lunedì 11 febbraio 2008

Il clone nel piatto

Il clone nel piatto

Guglielmo Ragozzino

Nell'aprile del 2007 la Commissione europea ha chiesto all'Agenzia europea per la sicurezza alimentare, Efsa, un parere sulla possibilità di mettere in commercio latte e carne provenienti da animali clonati, per esempio maiali e mucche. La risposta - una sostanziale via libera - è arrivata in questi giorni e la Coldiretti, l'importante associazione di agricoltori, l'ha fatta conoscere a un pubblico di non specialisti, mettendo subito in chiaro la propria contrarietà e preoccupazione.
In sostanza l'Efsa si limita ad assicurare che le qualità nutrizionali non sono diverse da quelle dei prodotti di animali ottenuti nel modo tradizionale. Si riserva però di svolgere una consultazione pubblica da concludere il 25 febbraio per arrivare a fine maggio alla risposta definitiva. A questo punto la Commissione metterà insieme questo parere e quello del Gruppo europeo sull'etica, e deciderà. Anche Coldiretti ha fatto una sua consultazione, non scientifica, ma pratica, online; e il risultato è stato che il 55% delle risposte è un no categorico, il 36% ha richiesto almeno l'etichettatura della derrata alimentare che ne indichi l'origine clonata; mentre l'8% si è detto favorevole e l'1% non si è espresso. Rimane la convinzione che l'Efsa non sappia liberarsi dal fascino della Fda (Food and Drug Administration) americana che spinge ormai sulla liberalizzazione degli animali clonati.
I motivi che portano anche una parte dell'agroindustria europea a seguire la pista della clonazione è la convinzione di realizzare così animali deformati, nel senso di essere dedicati alla produzione di maggiori prosciutti, più latte, ecc. Questo però non tiene conto di almeno tre guasti.
Il primo è l'eliminazione di ogni biodiversità. Quest'ultima non è una mania dell'ambientalismo tropicale, ma è il tentativo di avere, anche ai nostri climi, organismi meno recettivi di malattie.
Le discendenti della pecora Dolly non potranno mai liberarsi delle malattie presenti nell'organismo dell'ava (se così si dice). Dall'assenza di biodiversità discende la minore difesa immunitaria, per cui le bovine sono spesso soggette a epidemie. Infine la genetica dà spesso risultati opposti a quelli sperati da chi ne fa uso per «migliorare le razze»; ed è causa di una vita produttiva scarsissima, tanto che perfino una parte dell'agricoltura americana si muove ormai in controtendenza e riafferma l'utilità di incrociare animali di caratteristiche diverse per ottenere animali più sani e in definitiva più carne e più latte. Gli esperti di allevamenti che abbiamo consultato ci hanno spiegato che piuttosto che buttare i soldi sulla scienza della clonazione, sarebbe meglio investire sulla struttura abitativa degli animali. In un tempo di cambiamenti climatici, una genetica troppo raffinata sarebbe un ulteriore guasto. Tanto più se la genetica è connessa a sistemi di allevamento crudeli, in luoghi dissennati. Le bovine hanno ormai una vita dimezzata. Invece delle 7/8 lattazioni di un tempo ormai ne hanno 3 o 4. Le bovine clonate avrebbero insieme tutti questi difetti.

da Il Manifesto del 12 gennaio 2008

C'e' un gran parlare, in questi giorni, riguardo alla notizia della commercializzazione a scopo alimentare in America della carne e del latte provenienti da bovini e suini clonati.
Anche se si tratta di un procedimento diverso, la questione ha secondo me molti aspetti in comune con quella degli organismi geneticamente modificati. Nel caso della clonazione, infatti non c'e' alcun intervento di modifica genetica artificiale. Non c'e' nessuno scenziato che vada a cambiare artificialmente la sequenza del DNA, e quindi le caratteristiche fisiche (e organolettiche) degli organismi prodotti rimangono identiche a quelle degli organismi produttori. Viene invece sostituito il meccanismo riproduttivo che ha generato il nuovo organismo, ovviamente allo scopo di ottenere una qualita' migliore dal punto di vista commerciale. L'idea e': selezioniamo il bovino (o suino) commercialmente perfetto e poi replichiamolo sempre identico a se stesso, e quindi altrettanto valido commercialmente. Il patrimonio genetico dell'organismo risultato della clonazione e' infatti identico a quello dell'organismo sorgente.
Nel caso degli OGM, invece, viene modificata la sequenza del DNA sostituendo alcuni geni con altri pescati da catene di DNA di altri organismi completamente diversi. Lo scopo e' sensibilmente diverso dal caso della clonazione, perche' in questo caso si tende alla produzione di organismi nuovi, che contengono caratteristiche che non potrebbero essere generate in modo naturale. Ricordo ad esempio la presentazione alcuni anni fa di un fiore nella cui sequenza genetica era stato inserito il gene della bioluminescenza estratto dal DNA di un crostaceo. Il nuovo organismo era un fiore i cui petali emanavano luce propria di notte. L'idea, in questo caso e': creiamo un organismo che contenga tutte le caratteristiche che ci interessano a scapito di caratteristiche inutili. Organismi cosi' ottenuti hanno il vantaggio commerciale di poter creare nuove nicchie da riempire di business. Nel caso particolare del fiore bioluminescente si pensava di coltivarlo lungo i bordi delle autostrade con ovvi vantaggi dal punto di vista della sicurezza stradale (l'idea non e' niente male, anche se devo dire che, pensandoci appena qualche minuto, mi vengono in mente interi poemi epici di soluzioni alternative con lo stesso effetto decisamente meno costosi - ad esempio, l'utilizzo di quelle lampade che accumulano energia solare di giorno per poi restituire una flebile luce di notte).

