoro, e' facile dire che quello che lavora di piu' e' quello che produce piu' pezzi. Ma cio' non aiuta ad esempio me, che lavoro in una azienda di duecentocinquanta dipendenti dove i programmatori sono tre (me compreso) che per giunta si occupano di cose molto diverse tra loro. Io come faccio a dire, al direttore del personale: "quello la' lavora di meno di me e quindi mi devi dare un aumento"?!?

Tanto per cambiare discorso. Non e' che cercano un programmatore, da te? Sono bravo e disposto a tasferirmi.

liber ha detto...

Dario, scusa, ma non puoi dire che il progresso peggiora il mondo.
certo l'idustrializzazione ha creato anche grossi problemi e gravi conseguenze, ma non si può intendere progresso con aumento di produzione e a costi più bassi.

progresso è anche produzione migliore, che significa condizioni dei lavoratori giuste e processi più controllati e meno inquinanti.
progresso è anche culturale e soprettutto legislativo.
ma progresso è anche lavoro per la maggioranza a condizioni che permettono di vivere e non sopravvivere.
frutto del progresso sono anche la coscienza ambientale e sociale.
figli del progresso sono l'assistenza sanitaria, il welfare, la legge uguale per tutti, i parchi naturali, la cultura per tutti, la scuola, la possibilità per il figlio dello spazzino di diventare un procuratore se ha intelligenza e volontà.

progresso è un bambino che va a scuola e gioca con gli amici invece di lavorare nei campi.

prima del progresso pochi padroni vivevano bene e gli altri subivano fame, miseria, freddo, soppraffazione. ed erano convinti che fosse giusto così.

se ci guardiamo intorno il modno fa schifo. troppe disuguaglianze, troppo inquinamento, troppi atteggiamenti mafiosi.
ma se ci guardiamo indietro...

abbiamo strada da fare. dobbiamo interiorizzare che progredire non vuol dire "di più" ma "meglio e per tutti", dobbiamo rimettere in ordine la scaletta delle priorità, ma abbiamo cominciato a farlo già da tempo.
ci sono interessi forti da combattere, e io penso questo in maniera un po' estrema:

o cambiamo un po' rotta, ma senza tornare indietro, o ci estinguiamo.

nessuna delle due opzioni mi sembra catastrofica, la prima sarà una nostra vittoria sul lato umano stupido, la seconda sarà peggio per noi, ma sopravviverà la natura...
entrambe mi danno fiducia nel domani.

liber ha detto...

quanto alla meritocrazia: perchè io dovrei valere economicamente più di una elettricista? perchè ho speso anni a studiare mentre lui già lavorava e guadagnava (11 anni fra superiori e università!), e perchè, lo dico senza paura di apparire superba, ho una capacità di apprendimento, un'apertura mentale, una capacità di dialogo con gli altri, una capacità di gestione e autogestione che il mio collega operaio non ha (e questo lo vedo ogni giorno). perchè lui non saprebbe imparare il mio lavoro, ma io saprei imparare il suo. perchè la società ha bisogno di quelli come me, perchè è una come me che ha creato leggendo, capendo, progettando, cercando, un settore in azienda che non c'era, e l'elettricista non sarebbe stato capace di farlo.
è giusto che lui abbia una paga giusta, delle condizioni di lavoro giuste. perchè fa una lavoro importante e adesso comincia a lavorare al freddo, e d'estate al caldo. o semplicemente perchè fa un lavoro.
ma la società dovrebbe riconoscere il valore che danno quelli come me (e come te).
perchè?
banale: perchè altrimenti nessuno più si sbatterebbe a studiare sei anni ingegneria, la tecnica morirebbe, e così la cultura scientifica, quella umanistica etc. etc.
probabilmente nessuno leggerebbe un libro e i berlusconi non andrebbero al potere per un triste periodo ma ci resterebbero per sempre, e torneremmo alla legge del più forte.


se il mercato del lavoro italiano non paga un certo tipo di lavoro è dovuto al fatto che la mia generazione non ha mai visto un contratto (ma questo è un altro discorso che qui evito) e al fatto CHE IN ITALIA NON HANNO ANCORA CAPITO CHE FARSENE DEL VALORE INTELLETTIVO!! non lo sanno usare! gli imprenditori spesso non ne capiscono le potenzialità!
( e credo che anche questo sia evidente e poco discutibile...)
io ho amici che sono andati al nord ed è tutta un'altra musica, li spremono, li pagano, danno loro responsabilità.

quindi torniamo al concetto di prima: non dev'essere la quantità ad essere pagata, o non solo. deve essere anche la qualità.
in altri paesi avviene.
il concetto non è "lui lavora di meno io devo essere pagato di più di lui" ma la mia opera vale, quindi se la vuoi, la devi pagare adeguatamente.


p.s. mi spiace, siamo troppo piccoli per aver bisogno di un programmatore, davvero... :)

dario ha detto...

