giovedì 4 novembre 2010

Ancora sulla meritocrazia

A volte mi metto li' e comincio a pensare e ad elaborare teorie strampalate a titolo puramente speculativo (visto che poi non hanno impatto sulla realta' perche' si basano su ipotesi del tutto astratte, su utopie che e' difficile definirle anche come modelli della realta'). C'e' chi dice che avrei dovuto fare il filosofo (eheh!).
In effetti e' questa tendenza che sta alla base della ricorrente critica ai miei ragionamenti quando si dice che parlo troppo dei "massimi sistemi".

L'argomento di questo post, che ha appunto carattere astratto, e' un po' la continuazione della discussione nata nei commenti al post intitolato "meritocrazia", qua sotto.

Secondo un metodo meritocratico, la retribuzione di un lavoratore dovrebbe essere in qualche modo commisurata (anche se non letteralmente proporzionale) al merito dimostrato nello svolgimento del lavoro. La domanda e': che cosa si intende per merito?

Chiaramente lo scopo di una azienda e' quello di produrre di piu' (in termini di quantita' o di qualita', a seconda della strategia dell'azienda) ad un costo inferiore (in modo da abbassare i prezzi di vendita - e quindi sbaragliare la concorrenza - o da aumentare gli utili). Il merito quindi dovrebbe essere attribuito a chi, grazie al proprio lavoro, contribuisce all'aumento o al miglioramento della produzione, o alla dimunuzione dei costi.
Se il signor A e il signor B, dipendenti dell'azienda hanno lo stesso ruolo nella produzione del prodotto x, la produttivita' di quei lavoratori puo' essere facilmente misurata in numero di pezzi x prodotti.
Supponiamo che il lavoratore A produca mediamente in una giornata lavorativa, 10x, percependo uno stipendio di 100 euro. Se la logica e' meritocratica, il lavoratore B cerchera' di produrre un numero di pezzi maggiore di A, cosicche' possa ragionevolmente pretendere una retribuzione maggiore del minimo determinato dal lavoratore A. Diciamo quindi che B si organizzera' per produrre mediamente 11x. La logica retributiva e' meritocratica quindi otterra' uno stipendio maggiorato, diciamo di 1 euro: 101euro. Anche se l'aumento di stipendio non e' proporzionale all'aumento di produttivita', B e' contento perche' riesce a portare a casa un euro in piu'. Non avrebbe pero' senso, per lui, cercare di produrre 12x, perche' cio' non significherebbe comunque un ulteriore aumento di stipendio: e' facile misurare la quantita' di produzione comparativamente alla quantita' prodotta da qualcun altro, ma non c'e' una misurazione assoluta dell'aumento di produttivita'. In altre parole, non c'e' una risposta alla domanda: "quanto vale un aumento di 1x rispetto ad un dato base di 11x?".
Possiamo pero' dire che il lavoratore A, vedendo la correlazione tra l'aumento di stipendio di B maggiorato ed il suo aumento di produttivita', sara' invogliato a metterci un poco piu' di impegno per superare la produttivita' di B, e quindi cerchera' di produrre 12x. L'azienda gli aumentera' quindi lo stipendio, diciamo a 102euro. Di conseguenza B cerchera' di produrre 13x meritandosi uno stipendio di 103euro, eccetera, eccetera, eccetera...
Evidentemente questo processo potrebbe idealmente protrarsi all'infinito, sia dal punto di vista della produzione, sia da quello della retribuzione.
Ci sono pero' limitazioni evidenti a questa crescita. Il primo che mi viene in mente e' che se la giornata lavorativa e' di 8 ore e se ci vuole un certo tempo minimo t a produrre ogni pezzo x, indipendentemente dall'abilita' e dall'impegno del lavoratore che lo produce, il numero massimo di pezzi al giorno sara' esattamente 8ore/t. Un'altra limitazione e' l'esigenza dell'azienda. Se i lavoratori addetti alla produzione di x producessero un numero di pezzi maggiore di quanti ne servano all'azienda ci potrebbe essere un problema di sovrapproduzione, i cui costi graverebbero sulle spalle dell'azienda. In soldoni, finche' all'azienda occorre una produzione di 100x al giorno, un dipendente in grado di produrre 150x al giorno non costituisce un vantaggio rispetto ad uno che ne puo' produrre esattamente 100.