Pur evitando di affrontare implicazioni morali legate all'intervento umano nel processo di creazione di una nuova vita, rimangono aperte alcune questioni riguardo alla commercializzazione degli animali (o vegetali) clonati o geneticamente modificati.

Le prime domande che hanno riempito i media europei in seguito alla notizia della commercializzazione in America della carne e latte clonati, sono quelle che riguardano piu' da vicino i consumatori, attenti innanzitutto alla salute e alla qualita' del prodotto. La carne clonata e' sana? E' buona?
Per quanto ne so non c'e' motivo per dubitare che la carne (o il latte) di un animale clonato abbia proprieta' diverse dalla carne o dal latte dell'animale sorgente della clonazione. Quella carne (quel latte) ha le stesse caratteristiche, e quindi se l'una e' buona, l'altra e' pure buona. Se l'una e' sana, lo e' anche l'altra.
Per gli OGM e' diverso, perche' le caratteristiche degli organismi prodotti non solo sono diverse da quelle degli organismi da cui si e' partiti, ma lo sono anche in modo non predicibile, visto che la modifica genetica puo' (ed in genere e' cosi') creare organismi che non si sono mai prodotti, ne' si produrranno mai, in modo naturale. Una domanda da porsi puo' essere ad esempio se, ed in che modo, una persona allergica alle fragole possa o meno mangiare un pollo il cui DNA e' stato mischiato con quello di una fragola. La risposta a questa domanda dipende dalla determinazione della reazione degli anticorpi di quella persona alle cellule del pollo alla fragola. Poiche' non si ha esperienza di questo tipo di cellule, la reazione non puo' essere predetta.
Per quanto riguarda il sapore, e' evidente che il motivo per cui si scomoda la tecnologia OGM per scopi alimentari e' di produrre organismi che abbiano un sapore diverso da quelli su cui si applica la tecnologia.

Valutando il problema da un altro punto di vista, un'altra questione aperta e' quella ecologica, ben puntualizzata dall'articolo che ho citato. Il mondo, con le sue catene alimentari, si basa sulla biodiversita', cioe' proprio sul fatto che l'incrocio riproduttivo di due individui genera un organismo in parte diverso da entrambi. Le differenze che sopravvivono sono quelle piu' favorevoli in termini di adattamento all'ambiente, poiche' gli individui mutati hanno piu' probabilita' di sopravvivere e quindi di accoppiarsi, perpetrando la mutazione alle generazioni successive. Questo meccanismo ha allungato i colli alle giraffe in modo che potessero cibarsi delle fronde piu' alte degli alberi, ha trasformato in pinne gli arti dei cetacei, ha diviso gli animali in erbivori, che si cibano di vegetali, e in carnivori, che si cibano di erbivori. Ma ha anche diviso gli esseri viventi in animali, che traggono nutrimento dai vegetali e in vegetali che traggono nutrimento da animali.
Se abbiamo scoperto il bovino (o il suino) commercialmente perfetto, finira' che l'agricoltura produrra' sempre quel bovino (o suino), intere fattorie piene di copie di un solo organismo sempre ed ovunque uguale a se stesso, riproducendo caratteristiche sempre uguali, e peraltro neanche necessariamente le migliori sotto il punto di vista dell'adattamento all'ambiente, ma solo dal punto di vista commerciale. Questi organismi ruberanno quote di esistenza a tutti gli altri bovini, che progressivamente spariranno dal mondo animale, compromettendo tutte le catene alimentari in cui sono coinvolti.
Forse questo processo non compromette necessariamente la vita sulla terra, certo contribuira' nella semplificazione del patrimonio genetico. A noi forse non servono animali che producono carne o latte commestibile di qualita' inferiore e a prezzi superiori, ma sicuramente al mondo serve eccome, altrimenti l'evoluzione naturale ci avrebbe gia' pensato da sola a fare "pulizia etnica". La biodiversita' e' un meccanismo di conservazione delle speci e della vita in generale. Se un individuo e' sensibile ad un virus, ad esempio, puo' darsi che un altro individuo simile, della stessa specie, non lo sia. Mutazioni genetiche naturali del virus tenderanno ad attaccare organismi con un patrimonio genetico diverso. Gli organismi delle speci attaccate tenderanno a generare mutazioni naturali resistenti a quel virus. Se il patrimonio genetico di un insieme di animali e' sempre immutabile ed identico a se stesso, un virus in grado di uccidere un individuo e' in grado di uccidere tutti gli individui dell'insieme. La clonazione e' quindi l'antitesi dell'evoluzione naturale, su cui si basa il funzionamento del mondo.
Per quanto riguarda gli OGM, invece, il discorso e' un po' diverso. Se l'evoluzione naturale tende a selezionare le caratteristiche genetiche di una specie in modo che gli individui siano piu' competitivi degli antagonisti, la modifica genetica artificiale tende a selezionare le specie in modo che gli individui siano piu' competitivi solo dal punto di vista commerciale valutato sulle tasche di chi deposita il brevetto. Questi nuovi organismi, pur essendo potenzialmente meno forti degli organismi naturali si insedierebbero nello stesso ambiente, e di conseguenza anche quelli naturali alla lunga si adatterebbero ai nuovi arrivati. Se si producesse una varieta' di grano OGM resistente al 90% di un certo tipo di parassita, e si coltivasse solo quella varieta', succederebbe che il 90% di parassiti morirebbe, lasciando spazio alla libera riproduzione del rimanente 10%. L'unico risultato che si otterrebbe e' di rendere i parassiti del grano piu' forti. Se invece la varieta' di grano rilasciata resistesse alla totalita' di parassiti, tali parassiti si estinguerebbero, o quanto meno sparirebbero parzialmente, compromettendo le catene alimentari a cui appartengono.