Liber:

Il progresso.
Dici che il progresso significa condizioni dei lavoratori piu' giuste (be'... lasciamo perdere l'italia degli ultimi quindici anni... e' un caso particolare). E' lavoro per tutti e quindi ricchezza per tutti. Aggiungerei che anche le condizioni dei piu' poveri migliorano (i barboni di adesso vivono meglio di quelli di due secoli fa). Coscienza ambientale (anche se non si puo' dire che avere coscienza di un problema non significa avere capacita' o volonta' di risolverlo: il cittadino medio vorrebbe un mondo piu' pulito, ma non rinuncerebbe ad un quattrino per ottenerlo). Coscienza sociale, assistenza sanitaria, uguaglianza di fronte alla legge... in altre parole, dici, tutti stiamo meglio, grazie al progresso. Duecento anni fa stavamo molto peggio.
Certo, viviamo nella meta' di mondo che ha vinto!
Proviamo ad andare... chesso'... in Africa, per esempio. A quelli, il nostro progresso, li ha messi in ginocchio. Li sta facendo morire di fame, quelli che non muoiono di AIDS. Prendi le popolazioni precolombiane e considera che cosa hanno dovuto pagare in nome del nostro progresso. Prendi l'India e la Cina, che ora stanno mettendo in crisi l'ordine economico mondiale giusto per avere un poco di rivincita nei nostri confronti. Liber, il tuo discorso funziona bene se guardi questa meta' di mondo, ma se guardi il mondo nella sua globalita', dove noi guadagnamo 10, il resto del mondo paga 100, ottenendo uno sconcertante meno novanta.
Ora pero' non dirmi come certi in cui mi sono imbattuto che noi i vantaggi del progresso ce li siamo meritati, mentre quelli che vivono in africa invece non si sono impegnati abbastanza. Perche' la qualita' di progredire non e' una qualita' individuale, e quindi ricettacolo di merito, ma una qualita' sociale. Cioe', io, che sono in gamba, se fossi nato in Africa, non sarei riuscito a fare niente di meglio di un africano che muore di fame, anzi, probabilmente morirei prima di lui. Se invece sono ben pasciuto, e tutto sommato felice ed appagato, e' perche' ho avuto la buona ventura di nascere in Italia. Il che non ha niente a che vedere con il merito.
La loro poverta', per giunta, e' l'effetto della nostra ricchezza, non credi? Che noi ci siamo accaparrati tutte le risorse con metodi piu' o meno leciti, senza lasciare niente a loro. Il controllo del petrolio, ad esempio, non credi che sia e sia stato fondamentale per consentire l'arricchimento grazie al tuo progresso? Abbiamo organizzato guerre su guerre per poter ottenere quel controllo. E tutto in nome del nostro progresso. Ma a te pare che l'africa, prima del colonialismo, stesse meglio o peggio di adesso?
Credo che questi effetti non siano colpa ne' mia ne' tua, ma del sistema, che e' la culla del progresso. Certo, il progresso porta i benefici che tu citi (anche se li porta ad una piuttosto piccola fetta di umanita'). Ma non sarebbe piu' giusto fare i conti anche con i danni?
Ed io credo che tu abbia ragione quando dici che siamo ad un punto critico, che dobbiamo cambiare rotta o ci estinguiamo. Ma in queste condizioni non ci siamo forse arrivati in nome del successo?
continua...

dario ha detto...

...continua
Meritocrazia.
Mah, io ho un poco riveduto i miei convincimenti nei confronti della cultura universitaria. Non sono certo di essere meglio dell'elettricista. Magari lui ha studiato meno di me, ma magari si e' pasciuto di piu' libri. Tempo fa ho chiesto consiglio all'idraulico su un romanzo da leggere.
Comunque io credo che le qualita' che indichi, in generale, spesso si trovano di piu' in gente che ha speso tempo e denaro a studiare piuttosto che in persone che fanno lavori umili - anche se e' vero che la cultura alternativa ha un valore di pari dignita' di quella universitaria, secondo me.
Ma il punto e' un altro. Tu dici che vali di piu' dell'elettricista. Cioe' dici che il tuo lavoro genera una ricchezza maggiore di quella dell'elettricista. E invece l'elettricista prende di piu' di te. Ma scusa, perche' mai il cliente dell'elettricista dovrebbe pagare l'elettricista per fare l'impianto elettrico piuttosto che pagare te? Evidentemente perche' tu non sai fare il lavoro dell'elettricista e lui non sa fare il tuo. Quindi la paga dell'elettricista e' commisurata al valore di mercato in quel campo, tanto quanto il tuo lavoro e' commisurato al valore di mercato nel tuo campo. Se non fosse cosi', cioe' se tu avessi uno stipendio maggiore, non si spiegherebbe perche' il tuo datore di lavoro dovesse pagare a te quello stipendio piuttosto che pagarlo ad un'altra Liber che fa lo stesso lavoro tuo a un prezzo inferiore. Se invece tu prendi troppo poco, puoi sempre dire al tuo datore di lavoro "ehi, dammi di piu', altrimenti me ne vado dal tuo concorrente". Se lui ha una alternativa piu' economicamente favorevole ti lascia andare, se no ti tiene e ti da' l'aumento. D'altra parte se tu hai una alternativa che ti paga di piu' per fare lo stesso lavoro, non si spiegherebbe perche' rimani nel posto di lavoro dove sei.
Questo l'ho imparato a mie spese, prendendo a cazzotti in faccia il mio orgoglio. Ho smesso di chiedere l'aumento al mio capo quando ho capito che, indipendentemente dal valore del mio lavoro (cioe', in soldoni quanti $$ l'azienda porta a casa grazie alle mie otto ore), il mio valore e' determinato dalle richieste economiche di un altra persona di qualita' paragonabili disposta a prendere il mio posto. Poi c'e' anche la mia soddisfazione sul lavoro, che modifica un poco questi parametri, e la mia azienda da questo punto di vista e' piuttosto ottusa. Questo ragionamento, guarda a caso, vale anche per l'elettricista. Che se lui si fa pagare troppo, il suo cliente si rivolgera' ad un altro che si fa pagare di meno se lo trova. Se invece non lo trova, il cliente dovra' cacciare la grana, se vuole il lavoro fatto.
Quindi, se l'elettricista e' pagato meglio di me, significa che il suo valore di mercato e' maggiore al mio. Se, come dici tu, io sono in grado di fare il suo lavoro e lui non e' in grado di fare il mio, be', converrebbe valutare se non e' ora di intraprendere una nuova professione che forse impegna di meno e rende di piu'.
Peccato, che' io sono maledettamente bravo nel mio lavoro, e credo che non sarei per niente bravo come elettricista. Ma le cose stanno cosi'.
continua...

