mercoledì 31 ottobre 2012

Maschio, bianco, eterosessuale...

Una "categoria" e' un insieme di elementi contraddistinti da caratteristiche comuni. Le caratteristiche comuni agli elementi dell'insieme caratterizzano l'insieme, per cui, visto che e' possibile includere un elemento nell'insieme solo se ha quelle caratteristiche, una volta incluso, e' lecito attribuirgli quelle caratteristiche. E quindi anche eventuali effetti di cui quelle caratteristiche sono causa.

Puo' pero' capitare che ci troviamo a riconoscere delle categorie in modo innato (per cultura o istinto), senza definirne le caratteristiche a priori, e ad includere quindi alcuni individui in quegli insiemi senza avere una idea precisa del motivo di quella inclusione. Cio' nonostante siamo convinti che quegli individui vi appartengono. Poiche' tuttavia, per esigenze comunicative, abbiamo bisogno comunque di descrivere le categorie, tendiamo artificiosamente a creare a posteriori delle caratteristiche e poi ad imporle ad esse, e, di conseguenza, agli individui che ne fanno parte.
Un esempio e' quello del cigno nero, di cui ho parlato in un post tempo fa. Chiunque sappia che cos'e' un cigno, alla richiesta di definirlo ci elenchera' alcune caratteristiche, tra cui di sicuro il piumaggio bianco. Quindi tutti i cigni, per essere tali devono avere le piume bianche. E cio' ha funzionato fino al giorno in cui non si sono scoperti (in Australia, credo) i cigni neri, del tutto simili a quelli bianchi se non per il colore. Da allora in poi, chiunque avesse visto un cigno nero l'avrebbe comunque riconosciuto come cigno, pur avendo quella fondamentale caratteristica diversa. La verita' e' che qualunque risposta alla domanda "da cosa si riconosce un cigno?" e' imprecisa, perche' finirebbe per fornire una lista di caratteristiche consuete ma non necessarie a che un individuo appartenga alla categoria, e la categoria, come noi la percepiamo, non e' smplicemente definita da quella lista.
Io credo che pero' l'errore non stia tanto nella risposta, ma nella domanda. Prima di chiedersi da cosa si riconosce un cigno, bisognerebbe capire che cosa sia un cigno. Un biologo risponderebbe che la categoria "cigno", come tutte le speci animali, e' definita geneticamente. Se un essere vivente ha caratteristiche genetiche tali per cui un suo accoppiamento con un cigno generasse dei cignetti fertili, allora si tratta proprio di un cigno. Il cigno nero e' un cigno perche' puo' accoppiarsi con cigni (bianchi o neri) e generare figli fertili.
Ho l'impressione che anche questa definizione sia imprecisa per mille motivi. Ad esempio discriminerebbe individui sterili, che in quanto tali non sono in grado di generare figli, tantomeno fertili. Ma soprattutto penso che non vada a fondo alla questione. Cioe', io, che non sono un biologo, riesco a riconoscere un cigno come tale pur non approfondendo la faccenda della riproduzione. Se mi dicessero che cio' che io considero la categoria dei cigni fosse divisa in due speci (cioe' alcuni dei cigni si potessero accoppiare con successo tra loro ma non con altri e viceversa), continuerei comunque a riconoscere i cigni di entrambe le speci come appartenenti alla mia categoria. E se anche, per distinguere le due speci, ci fosse una caratteristica visibile (ad esempio se mi dicessero che i cigni neri e quelli bianchi fossero reciprocamente sterili) ne prenderei atto, ma continuerei a distinguere i cigni (bianchi o neri) dai cammelli e dalle foche.

Quindi, qualunque sia la definizione delle corrette categorie (se ne esistono) per dividere il mondo, la questione che ci interessa e' stabilirne empiricamente alcune utili a noi per descriverlo, e di conseguenza il modo per assegnare loro gli individui.