C'e' poi il caso in cui nell'azienda non esistono due lavoratori che abbiano lo stesso ruolo, o un ruolo comparabile. Una situazione in cui A producesse 100x e B producesse 200y, puo' significare che per produrre y ci si impiega la meta' del tempo per produrre x, ma puo' anche significare che il lavoratore B si impegna di piu' e dia risultati doppi. Oppure puo' anche significare che A si sia impegnato di piu' di B, se la produzione di y richiede molto piu' del doppio dell'impegno per produrre x.
I beni x e y sembrerebbero non confrontabili, ma non avendo una misura assoluta della pdoruttivita', l'unico modo di valutarla e' comparativo.
In termini piu' formali,
s=f(x)
(cioe' lo stipendio e' funzione del numero di pezzi). Dire che siamo in un sistema meritocratico equivale a dire che la funzione f e' monotona crescente, cioe', all'aumentare della produttivita' aumenta lo stipendio. Ma questa caratteristica non e' sufficiente a mettere in relazione lo stipendio s con x in un dato istante, poiche' sappiamo che cresce ma non sappiamo in che modo. In altre parole, uno stipendio di 100 euro per la produzione di 10x potrebbe essere tanto o poco, se non si ha un termine di paragone.

Un metodo per recuperare un termine di paragone non esplicito potrebbe essere quello di misurare il valore del prodotto x e paragonarlo con quello del prodotto y, indipendentemente dall'impegno necessario per produrre l'uno o l'altro. Se il prodotto x vale il doppio del prodotto y, il lavoratore A, con i suoi 100x, produce lo stesso valore del lavoratore B con i suoi 200y, quindi 201y costituirebbe un surplus di merito per B, mentre 101x uno per A. Questo pero' a me pare ingiusto. Mi spiego con un esempio stupido: Per ogni automobile a 3 porte l'azienda automobilistica deve produrre un portellone e due portiere. Verrebbe da concludere che il valore di una portiera e' la meta' di quella di un portellone. Eppure non ci vuole meno impegno per produrla (anzi, casomai l'inverso!). Nondimeno la casa automobilistica dovra' commercializzare automobili con tutte le porte comprese nel prezzo, per cui l'azienda dovra' adeguarsi a produrre due portiere e un portellone, anche se sembrerebbe di gran lunga meno conveniente che produrre tre portelloni. Sarebbe assurdo immaginare di pagare di meno l'operaio che produce la portiera dell'operaio che produce il portellone.
In altre parole, il metodo che valuta il valore di un lavoratore in base al cumulo del valore di cio' che produce materialmente sembra poco convincente.
Eppure spesso avviene cosi' nella vita reale. Io, ad esempio, lavoro nell'ufficio di ricerca e sviluppo, e spesso, insieme ai colleghi di questo ufficio, sono additato come colui che vive sulle spalle di chi fa invece la vera produzione. Quelli dell'ufficio che produce il prodotto finito hanno la sensazione che e' proprio grazie al loro lavoro che l'azienda ottiene l'utile che serve per pagare gli stipendi di tutti, compreso il mio. Quello che invece fa programmi nell'ufficio di ricerca e sviluppo non ha un diretto riscontro sul valore del proprio lavoro da poter sbandierare al momento opportuno.