dario ha detto...

...continua
E questo lo trovo davvero molto meritocratico, anche se sono d'accordo con te: fa incazzare da morire.

Che poi il principio della meritocrazia non viene molto applicato, specie in Italia, per applicare invece altri principi secondo me ancora piu' immorali e' un altro discorso ancora.

Personalmente perseguo la meritocrazia. Che' mi conviene. Io sono molto bravo ma ammetto che nella mia azienda non mi viene richiesto di dare il massimo, perche' non si sono resi conto delle mie potenzialita' (io non mi organizzo il lavoro, purtroppo). Sarebbe da trovare un datore di lavoro che mi offre un posto che non puo' essere ricoperto da un altro informatico mezza calzetta. Se cosi' fosse, secondo il principio della meritocrazia, io potrei pretendere uno stipendio maggiore, perche' non ci sarebbe per il mio datore di lavoro una alternativa piu' abbordabile.

Detto questo, Liber, ti prego di notare che io non sto dicendo che tu vali poco, nel lavoro o come persona. O che vali meno dell'elettricista o dell'operaio (ma davvero prendi meno dell'operaio?!?). Che io valuto moltissimo il "valore intellettivo", e ancora di piu' quello umano - qualunque cosa significhi questa espressione - piuttosto che quello commerciale del "mercato delle vacche". Ma purtroppo non sono io a darti lo stipendio. Se quello che ti da' uno stipendio dovesse adottare un metodo meritocratico, valuterebbe secondo il "mercato delle vacche", e continuerebbe a pagare l'elettricista piu' di quanto paga te. Per altro, credo che pagherebbe il suo dentista ancora di piu', per ragioni analoghe.

liber ha detto...

ti dò un'ultima risposta, non perchè non sia interessante il tutto, ma perschè sto passando troppo tempo al pc.

nel mio specifico l'elettricista non farebbe il suo lavoro e non avremmo due nuovo operai di rinforzo se qualcuno non fosse stato capace di ampliare l'attività (che ovviamente non è merito solo mio).
il che non vuol dire che io "valgo" più di lui, però credo una società economica evoluta riconosca il valore aggiunto di chi sa usare la testa (per inciso io non ho sutdiato elettrotecnica e tantomeno il fotovoltaico, però sei anni di esami ti lasciano una capacità fondamentale: quella di apprendere).

non avrei alternative dai concorrenti, perchè sono una donna in un ambiente tutto maschile, e bisogna provarlo per capirlo, neppure io avevo idea di cosa comportasse.

e cmq io non mi lamento personalmente, guadagno meglio di tanti miei coetanei pari qualifica, perchè il mio capo mi conosce da amico, e sa che se mi sentissi sfruttata mi demotiverei e non darei più quello che do.

ma il punto ovviamente non sono io, ma il riconoscimento di questo valore in genere, cosa che infatti in altri paesi avviene e non per ragioni etiche, ma perchè hanno capito che ha un senso, perchè la capacità intellettiva ha un valore economico (e sociale)

io faccio il mio lavoro e non un altro (il lavoro più redditizio che ho fatto è stata la cameriera stagionale) non solo per soldi, ci sono altre cose. per esempio che ho bisogno di usare la testa, di creare cose nuove, portare piatti mi piaceva ma oggi ci morirei per la noia.
al tuo idraulico piace leggere, ma io ho lavorato anni (è anche questa una lunga storia) nell'ambiente dei bar e in quello alberghiero, e oggi ho a che fare con gli operai dei cantieri. e la differenza culturale c'è, non in termini di nozioni, ma in termini di apertura mentale, capacità critica. il che non significa che ogni "studiato" sia migliore si ogni idraulico, come sempre ci sono le persone singole. e tutti abbiamo gli stessi diritti e la stessa dignità, e ci sono idraulici molto più intelligenti di certi ingegneri, ma credo che la ricchezza della cultura sia evidente.