Questa considerazione ha risvolti sociali, perche' sembra che siamo portati a distinguere gruppi umani per caratteristiche somatiche, o comunque evidenti. E cosi' esistono i bianchi e i neri, i maschi e le femmine, gli adulti e i bambini, gli omosessuali e gli eterosessuali...
E fin qui va bene, perche' categorie cosi' definite possono essere considerate semplicemente per quello che sono, cioe' insiemi di persone accomunate proprio da quelle caratteristiche che si sono utilizzate per definire le categorie. E cio' puo' avere qualche utilita'. Per esempio dubito che una azienda che produce cosmetici cerchi di commercializzare una crema abbronzante per un target di pelle nera. Credo di non sbagliare dicendo che gli assorbenti igienici siano utilizzati solo dalle femmine. Se fossi omosessuale rinuncerei a priori ad una relazione stabile con un uomo eterosessuale ecc...
Insomma, e' lecito applicare agli elementi di una categoria le caratteristiche che li contraddistinguono proprio perche' appartengono a quella categoria.

E' invece costume diffuso applicare alla categoria caratteristiche discriminatorie pur se non si tratti di caratteristiche distintive per quella categoria. E spesso ci si basa su conclusioni statistiche. Sull'osservazione, cioe', che una certa quantita' piu' o meno ampia di elementi appartenenti alla categoria abbiano quelle caratteristiche.
Se si attribuisce una caratteristica non distintiva alla categoria, bisognerebbe chiedersi come mai esistano degli elementi appartenenti a quella categoria che quella caratteristica non ce l'hanno, se si vuole andare a fondo alla questione, altrimenti si rischia di creare una ingiusta discriminazione all'interno della discriminazione stessa.

A volte, tuttavia appare difficile capire quali siano le caratteristiche "sostanziali" di una categoria e quali quelle "accessorie". Faccio un paio di esempi.

Le giraffe adulte hanno un'altezza di circa 5 metri. Si tratta di selezione darwiniana, cioe' che mutazioni genetiche casuali su giraffe primordiali piu' basse hanno prodotto alcuni individui dal collo lungo, e questa caratteristica si e' rivelata vincente nella competizione per il cibo perche' riuscivano a mangiare le fronde piu' alte irraggiungibili da animali piu' bassi (comprese le giraffe non mutate). La caratteristica vincente si e' quindi propagata perche' gli individui mutati avevano piu' probabilita' di sopravvivere e quindi di riprodursi e di perpetrare il gene mutato.
Se oggi dovesse esserci una analoga mutazione genetica casuale e nascesse una giraffa col collo corto, avrebbe meno probabilita' di sopravvivenza e di riproduzione. Ma noi, vedendola, continueremmo a ritenere che si tratti di una giraffa, seppure un po' diversa.
Nonostante il collo corto non sia una caratteristica che escluda necessariamente l'individuo al gruppo, credo che sia ragionevole considerare il collo lungo come "sostanziale", infatti si tratta di un fatto genetico che hanno in generale le giraffe, e che in generale non hanno gli altri animali. C'e' un motivo fondato per cui possiamo attribuire la caratteristica alla categoria e agli elementi e prevedere che nuovi elementi abbiano quella caratteristica con una buona probabilita'.

Come mai i giocatori di basket sono tutti alti?
Potrebbe essere anche per loro una questione genetica, ma non credo. O meglio, e' una caratteristica genetica applicata ai singoli individui, ma non alla categoria dei giocatori di basket. L'altezza e' certamente una caratteristica favorevole per loro, perche' raggiungono meglio il canestro, ma non credo che chi ha quella caratteristica possa sopravvivere meglio o accoppiarsi con piu' facilita' degli altri con le giocatrici delle squadre femminili. Ne' tantomeno che i figli di giocatori e giocatrici di basket, pur che ereditino il gene dell'altezza, debbano necessariamente intraprendere la stessa carriera.
Non e' nemmeno vero che l'attivita' peculiare di chi gioca a basket (partite e allenamento) sia causa un allungamento. O forse e' cosi', ma al massimo per una questione di millimetri, mentre qui stiamo parlando di decine di centimetri! Conosco un ragazzino affetto da acondroplasia, e non consiglierei mai alla madre di indirizzare il figlio a questo sport per risolvere il problema.
Piuttosto penso che, proprio perche' nella pallacanestro chi e' alto e' favorito, quelli che lo intraprendono riescono a raggiungere livelli agonistici buoni con piu' facilita' se sono alti. Gli altri devono accontentarsi di livelli inferiori e finira' che noi non sentiremo mai parlare di loro.
Non credo quindi che sia ragionevole considerare l'altezza come una caratteristica "sostanziale" dei giocatori di basket. Credo che l'altezza media di chi intraprende questo sport sia uguale a quella di tutti gli esseri umani, solo che quelli bassi non sfonderanno in questo campo.
Pero'... se sentiamo parlare di qualcuno sconosciuto che pratichi la pallacanestro a livello amatoriale ce lo figuriamo alto almeno due metri. Sbagliato!

