venerdì 25 giugno 2010

Fuipiano

2 giugno, da Fuipiano allo Zuc di Valbona.

La nostra destinazione: lo Zuc di Valbona
Fuipiano, come recita il segnale stradale che indica l'inizio del centro abitato, è soprannominato "Il tetto della Valle Imagna". Questo comune, infatti, è il più alto della valle, ed è situato sul versante opposto della montagna dove abitiamo. Da qui si dipartono alcuni sentieri che percorrono le montagne di questa zona.

Giunti a Fuipiano bisogna seguire verso il passo di Grumello fino alla fine della strada. Ci sono dei parcheggi abbastanza comodi in abbondanza. Se la giornata è affollata bisogna rimanere un paio di tornanti più giù, come abbiamo fatto noi.
Parcheggiata la macchina si comincia a scarpinare in salita, in una mulattiera dapprima asfaltata, poi acciottolata. Tra boschi e pascoli, il sentiero è ben chiaro e non difficile. Ci sono diverse varianti, ben segnalate, ma rimanendo sulla strada maestra, si giunge ad un'area con un laghetto (per abbeverare le vacche?) ed alcuni tavoli da picnic.

Vista da sotto, durante il ritorno. A sinistra il punto d'arrivo dell'escursione,
a destra lo Zuc. Ingrandendo l'immagine si puo' notare la ripida salita,
a destra, che punta dritto verso la casupola in centro
Zuc di Valbona (una croce sopra una cima) è la nostra meta. La cartina della Kompass indicherebbe un sentiero diverso, in mezzo ai boschi, ma noi seguiamo la strada principale. Si tatta di una impressionantemente ripida e apparentemente interminabile salita (carrozzabile ma vietata al traffico), segnalata con una pendenza del 22%, ma a tratti deve essere sicuramente maggiore. Camminando si ha l'impressione di dover spostare il peso in avanti. Pazzi i ciclisti che la salgono in mtb. E ancora più pazzi poi quando ridiscendono.
In cima alla salita la vista è splendida. Sulla destra c'è una casa, il sentiero le gira intorno e termina allo Zuc di Valbona, poco distante, che vediamo chiaramente con degli escursionisti in cima. Davanti a noi si staglia il profilo caratteristico del Resegone, visto dal suo versante orientale. Decidiamo di cambiare meta e proseguire dritto su una variante del sentiero principale che segue il dolce saliscendi verso Resegone. Dopo qualche centinaio di metri scorgiamo una costruzione più in basso, sulla destra, con un laghetto e degli escursionisti. Ci fermiamo nel punto localmente più alto a mangiarci un panino. Al ritorno ripercorriamo lo stesso tragitto a ritroso.
Andata:
  • Tempo: 1:26
  • Distanza: 3.81km
  • Dislivello: 368m (392m in salita, 24m in discesa)
  • Altitudine: tra 1098m e 1481m

  • Ritorno (lungo lo stesso percorso):
  • Tempo: 1:09

  • 6 giugno. Circuito ad anello: Fuipiano - Tre Faggi - Madonna dei Canti - Fuipiano

    Vista dalla Madonna dei Canti sul sentiero percorso
    l'altra volta: l'altura a destra e' lo Zuc di Valbona,
    a sinistra, in basso, la ripida salita
    Da Fuipiano avevamo notato una variante che ci ha incuriosito, e che poi abbiamo ritrovato sulla mappa della Kompass. Abbiamo deciso di tornare per tentare questa alternativa.
    L'inizio del percorso è nello stesso punto, in cima a Fuipiano. Percorrendo lo stesso sentiero, quando la strada si apre al pascolo, c'è un bivio. Questa volta seguiamo la direzione indicata come "Tre Faggi" sulla destra. Seguendo quella strada ci si dirige sul versante opposto rispetto al sentiero percorso la volta precedente. Ad un certo punto la strada è

    In cammino, con Mr. Bentley e Maddie
    sbarrata per contenere le vacche al pascolo, e bisogna seguire il sentiero segnato sulla sinistra, che si perde in mezzo al bosco. È però sufficientemente chiaro che bisogna raggiungere, poco più in alto, un altro sentiero. L'unico problema è che il sottobosco di foglie morte è piuttosto scivoloso, il che rende la salita faticosa. Ma, raggiunto quel sentiero, arrivare ai Tre Faggi è un gioco da ragazzi.
    La destinazione è piuttosto ovvia per la presenza dei tre enormi alberi, proprio l'uno acanto all'altro. C'è anche una costruzione: un balcone affacciato sul precipizio e un pilone votivo.
    Da questo punto si dipartono vari sentieri. Noi seguiamo il 571 verso ovest, che percorre la cresta culmine dell'altura. Qui il percorso si alterna tra boschi e rocce, fino ad aprirsi in un ampio prato. Qui c'è una statua dedicata alla Madonna dei Canti. Seguendo la mappa della Kompass sul GPS sembrerebbe che si deve proseguire dritto, nonostante il sentiero 571 sia ben segnalato da un cartello proprio in mezzo al prato. Proseguendo dritti, però, si perdono le tracce del sentiero. Decidiamo quindi di fidarci di più della segnalazione che della mappa. Scendendo ci si inoltra di nuovo tra i boschi e, dopo aver percorso alcuni ripidi tornanti, si giunge alla fine nel punto più basso della salita carrozzabile percorsa l'altra volta. Da qui seguiamo lo stesso sentiero percorso l'altra volta, fermandoci per un picnic sugli appositi tavoli vicino al laghetto: pollo teryaki-ginger, pancit (pasta filippina), brownies, ciliege fresche. C'è anche qualche snack per Maddie e Mister Bentley, questa volta.
    Dall'area picnic all'auto c'è ancora un tratto di strada, in discesa.
    Percorso ad anello:
  • Tempo: 4:04
  • Distanza: 8.76km
  • Dislivello: 487m
  • Altitudine: tra 1151m e 1568m