quanto alle conseguenze negative del progresso, sono pienamente d'accordo. ma non riesco a non vederne anche gli aspetti positivi.

non credo sia stato il progresso a portare l'aids e lo sfruttamento dei più poveri, ma bensì il potere che ne ha derivato e che è stato utilizzato dagli uomini per sopraffare, rubare.
quindi i colpevoli sono l'avidità, la fame di potere non bilanciata dalla morale, l'ignoranza che ha portato spesso l'uomo (soprattutto europeo) a credere di essere superiore all'altro solo perchè dotato di più tecnologia.
il progresso, secondo me, come tante cose, può portare bene o male, dipende da come viene usato.

credo valga l'immortale esempio del dottor azzeccagarbugli, il progresso, come la cultura.

dario ha detto...

Liber, mi spiace che smetti di commentare. Non insistero', pero' un paio di cose mi prudono le dita per scriverle, a costo di fare la figura di quello che vuole avere a tutti i costi l'ultima parola.

Non commento sulla disparita' di opportunita' tra uomini e donne. So che e' come dici tu, ma e' un po' fuori tema. Per fare un paragone piu' corretto, immaginiamoci una donna elettricista, anche se insolito. Prenderebbe piu' di te.

Tu dici che i laureati che hai conosciuto hanno una cultura superiore. La mia esperienza e' esattamente l'opposto. Le persone piu' colte (nel vero senso della parola) sono quelle che hanno studiato di meno, in genere. La persona piu' colta in assoluto che io abbia mai conosciuto fu mio nonno, che non e' arrivato alla terza media. Non dico che la cultura universitaria sia cosa cattiva, ma quasi sempre viene schiaffata in faccia come simbolo, piu' che come sostanza. Probabilmente mio nonno non sarebbe in grado di progettare un ponte come un ingegnere, ma questo e' solo un aspetto piuttosto irrilevante di cio' che fa parte del patrimonio culturale di una persona, e non ha niente a che vedere con l'"apertura mentale" di cui parli. Anche se, ammetto, e' fondamentale per costruire ponti.

E' vero l'AIDS e lo sfruttamento dei piu' poveri non sono diretta conseguenza del progresso, ma se non ci fosse stata smodata sete di potere, non ci sarebbe stato nemmeno il progresso. Forse esiste l'idea platonica di un progresso basato su un modello etico piuttosto che commerciale, ma, giusto per parlare di sesso degli angeli, mi chiedo se avrebbe avuto la stessa forma. I motivi per cui tu elogi il progresso sarebbero comunque esistiti? Per dirne una, a puro titolo di esempio, non riesco ad immaginare, nel progresso, niente di utile che non sia effetto diretto dello sfruttamento del petrolio, quindi morte di molte persone, enormi disparita' sociali a livello mondiale e insostenibilita' ecologica. Senza di questo il progresso sarebbe una cosa totalmente diversa.

Non credo valga il progresso come sostituto della cultura nella citazione del Manzoni, perche' la cultura e' una causa, il progresso e' un effetto.

liber ha detto...

eppure le differenze ci sono, io le vedo ogni giorno.

Vedi che non ho resistito a rispondere)

tu parli di tuo nonno, ma erano altre generazioni (e la licenza media era come la scuola superiore oggi) e altri tempi.
io non pensavo ci fossero delle differenze, ma in questi anni mi sono ricreduta (sbattendoci anche dolorosamente la testa)

faccio degli esempi, che sono generalizzazioni, ovviamente, semplificazioni. ma che a grandi linee dicono una realtà.

tempo libero dell'operaio: vedo i nostri e anche gli amici di mia sorella: in bar a bere. i miei colleghi coetanei hanno un fisico muscoloso e forte ma una pancia che è la somma di tutto l'alcool bevuto.
guarda anche a me piace bere (non ho un cv da brava ragazza, sono andata a lavorare a 14 anni...), solo che sballarsi un po' ogni tanto passi, ma farne il principale metodo di relax e di stare in compagnia...
uguali erano i morosi di una delle mie sorelle.

sono stata con loro per lavoro in un paesino toscano due giorni. ogni donna che passava un commento (fine, ovvio), non abbiamo neanche guardato il centro storico (cavoli, un po' di curiosità?) solo birra, mangiare fuori, e poi tirar tardi (bevendo e a quel che ho sentito una paio anche cercando una prostituta).
due giorni tutti insieme era un'accasione per conoscersi, scherzare insieme, acquisire nuove conoscenze (eravamo ad un corso che ovviamente per loro era inutile, io sarò scema ma ho imparato varie cose), vedere un posto nuovo e architettonicamente molto diverso dalla nostra città.

si lamentano che scrivo troppo sui progetti, capirai che ci scrivi sui disegni, ma oddio la prola scritta...

sono una marziana a cui piace anche leggere, lo ero anche alla scuola professionale, il mio direttore che era un ex-maitre, una volta mi sequestrò "un uomo" della fallaci, pensava fosse chissà che ... ...