Un metodo secondo me un poco piu' ragionevole per valutare un lavoratore indipendentemente dalla presenza in azienda di un altro lavoratore che svolge lo stesso compito puo' essere quello di utilizzare come termine di confronto la produttivita' dello stesso lavoratore nello storico.
Questo e' esattamente quello che, almeno a parole, tentano di fare nell'azienda per la quale lavoro (mmh... in realta' ad oggi non tentano piu' nemmeno di convincerci che sia questo: richiedono spudoratamente piu' impegno rifiutando qualunque disponibilita' ad adeguare lo stipendio, con la scusa della crisi economica - in pratica, utilizzano un metro diverso: quello che definisco il "mercato delle vacche", che descrivero' piu' sotto).
Mi spiego meglio.
Il lavoratore A produce una media di 100x al giorno nell'anno 2000, 100x nel 2001, 100x nel 2002 e cosi' via fino al 2009. Nel 2010 il lavoratore A produce 120x al giorno. Significa che nel 2010 il lavoratore A si e' impegnato di piu', e quindi si merita un certo premio: un aumento di stipendio. Questo sembrerebbe meritocratico, perche' il merito di aver prodotto 20x in piu' al giorno viene riconosciuto e ricompensato. A, in altre parole, viene incentivato a produrre di piu'. O, vista dal punto di vista opposto, l'azienda viene invogliata ad aumentare lo stipendio.
Ma andiamo avanti. Anche nel 2011 A produrra' 120x al giorno, perche' avra' quello stipendio. Pero' nell'anno 2012 A forse tornera' a produrre solo 100x, ricadendo in un certo lassismo proprio della sua personalita'. A rigore il suo stipendio dovrebbe essere ridotto allo stipendio che percepiva dal 2000 al 2009 (almeno allo stesso valore come potere d'acquisto). Questo comporta certe interpretazioni un poco deviate, rispetto lo scopo del meccanismo.
- il lavoratore dice: se io produco 100x oggi, ma posso produrre 120x impegnandomi di piu', mi conviene produrre 101x, il che costituisce un aumento di produttivita' ma consente un ulteriore aumento in futuro, corrispondente ad un ulteriore aumento di impegno.
- il datore di lavoro dice: l'anno scorso A ha prodotto 100x. Quest'anno ha prodotto 120x, senza che io gli dessi un aumento di stipendio. Vuol dire che l'anno scorso A non si e' impegnato al massimo, non meritandosi quindi lo stipendio. Ora che l'ho scoperto, non sarebbe invece da punire, piuttosto che premiare?
- il datore di lavoro dice: l'anno scorso A ha prodotto 100x. Quest'anno ha dimostrato di poter produrre 120x a questo stipendio, quindi se gli aumentassi lo stipendio, sarebbe portato ad interrompere il miglioramento delle sue prestazioni, poiche' ha ottenuto l'aumento che desiderava. Se invece gli lascio invariato lo stipendio, lui dovra' dimostrare di essere capace di produrre di piu' l'anno prossimo. Se il lavoratore A l'anno prossimo tornasse a produrre 100x - visto che non ha ottenuto un aumento di stipendio - significherebbe che e' stato sbagliato dargli un aumento visto che non e' disposto ad impegnarsi di piu' costantemente, mentre se l'anno prossimo produce 120x significa che il suo impegno non e' correlato all'aumento di stipendio e di conseguenza, ancora una volta, ho fatto bene a non darglielo.
- Con questo sistema, al lavoratore non conviene mai dare il massimo, perche' se da' il massimo ottiene un aumento di stipendio massimo, dopodiche' dovra' continuare a dare il massimo per mantenere quello stipendio, senza speranza di un ulteriore aumento (visto che piu' del massimo non puo' dare).
D'altra parte al datore di lavoro conviene non dare mai un aumento massimo perche' esso costituirebbe un premio insuperabile e quindi vanificherebbe la richiesta di un ulteriore impegno da parte del lavoratore.
- Se il datore di lavoro mi richiedesse un maggiore impegno, io gli risponderei che per lo stipendio che mi da' questo e' il massimo che posso dare. Ovviamente risponderei cosi', perche' la mia disponibilita' ad impegnarmi di piu' a questo stipendio svelerebbe una inadeguatezza del mio impegno attuale. Dovrei quindi dare di piu' a questo stipendio, il che svela che non mi merito un aumento.
- D'altra parte se il datore di lavoro mi corrispondesse un aumento di stipendio, come incentivo, prima di richiedermi un aumento di impegno, io dedurrei che finalmente lui ha capito che il mio impegno attuale non era sufficientemente retribuito, e cio' non sarebbe di alcun incentivo a produrre di piu'.
Quel che realmente e' successo nella mia azienda e' che si e' sbandierato un criterio meritocratico, promettendo aumenti per il raggiungimento di determinati obiettivi. Quando gli obiettivi sono stati raggiunti (prima di qualunque aumento retributivo) il datore di lavoro ha dedotto che lo stipendio che si percepiva era sufficiente per il raggiungimento di quegli obiettivi, e quindi non avrebbe avuto senso aumentare gli stipendi. Ora i lavoratori se la sono pigliata in quel posto, perche' se cercano di dare di piu' senza un aumento di stipendio, dimostrano che non e' necessario dare loro un aumento di stipendio per ottenere di piu', se invece si rilassano e si adeguano ad impegnarsi di meno, dimostrano che la loro produttivita' cala, e quindi non si meritano nemmeno lo stipendio che hanno.
Contorto? Eppure da noi e' esattamente cosi' che funziona. Meritocrazia o no, sono riusciti a trovare il modo di non adeguare il mio stipendio neanche agli scatti del CCNL.
Il fatto e' che a me piace dare il massimo e fare le cose nel modo migliore, perche' trovo che sia piu' stimolante che perdere tempo. Quindi non ha senso rapportare il mio impegno alla mia retribuzione.