C'e' poi una conseguenza sociale. Chiaramente chi detiene la tecnologia per la produzione degli OGM e dei cloni, la applica per ottenere del denaro, a tutto discapito di chi applica tecnologie di allevamento animale o di coltivazione vegetale tradizionali. Il controllo puo' essere ottenuto producendo cloni o OGM sterili. Se ad esempio un contadino coltiva grano OGM sterile, non sara' in grado di utilizzare parte dei chicchi di grano raccolto per seminare le pianticelle dell'anno successivo, ma dovra' ricomprarli di nuovo dallo stesso produttore di grano OGM. Questo mandera' in frantumi gli equilibri sociali derivanti dall'economia di sussistenza dei Paesi poveri. Oltre tutto le coltivazioni tradizionali traggono beneficio dagli insetti impollinatori che, non rispettando i confini dei campi coltivati, portano il polline da una coltivazione all'altra. Se un coltivatore utilizza semenze OGM, le sue pianticelle, sterili, non potranno fornire polline buono per fertilizzare le pianticelle dei coltivatori vicini, che vedranno compromesso anche il loro raccolto.

C'e' infine un aspetto culturale del problema. Un pollo OGM al sapore di fragola e' buono o non e' buono? La risposta puo' essere diversa a seconda di chi risponde, ma io penso che abbia un senso l'interpretazione del gusto sotto un'ottica culturale. Infatti come lo si mangia, il pollo alla fragola? In una macedonia di frutta oppure arrosto con le patatine? Siccome non c'e' una storia di tradizione legata al pollo alla fragola, non esiste nemmeno una ricetta popolare che produca un piatto popolare che consenta di catalogare il sapore secondo canoni riconoscibili. In altre parole il sapore di un alimento e' un fatto culturale, e quindi non e' possibile decidere se il pollo alla fragola abbia un valore culinariamente positivo o negativo. Si tratta solo di fare tentativi e valutare la risposta del consumatore, ma il tentativo stesso snatura la tradizione gastronomica, fatta non solo di buone materie prime, ma anche di Storia. Penso che un pollo arrosto tradizionale, fumante con le patatine fritte sara' sempre piu' buono, perche' cosi' lo faceva mia madre e prima di lei sua madre a risalire fino alla preistoria. Oppure mi piace anche una ciotola di buone fragole fresche con zucchero e limone. Per quanto buono possa essere, lascerei il pollo alla fragola a McDonalds, dove il problema non e' fare del buon cibo, ma venderlo bene.
Aggiungerei inoltre che la varieta' gastronomica di una tradizione e' data dall'accostamento dei vari alimenti disponibili. Se eliminassimo dal mercato gli alimenti "minori", cioe' quelli che rendono meno dal punto di vista commerciale, dovremmo rinunciare alla possibilita' di realizzare la quasi totalita' delle ricette popolari. La varieta' della qualita' degli alimenti disponibili sul mercato da' la varieta' dei gusti in cui si misura una tradizione culinaria. Avere pochi ingredienti, anche se perfetti, nei negozi, significa perdere la varieta' in cucina.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ammazza quanto è lungo! Ma veramente esaustivo sotto tutti i profili, che condivido. Complimenti, Dario, lo segnalo sul mio.