per inciso: io non sono colta. sono ignorantissima, leggo poco perchè non ho tempo e la testa è sempre stanca, ho quasi zero attività extra lavorative per le ragioni di cui sopra (e non ne sono contenta).

ma l'università mi ha dato tanto. e molto di più il liceo. mi ha dato il senso critico il secondo, e la capacità di apprendere la prima.

io in azienda sono un po' l'innovazione. non sappiamo come fare? scopriamolo. metà del mio lavoro da tre anni è questo, spingere avanti.
sai cosa mi dicono gli operai? che vogliono la soluzione standard. vogliono fare sempre uguale. si arrabbiano perchè i progetti da realizzare sono diversi fra loro.
(già quando lavori con artigiani exoperai è un'altra musica, non per niente è gente che poi s'è messa in proprio e sa gestire)

con questo non voglio sminuire la loro manualità, la loro resistenza alla fatica, e neanche l'importanza del loro lavoro, perchè il nostro lavoro, il mio e il loro assieme, più le capacità imprenditoriali (e umane) del nostro capo ci permettono di fare delle cose fatte in un modo, per cui abbiamo una buona fama e per cui tutti noi portiamo a casa una paga che ci permette di fare la cosa più importante: vivere la nostra vita.
io senza loro non sono niente, e lo stesso loro senza me (non in senso personale ovviamente, ma di ruoli).

la differenza è che io non saprei fare i collegamenti elettrici ma sarei in grado di imparare. loro il mio lavoro non lo imparerebbero. e non perchè siano stupidi, ma pechè hanno un rifiuto mentale per l'impegno della mente, perchè a loro nn piace andare "oltre", vogliono istruzioni precise, loro vogliono eseguire, non vogliono prendere decisioni, non accettano responsabilità.

liber ha detto...

è per questo che non dovremmo essere pagati come loro.
è sostanzialmente perchè io prendo decisioni e responsabilità, e ci metto la mia faccia (e anche non timbrando, la responsabilità penale, come ha definitivamente chiarito la cassazione). per lo stesso motivo trovo giusto che il mio capo guadagni più di noi: lui timbra, mette il suo nome, prende decisioni.

loro finiscono alle 4 e 30 e hanno finito. noi abbiamo finito quando tutto è a posto e spesso la nostra mente rimane intrappolata nelle preoccupazioni derivanti dalle responsabilità.

p.s. va bene che tu ragioni con logica algoritmica da programmatore, ma il progresso sì è un effetto, ma anche una causa.
l'uomo fa una scelta eticamente corretta nell'usarlo? causa cose buone
no? causa cose cattive.
no?

dario ha detto...

Cavoli, Liber,
Mi pare che hai conosciuto dei trogloditi, non semplicemente dei non-laureati ;-)
No, a parte gli scherzi, io lo capisco quello che dici tu. Pero' io ho in mente questo yuppie qui, il mio capufficio, le cui lodi ho tessuto ampiamente qui sopra, giusto a titolo di esempio. E' laureato in ingegneria gestionale con il massimo dei voti, veste giacca e cravatta ed e' convinto di quel che fa. Ieri gli ho portato un riferimento simile al tuo (che vuoi, mi e' rimasto in testa!) nominando l'Azzeccagarbugli per descrivere l'utilizzo della cultura come strumento di potere. Non l'ha capito. Ora, che questo succeda ad uno nato e cresciuto tra le catene ininterrotte di monti a seconda dello sporgere e del rientrare dei quali quel ramo del lago di como che volge a mezzogiorno si mostra tutto a seni golfi (Vercurago - LC), denota totale assenza di basi. Tu potrai dire che e' un'eccezione. A me non pare tale, perche' piu' o meno tutti i laureati che mi trovo intorno hanno carenze simili (cioe', magari sanno tutto nella materia su cui sono tenuti a sapere - non e' il caso di questo fenomeno qui -, ma appena mettono piede in terreno non loro, vengono risucchiati nelle sabbie mobili della loro atavica ignoranza, senza per altro rendersene conto). Ma il punto e' un altro. Come diavolo e' possibile che arrivino fino alla laurea e si piglino il massimo dei voti in queste condizioni?
Comunque non e' che volevo dire proprio questo. Mio nonno, per esempio, non avrebbe neanche lui saputo citare il Manzoni. Ma se uno glielo citava, lui ci stava attento, cercando di capire e di imparare. In questo modo lui alla fine sapeva di piu' di tutti i laureati che conosco messi insieme. Credo che lo spirito critico e la capacita' di apprendere di cui tu parli non possano essere insegnati in una scuola, anche se la scuola, in taluni casi, tenta di fornire anche questi strumenti. Mio nonno possedeva queste qualita' pur non essendoci andato, a scuola. Mi ricordo che cercava di capire e di imparare anche sul letto di morte, ultranovantenne, stremato dalla malattia, ascoltando con l'umilta' che lo contraddistingueva le mie parole di ragazzo.