La giraffa ha buone probabilita' di essere un animale molto alto, mentre il giocatore di basket ha le stesse probabilita' di tutti di essere piu' alto della media.
La differenza sta nel fatto che la giraffa e' alta perche' l'altezza definisce la categoria delle giraffe, mentre, per i giocatori di pallacanestro l'altezza e' solo una caratteristica accessoria (importante quanto si vuole, ma che non definisce la categoria).
Inoltre l'altezza non e' una caratteristica sufficiente per i giocatori di pallacanestro. Infatti esistono ragazzi molto alti che tuttavia, anche se intraprendessero questo sport, non raggiungerebbero mai livelli agonistici.

In questo contesto, la statistica puo' essere uno strumento utilizzato impropriamente per avvalorare tesi volutamente discriminatorie, indipendentemente dalla verita' delle affermazioni che propone.
Per esempio, credo che l'espressione "i Rom puzzano" non sia del tutto falsa, se considerata secondo certe limitazioni.
In Italia una grossa fetta di persone appartenenti a questa etnia vivono in uno stato di estrema poverta' e in condizioni igieniche precarie, perche' non si possono permettere stili di vita migliori. Io invece che posso, mi lavo tutti i giorni, e, per essere sicuro di non emanare olezzi sgradevoli, mi metto pure il deodorante sotto le ascelle. Quindi mediamente un Rom puzza piu' di me.
Pero' bisognerebbe stare molto attenti a non utilizzare impropriamente questa espressione. Un'affermazione come "i Rom puzzano" suggerisce un'interpretazione diversa da quella descritta qui sopra. Suggerisce che i Rom abbiano una cultura primitiva e non capiscano l'importanza dell'igiene personale, o addirittura che si tratti di una razza geneticamente inferiore e la puzza sia il fenotipo del loro difetto genetico. In ogni caso, poiche' l'espressione "puzza" ha connotazioni culturalmente negative, "i Rom puzzano" suona comunque come un insulto. Naturalmente io non penso che la cultura Rom sia primitiva o che l'etnia sia una razza inferiore, e non voglio insultare proprio nessuno.
Il problema secondo me e' linguistico. Innanzitutto al massimo l'espressione ha un valore statistico, e non assoluto. Inoltre la puzza non caratterizza l'essenza della categoria dei Rom (ritenerlo significa avere un preconcetto razzista). Infine l'espressione sembra essere una dichiarazione definitiva e non stimola una indagine piu' approfondita: perche' i Rom puzzano?
Oltre a tutto possiamo anche aggiungere che ci sono molte altre (categorie di) persone che puzzano. Analizzando la questione ci vorrebbe poco a concludere che la causa e' la poverta' e quindi le condizioni igieniche. Anche noi, se vivessimo in condizioni analoghe, puzzeremmo altrettanto.
C'e' poi chi sostiene che "l'eccezione conferma la regola". Questi, dovessero incontrare un Rom che non puzza lo riterrebbero uno scherzo della natura. Come una giraffa dal collo corto: la vedremmo cibarsi degli arbusti piccoli e quindi fare una vita diversa da quella delle altre giraffe. L'evidenza dello svantaggio competitivo dovuto al collo corto confermerebbe la necessita' naturale che le giraffe abbiano il collo lungo. Evidentemente la stessa conclusione non puo' valere per il Rom che non puzza, appunto perche' la puzza non e' una caratteristica necessaria per la categoria.