Un metodo che invece sembra funzionare in ogni caso e' quello del "mercato delle vacche". Si tratta dell'applicazione alla carne umana della Sacra Legge del Mercato: la Legge della Domanda e dell'Offerta.
Chi vende un bene materiale qualsiasi tendera' a diminuirne il prezzo unitario se ha da smerciarne una gran quantita' ma non ci sono molti acquirenti. Facendo cosi' riuscira' ad aumentare la domanda (il prezzo inferiore rende il bene piu' attraente), e non rischiera' di rimanere con molto invenduto. Il guadagno unitario sara' inferiore, ma quello totale superiore. Se invece chi vende dispone di una piccola quantita' di quel bene a fronte di una domanda molto alta, tendera' ad aumentarne il prezzo, poiche' riuscira' comunque a piazzare tutto, ottenendone un utile maggiore.
Questo metodo per assegnare un prezzo ad un bene e' secondo me eticamente discutibile, perche' alla fine il prezzo non ha niente a che vedere con il valore. Se io devo acquistare un bene per me necessario che pero' ha un basso valore intrinseco (cioe' produrlo e' costato poco), io saro' disposto a sborsare qualunque cifra per ottenere quel bene. Viceversa, l'abbondanza di disponibilita' sul mercato di un bene che ha un alto valore intrinseco (cioe' e' costato molto per produrlo) puo' stritolare il guadagno di chi l'ha prodotto. Anche se eticamente discutibile, tutto questo puo' anche essere ragionevole per un bene materiale qualsiasi. Ma se stiamo parlando del lavoratore, che incidentalmente e' anche un essere umano, mi pare un poco demoralizzante.
Secondo questo schema la soddisfazione del lavoratore nel proprio stipendio e' valutata in base al mercato del lavoro. Se io svolgessi un compito che solo una ristrettissima quantita' di persone al mondo e' capace di svolgere, me la potrei scialare con uno stipendio altissimo. Viceversa se molti sono in grado di compiere il mio lavoro, e per giunta parecchi di loro sono in cerca di occupazione, quelli saranno portati ad offrirsi per uno stipendio inferiore al mio. Io saro' quindi meno competittivo.
Questo e' terribile per due ragioni. La prima e' che per quanto io sia bravo, se l'azienda non richiede questa qualita', io dovro' accontentarmi di una retribuzione inferiore alle mie capacita'. Se ci fosse una adeguata organizzazione del mio lavoro, io potrei produrre ben piu' di quanto produco ora, e quindi far fruttare la mia professionalita' meglio. Potrei costituire una ricchezza maggiore per l'azienda e quindi ottenere una retribuzione migliore. Ma non e' cosi'.
L'altra ragione e' che sono le fluttuazioni del mercato del lavoro e non il lavoro stesso a determinare il valore bene prodotto, e quindi, se anche fosse vero che in un determinato istante fissato del tempo una retribuzione migliore e' determinata da un impegno maggiore, a fronte di un periodo globalmente negativo non c'e' impegno che tenga.

4 commenti:

liber ha detto...

ma siamo nel mercato delle vacche. metà dei lavoratori sotto i 35 non lavora con un ccnl.
quindi: legge domanda-offerta.
i lavoratotori come te risentono di quelli come me che siamo disposti a fare il tuo lavoro per molto meno e senza chiedere garanzie.
sei andato a protestare?
devi andare dal tuo capo e dire io valgo questo perchè se me ne vado le lamiere te le disegni te.

dario ha detto...

Liber, in realta' ultimamente non c'e' ccnl che tenga. Guarda cos'e' successo alla Fiat a quelli che avevano un contratto ccnl. Guarda il mio caso (che e' di gran lunga meno grave, ma significativo sull'importanza del ccnl): l'anno scorso ci sono stati uhm.... mi pare circa 60 euro lordi al mese di busta paga di contratto, di adeguamento all'inflazione programmata (e, come sai l'inflazione programmata e' di gran lunga inferiore a quella reale). Poca cosa in busta paga, ma anche quella mi e' stata negata, con un sotterfugio che non ti sto a spiegare per brevita'.

Quindi anche noi siamo soggetti a mercato delle vacche. Se decidono che non hanno piu' bisogno di me, pam, mi mettono in cassa integrazione e io sono nel bel mezzo di una strada. Qui in azienda io sono tra i fortunati che, per adesso, non sono a rischio di cassa. Ma ce ne sono tanti altri...

Certo che sono andato a protestare (dal direttore del personale). La risposta e' stata piu' o meno "quella e' la porta".
Perche'? Perche' al mercato delle vacche si trovano tanti altri programmatori che valgono un poco di meno di me, ma che costano molto meno di me, visto che sono disposti a tutto per un misero stipendio.

Artemisia ha detto...

Ahhhh ma allora è una fissa! Sbaglierò, ma sotto tutti questi bei discorsi "generali", temo che ci sia qualche conto in sospeso personale. :-)

dario ha detto...

:-) cavoli, sei proprio un segugio!