Poi, questo spirito invece di rifiuto mentale contro l'apprendimento, proprio dell'operaio, lo capisco pure. Dice, io mi sono organizzato per produrre esattamente quanto e come mi viene richiesto dall'azienda. Ho imparato a starmene al mio posto e ho anche imparato a non farmi domande, e ho visto che in questo modo porto a casa il mio stipendio e tutti sono contenti, e adesso arriva il fighetto di turno che mi dice no, da adesso in poi si fa cosa'. Tutto quel sistema che ormai mi sono fatto proprio viene incrinato dall'aria saccente di un fighetto che crede di saperla lunga perche' appena uscito dall'universita'.
Certo la cultura non puo' limitarsi a questo. Uno spera che quell'operaio abbia anche una vita un poco piu' stimolante e stimolata fuori dall'ambiente lavorativo. Il mio amico O., operaio, legge molto piu' di me, e' molto piu' informato di me, si interessa di tutto, sa trattare con la gente, sa fare cose pratiche (tipo tirare su un muro, cosa che io non so fare), si interessa di arte molto piu' di me. Eppure fa l'operaio. Ha fatto il liceo e poi ha smesso dopo la maturita'.

In effetti l'assunzione di responsabilita' comporterebbe una maggiore retribuzione. Ed e' per questo che mi stupisco che tu, che ricopri una posizione di responsabilita', dichiari di prendere meno dell'operaio.

dario ha detto...

Liber, dài, non appiccicarmi l'etichetta di informatico per alludere ad una presunta chiusura mentale. Non me lo merito!

Dicevo che il progresso e' un effetto e non una causa, perche' non e' uno strumento che l'uomo usa, ma e' tutto cio' che e' prodotto tramite l'uso di strumenti dalla parte dell'uomo. O almeno, di questo stavamo parlando.
Cioe', non si tratta valutare se il progresso causa cose buone o cattive. Cioe' se, una volta assimilato in un sistema culturale, puo' essere utilizzato per produrre altre cose positive o negative.
Piuttosto volevo determinare se il comportamento umano all'inseguimento del progresso ha avuto effetti positivi o negativi per l'umanita'.

Il progresso per definizione e' un miglioramento della condizione umana grazie al lavoro dell'uomo. Infatti il regresso, all'opposto, e' per definizione un peggioramento della condizione umana come effetto involontario dell'opera dell'uomo.
Quindi, a rigore, non si puo' chiedersi se il progresso e' buono o cattivo. E' buono, perche' altrimenti non si chiamerebbe "progresso". Quello che invece ci si puo' chiedere e' se in effetti il lavoro dell'uomo nel tentativo di migliorarsi ha comportato un effettivo miglioramento globale dell'umanita' o un peggioramento. Cioe' se c'e' stato un regresso o un progresso.
In alcune societa', tipicamente quelle occidentali, c'e' stato indubbiamente un progresso, ma se prendiamo in considerazione l'umanita' nella sua globalita' e' ancora cosi'?
Mi pare che a livello globale ci sia stato un peggioramento delle condizioni medie dell'uomo.
Alcuni Paesi sono progrediti, altri sono regrediti. I Primi sono progrediti per loro merito, i Secondi sono regrediti a causa del merito dei Primi.
Mi pare che la discussione verta proprio sulla definizione del merito dei Primi. Cioe', se definiamo "merito" ad esempio la buona capacita' di produrre armamenti sufficienti ai Primi per assoggettare i Secondi e vincere la corsa alle risorse, direi che quel merito ha sortito effetti piu' che soddisfacenti.
Sarebbe pero' da discutere se questa definizione di merito abbia proprio quella connotazione moralmente positiva che in genere la parola "merito" sottintende.

liber ha detto...

solo per specificare che non vorrei mai distnguere il mondo fra laureati e non laureati.
anche perchè tra l'altro trovo che spesso il meglio stia in mezzo, tra gli operi dei cantieri (guarda che sono proprio come li ho descritti!) l'ingegnere che ha fatto casa scuola università e poi lavoro su carta e pochi muri presin faccia (che fa bene eh, molto formativo almeno per me) e sempre convinto di essere il migliore (= scarsa autocrititca = scarsa crescita personale e scarso impegno per averla, perchè devo impegnarmi a evolvermi? sono già il meglio, no?).

il punto secondo me è che il lavoro intellettivo non è molto considerato perchè si ritiene che non abbia valore economico. l'innovazione è vista con sospetto.

io trovo che l'università mi abbia dato tanto, in termini di capacità più che nozioni. molte situazioni mi ricordano gli esami.
quando devi affrontare impreparato una situazione e DEVI cavartela.
quando con degli elementi devi risolvere un problema.
quando devi cercare gli elementi per risolverlo.
mi ha insegnato che molto più di quello che sembra ha soluzione.
mi ha insegnato resistenza allo stress (ieri ho fatto 7-24 per una consegna inderogabile e stamattina ero in aula a fare 4 ore di lezione, stanca ma serena, e soprattutto senza malumori, lo sai quanto s'incazzano gli operai se qualche imprevisto gli si para davanti?)