Io sono maschio, bianco, eterosessuale. E' cosi' e basta. Sono sempre stato cosi' e non conosco altro modo di essere. Cerco di vivere al meglio secondo i miei principi e la mia coscienza. e' nella mia natura essere maschio, bianco, eterosessuale, quindi sono contento di essere quel che sono. Cerco di essere una brava persona, secondo la mia personale condotta morale. Ma questo non significa gran che', visto che non sono detentore di una morale assoluta, e certamente la mia etica individuale e' costruita sulle basi del mio essere maschio, bianco, eterosessuale.
Sono per altro anche mille altre cose: biondo, sovrappeso, astigmatico, allergico all'aspirina, ateo... Ma sembra che, per la societa', maschio, bianco e eterosessuale siano gli attributi importanti per la definizione di una categoria precisa. Io, dunque, non posso negare di appartenere a quella categoria.

Da qui pero', dire che la categoria discrimina chi non vi appartiene per contrasto, cioe' femmine, neri ed omosessuali (o magari addirittura elementi che appartengono a intersezioni di queste categorie - cioe' individui che hanno piu' di una di queste caratteristiche) mi pare davvero discriminatorio nei confronti di chi appartiene alla categoria dei maschi bianchi eterosessuali.

Secondo me, nel mondo del lavoro, possiamo dire che dalle due parti della barricata non ci sono uomini e donne, ma persone-che-aspirano-a-posizioni-di-potere e persone-che-non-aspirano-a-posizioni-di-potere.
Tra queste due categorie, la differenza sostanziale e' che gli uni utilizzano gli artigli per farsi spazio tra gli altri a suon di graffi. Raggiungono la cima non tanto perche' hanno qualita' tecniche migliori per fare la scalata, ma perche' riescono a sgomitare di piu' per farsi spazio. Usano di piu' l'aggressivita' e lo spirito competitivo piuttosto che la capacita', l'intelligenza e la cultura. Inoltre spesso accade (come avviene per me, ad esempio), che chi non ha potere nemmeno ambisce ad averne, perche' e' piu' interessato a fare, piuttosto che a dirigere. Le logiche della gerarchia aziendale, almeno in Italia, almeno per quanto riguarda la mia modesta esperienza lavorativa, non si basano sulle capacita' di ricoprire un ruolo al meglio, ma su quelle di dimostrare di essere migliore degli altri. Tant'e' vero che io posso essere bravo nel mio lavoro quanto voglio, ma mi si riconoscera' uno stipendio sicuramente inferiore a colui che mi sta sopra nell'organigramma, per quanto lui sia assolutamente inetto a quel lavoro (e a qualunque altro che richieda un minimo di intelligenza). Lui sta li' perche' ha la capacita' di far credere di avere le palle per ricoprire quella posizione, non perche' dimostra di essere qualificato per quel ruolo.