tu hai descritto bene il loro ragionamento. solo un'obiezione: forse non c'è nessun fighetto. non sempre c'è. forse c'è solo la normale varietà delle cose che va affrontata con un po' di fantasia.
e forse questa fantasia ha un qualche valore e la cultura l'aiuta.

se non lo riconosciamo, e ormai non lo facciamo, nessuno vorrà più studiare: se ho vent'anni e studiando 10 anni di medicina so che guadagnerò come l'impegato del protocollo, chi me lo fa fare? tanto vale lavoro subito, faccio famiglia e compre casa.

laureati ignoranti ce ne sono tanti, io mi ci metto dentro. almeno ne sono consapevole. ci sono anche laureati limitati e arroganti (il tuo capo yuppie?). come ci sono persone che di lavoro fanno l'operaio e sono vivaci intellettivamente e intellettualmente, interessanti, intelligenti, colte.

io per fortuna non prendo meno di un elettricista, ma molti amici sì. io non lo trovo ingiusto, lo trovo stupido. un paese che non investe nei propri qualificati (che siano anche volonterosi e capaci e non necessariamente laureati), ci perde. oggi abbiamo la cultura del fare (che in parte anche condivido), del risultato visibile e tangibile, e un po' di disprezzo dell'intellettuale, la cultura è considerata inutile. secondo me il mio pensiero non è molto diverso nella sostanza da quello che dicevi tu nel post.

p.s. come si laurea certa gente a pieni voti? ho visto l'universtità a cavallo della riforma (scampata in tempo) e ti dico che non SELEZIONA più, e io lo trovo molto grave.

ti saluto per l'ultima volta, giuro!

dario ha detto...

Liber:
direi che sono d'accordo con te su tutto tranne che su una cosa.
Sostanzialmente dici che in Italia non e' valutato a sufficienza il lavoro intellettivo, perche' si ritiene che non abbia valore economico. E che l'innovazione e' vista con sospetto, cioe' (lettura mia) il valore dell'innovazione non e' considerato sufficientemente.

Con i dovuti distinguo sono d'accordo con te anche su questi punti. Ma il mio obiettivo era giungere ad una conclusione: la seguente.

In un sistema perfettamente meritocratico (cioe' NON l'Italia), in cui il valore venga retribuito in quanto il suo apporto fa guadagnare chi paga lo stipendio, cioe' in un sistema in cui ogni datore di lavoro sa valutare in modo corretto quanti soldi ci puo' fare assumendo una persona, e quindi un sistema in cui ognuno, nel suo lavoro, e' retribuito esattamente per quanto sia il suo valore di mercato, ebbene in un sistema perfetto come questo non c'e' etica nel modello retributivo.

In altre parole funziona cosi':
Supponiamo di essere in un sistema perfettamente meritocratico.
Io sono un bravo programmatore. L'innovazione derivante da un utilizzo proficuo delle mie capacita' puo' generare quindi una discreta quantita' di ricchezza per l'azienda per cui lavoro, all'interno del mercato in cui opera.
Ovviamente altre aziende in quel campo o in campi simili che possono sfruttare i servigi di un bravo programmatore, tenderanno ad offrirmi un compenso migliore del mio per questa azienda, in modo da poter sfruttare l'innovazione derivante dalle mie capacita', e bruciare quindi la concorrenza.
In altre parole, in un sistema perfettamente meritocratico io che sono bravo e produco molta ricchezza, avro' a regime uno stipendio commisurato alla mia bravura (e quindi alla ricchezza che so produrre).
Fantastico.

Peccato pero' che questo vale per chi fa il programmatore, e magari costruisce automobili inquinanti. O per chi costruisce armamenti da vendere ai signori della guerra. O per chi costruisce telefonini. O per chi, insomma, contribuisce con le sue capacita' ad alimentare un sistema che premia il consumismo, e non la cultura, non la solidarieta', non l'uguaglianza.

Chi invece e' bravissimo ma si occupa (o si vuole occupare) di... chesso'... filologia micenea... di restauro di dipinti medioevali... di classificazione delle speci di coleotteri... di salvaguardia delle aree boschive tropicali della foresta amazzonica... insomma, di tutte quelle cose che a me paiono eticamente e socialmente molto piu' importanti di quelle cazzate consumistiche che la persona media insegue quotidianamente, be', se quelli avessero uno stipendio commisurato alla ricchezza che portano all'azienda per la quale lavorano, anche in un sistema perfettamente meritocratico, farebbero la fame.

PS: mi riferivo a chi si e' laureato con l'ordinamento vecchio

liber ha detto...

(sono incoerente, lo so)

credo che abbiamo un'idea diversa sul significato di meritocratico.

tu dici:
In un sistema perfettamente meritocratico (...) in cui il valore venga retribuito in quanto il suo apporto fa guadagnare chi paga lo stipendio,

io non intendo questo con meitocratico.
per es. il medico è pagato bene anche se non fa guadagnare un'azienda. perchè per il suo mestiere ha studiato a lungo (deve pur recuperali gli anni passati a non guadagnare) e fa un lavoro che richiede responsabilità. in un certo senso crea ricchezza diffusa, non in termini di soldi però, in termini di salute.

il filosofo crea ricchezza di pensiero.
lo storico mantiene e approfondisce la coscienza collettiva.
il forestale lavora per il benessere della foresta, quindi quello di tutti (anche non umani).
il restauratore conserva la bellezza delle espressioni artistiche passate (l'uomo può vivere senza la bellezza?)
il naturalista studia la fonte di tutto il nostro sapere e per la conservazione della cosa più importante, la natura (potremmo vivere senza?)
il dipendente pubblico contribuisce al funzionamento della società civile.
sono tutte forme di ricchezza.

la meritocrazia non si può misurare solo in ricchezza monetaria creata, non viviamo solo di quella, anzi, quella è uno strumento per tutto il resto.

la realtà aziendale è solo un pezzetto della nostra società, non la rappresenta tutta. crea ricchezza per tutto il resto, se fossimo poveri nessuno andrebbe a scuola, uno stato non pagherebbe il forestale, il filosofo nessuno lo leggerebbe e lui dovrebbe andare a fare un altro mestiere.
in questo senso mi piace l'attività economico-imprenditoriale.

nell'azienda la meritocrazia si misura con la capacità produttiva, ma perchè l'azienda è un soggetto economico che ha come scopo l'utile economico.
ma vale per l'impresa, mica per tutto!

meritocrazia è riconoscere l'apporto del lavoro umano, secondo le logiche del sistema in cui è inserito. e non tutti i sistemi hanno come logica solo il denaro. perchè non viviamo solo di quello.

noi lavoriamo nell'impresa, quindi questo è il metro con cui veniamo misurati, io non lo trovo sbagliato.
Ma Dario, se noi non lo facessimo chi pagherebbe le tasse e lo stipendio del forestale?
chi pagherebbe l'impiegato del tribunale che ci garantisce giustizia (più o meno ma questo non è colpa sua :)).
o il medico del SSN.
o il ricercatore e le impiegate che contribuiscono a far sì che la ricerca ci sia e sia di tutti e non solo della multinazionale (un'amica a caso...)

ma l'azienda non è la società.
è quel tassello, che, creando ricchezza economica, permette lo svolgimento di quelle attività davvero fondamentali per la vita: sanità, cultura, assistenza, espressione, coscienza.



tu non fai programmi per le auto inquinanti. le auto ci permettono di spostarci, di andare a trovare un amico, di lavorare, permettono all'ambulanza di soccorrere, ai pompieri di intervenire. non è il costruirle che è sbagliato. lo è l'uso che ne facciamo, esagerato, irrazionale.

è la scelta che facciamo noi nell'utilizzo di questa opportunità che a volte è sbagliata.

dario ha detto...

Ma Liber, non sono certo io a dire che la ricchezza non legata al denaro e' meno importante per l'uomo. Anzi, sto proprio dicendo che, siccome la meritocrazia parla solo di soldi, non trovo molto etico perseguirla.
In realta' ho semplificato molto il mio discorso perche', e' vero, l'ho rapportato solo ad una realta' aziendale. Ma il discorso puo' essere esteso anche al medico, diciamo che lavora all'ospedale. Non si tratta di far guadagnare l'azienda ospedaliera, il ragionamento e' piu' complesso. Ma il medico dell'ospedale pubblico e' pagato dalle tasse del cittadino, perche' il cittadino vuole avere quel servizio. Vale la stessa regola, mi pare. Piu' gente vuole quel servizio, piu' e' disposta a pagarlo tramite le tasse, e piu' lo stipendio del medico e' alto. Per i servizi statali la meritocrazia e' misurata (o dovrebbe esserlo, in un sistema meritocratico) in base ai soldi che le persone sono disposte a pagare per essere curate da quel medico. Ma siamo sempre li': se il giro di affari dell'azienda che produce automobili inquinanti piuttosto che autostrade nella foresta amazzonica fosse maggiore del giro di affari richiesto dai cittadini per avere un servizio sanitario efficiente, allora l'ospedale potra' pagare il medico meno di quanto l'azienda che produce beni poco ecocompatibili puo' pagare i suoi dipendenti. Grosso modo. Insomma, ho semplificato al punto che il ragionamento fa ridere, ma sono sicuro che hai capito quel che dico.

Insomma, quel che voglio dire e' che alla fine lo stipendio di un lavoratore, che sia spazzino o medico, che sia yuppie o filosofo, se il metro di giudizio sono i soldi (e lo sono, perche' stiamo parlando del loro stipendio), in un sistema meritocratico vale la regola del mercato.

E se non e' questo il metro, allora, prima di dire se sonmo d'accordo, mi piacerebbe capire quale sia il metro, e chi l'ha deciso. Chi ha deciso che un buon filosofo vale di piu' di un biologo? E perche'?

Finche' guadagna di piu' uno perche' produce piu' ricchezza (in termini di $$), allora non sono d'accordo.

Quando ho finito il liceo ero indeciso tra filosofia e informatica (perche' mi piacevano entrambe). Tanto indeciso che alla fine ho optato per la seconda, semplicemente perche' mi avrebbe fornito piu' sicurezza di portare a casa la pagnotta. Ho forse fatto una scelta davvero cosi' insolita?