Io non credo sia vero che una donna non possa scalare la gerarchia aziendale. Credo pero' che per farlo debba sgomitare, graffiare, arraffare, lottare almeno quanto un uomo che ambisce allo stesso posto. Credo (ma non ne sono sicuro) che una donna sia meno naturalmente portata a questa attivita', perche' credo che l'istinto a competere ad ogni costo sia proprio del maschio. Forse per ragioni culturali, o forse addirittura genetiche: i due cervi maschi si prendono a cornate per ottenere il diritto di riprodursi. Non si e' mai visto, nel regno animale, due femmine che competono per la stessa ragione.
Ma credo anche che se i maschi hanno istinto a dominare, solo pochi di essi riescono effettivamente a farlo.
Credo infine che l'uomo si differenzi dagli animali perche' puo' basare le sue scelte su una cultura, e non si limita ad assecondare le pulsioni. L'aggressivita' necessaria per manifestare il diritto ad essere superiore nella gerarchia e' una capacita' eticamente negativa, e come tale dovrebbe essere repressa.
Io sono proprio bravo nel mio lavoro. Sono bravo anche nella capacita' di crescere ulteriormente dal punto di vista tecnico. E non ci vedo proprio nulla di contraddittorio con il fatto che non ambisco per niente a detenere posizioni gerarchicamente piu' alte. Perche' non mi interessa il lavoro di dirigere. Mi interessa invece usare la mente per costruire cose.
E se anche ambissi a posizioni dirigenziali, non credo di averne le capacita', perche' non credo di essere bravo a sgomitare per ottenere sedie piu' in alto. E se anche ne avessi le capacita', non lo riterrei moralmente giusto.
L'unica attrattiva che trovo per i posti a livelli piu' alti e' lo stipendio. In effetti, per quanto io mi dimostri bravo, non riusciro' mai ad accrescere il mio stipendio oltre ad una certa soglia. E non e' una questione di mercato, perche' il valore non e' proporzionato alla capacita' tecnica, visto che chi mi sta sopra non e' in grado di giudicarla. Non trovo affatto giusto che uno bravo relegato in basso all'organigramma percepisca uno stipendio inferiore ad un incapace che occupa i piani alti. Non lo trovo giusto neanche per l'azienda: il valore prodotto dal mio lavoro e' infinitamente superiore a quello prodotto dal mio capufficio, che e' solo un idiota bravo a sgomitare. Eppure lui prende piu' di me.

Io credo che la donna abbia molte meno opportunita' di successo, nella scalata sociale, rispetto all'uomo, cosi' com'e' organizzata la nostra societa'. E' vero che alcune donne riescono a raggiungere pari livelli, ma e' anche vero che quelle che ci riescono sono estremamente poche. Tanto per essere chiari, credo che non sia giusto.
Ma credo anche che questo problema sia figlio del metro di valutazione sbagliato. Credo che una donna debba avere la stessa opportunita' di un uomo di ricoprire un posto ai vertici dell'azienda. Ma credo che cio' dovrebbe avvenire solo se quella donna ha in effetti le capacita' tecnica, l'intelligenza e la cultura per dirigere quell'azienda. Esattamente come credo dovrebbe avvenire per un uomo. E invece non e' cosi'. Il presidente di questa azienda, per esempio, e' un emerito cretino. Si sta aprendo la strada per la successione alla figlia, che non ha affatto qualita' migliori di lui. Cio' in cui entrambi eccellono e' un'insieme di cattiveria, aggressivita', arroganza e impietosita' nei confronti dei normali dipendenti. E penso che queste caratteristiche, oltre che la proprieta' ereditata, siano cio' che abbia loro consentito di trovarsi a ricoprire quel ruolo. Dal canto mio invidio il loro reddito, ma non certo il loro modo di essere.

Sono convinto che una ragione per cui la donna e' discriminata nella scalata sociale sia che e' tendenzialmente meno aggressiva dell'uomo. Ma anche io, pur essendo uomo, non sono aggressivo abbastanza per riuscire vincente nella scalata sociale, e quindi anche io sono discriminato.
Io non ricopro ruoli dirigenziali e di questo passo non riusciro' mai a ricoprirne. Ne' voglio farlo. Mi piacerebbe guadagnare di piu', ma se il prezzo e' diventare uno stronzo, allora ne posso fare a meno.
Nei vari ambienti lavorativi ho trovato molte donne al mio livello in condizioni analoghe alle mie. Cio' che e' piu' difficile per le colleghe donne, rispetto agli uomini, e' trovare una strada per una promozione a ruoli piu' alti. Io mi sento altrettanto discriminato. Eppure sono maschio, bianco ed eterosessuale.

Sentirmi dire che una donna ha meno opportunita' di crescita di me, o, addirittura, ritrovarmi implicitamente etichettato in una categoria che viene accusata di essere la causa di questa discriminazione, lo trovo francamente un po' offensivo.

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