  • Traccia GPS dellE DUE escursioni.
    In rosso quella del 2 giugno, in giallo quella del 6 giugno: A: Parcheggio auto; B: Inizio sentiero; C: Bivio Zuc di Valbona/Tre Faggi; D-E: Ripida salita; F: Zuc di Valbona; G: Sosta all'arrivo della prima escursione; H: Tre Faggi; I: Madonna dei Canti; J: Area pic-nic.

    martedì 8 giugno 2010

    La bottiglia D

    È da qualche tempo che ho in mente questa storia.
    L'occasione di scriverla mi è capitata incontrando di nuovo, dopo moltissimo tempo, una carissima amica di vecchia data, e ricominciando con lei la corrispondenza interrotta anni fa - questa volta con strumenti elettronici. In una mail le ho abbozzato il racconto, e, autocompiacendomi del risultato, mi è venuta voglia di rielaborarlo e pubblicarlo per cercare di capire se sono in grado di scrivere. Di scrivere davvero, intendo.
    Spero di non peccare di superbia cimentandomi in un mestiere che non è il mio (anche se mi piacerebbe che lo fosse). Se quello che segue ha un qualche valore, vorrei dedicarlo proprio a quella mia amica.

    I due vigneron

    Gli appoggia teneramente le dita sul dorso della mano. È una mano nodosa e segnata dal sole e dal lavoro, quella di Jean, abbandonata sopra il tavolo di legno. Virginie alza lo sguardo sul suo viso, cercando il luccichio dei suoi occhi, concentrati nel nero di quella notte racchiusa nella cornice della finestra. Lui volta lo sguardo su di lei in un sorriso affettuoso e denso di emozioni. "Raggiungimi a letto" gli sussurra lei, alzandosi e congedandosi rispettosa di quel momento intriso di emozione. "Arrivo tra un attimo" promette lui, guardandola allontanarsi. Lei gli sorride ancora, rinnovando silenziosamente l'invito, mentre richiude piano la porta. Jean torna a scrutare il buio, assorto nei propri pensieri.

    La mente rincorre il tempo ripercorrendo la sua lunga vita.

    Lui e Marcel, l'amico di sempre, inseparabile come un gemello siamese, sono cresciuti insieme, hanno sfidato il duro lavoro e l'arte della vinificazione. Alla fine hanno ottenuto la soddisfazione di chi sa di aver creato qualcosa di importante. Hanno imparato a riconoscere le annate migliori, e con amore hanno curato ogni singolo tralcio di vite e ogni fase della produzione. È una azienda molto piccola, senza ambizione di crescita, perché non hanno mai badato al successo e al denaro.

    Jean rivive matrimonio con il suo unico amore, Virginie, in doppia cerimonia insieme a quello di Marcel. Fu una tappa naturale di quel percorso di vita. Jean era emozionato al punto che, dopo vari tentativi, Virginie dovette intervenire per annodargli la cravatta. Marcel, dal canto suo, non riusciva nemmeno ad abbottonarsi la camicia. Quanto erano raggianti le spose, mentre chiacchieravano tra loro per stemperare la tensione! Di tanto in tanto Virginie si voltava verso Jean per cercare conforto in uno sguardo rubato. E Diane, bellissima come un bocciolo, i capelli biondi carezzati dalla brezza, scaricava la tensione sull'anello di fidanzamento. Scuote la testa, ora, Jean, pensando all'immenso vuoto che la prematura morte di Diane ha lasciato nel cuore dell'amico, e dentro l'anima di tutti loro. La ricorda nelle risate e nei volteggi delle danze durante la festa nuziale nel grande portico della masseria. Gli amici ubriachi erano meglio di un film, a regalare loro sincerità, fino a tarda ora.

    E poi arrivò la prima notte di nozze. Fu il concepimento di Amelie. Marcel e Diane non avevano avuto figli, ma con Jean e Virginie sono sempre stati un'unica famiglia, e Amelie era quindi anche un po' loro. Jean la ricorda da bambina giocare in vigna, e da ragazza, con i primi fidanzati impacciati. Ancora gli risuona in testa la sua risata coinvolgente quando lanciava in aria il tocco, in un gesto liberatorio, assieme ai compagni di studi, appena dopo il conferimento della laurea. Virginie e Diane avevano pianto al matrimonio di lei, mentre Jean e Marcel erano riusciti a stento a trattenere le stesse lacrime quando con fierezza l'accompagnarono insieme all'altare. Ora lei vive giù in città, e fa il medico all'ospedale.

    Ancora adesso d'estate Amelie viene in visita con i marmocchi, a riempire la vigna di vita e di risa. Ed è sempre difficile per tutti quando poi, alla fine della vacanza, se ne tornano a casa, lasciando la vigna così, solenne, silenziosa ed eterna come l'hanno trovata. Jean adora quella pace.


    Finalmente si alza, chiude la finestra e raggiunge Virginie a letto. L'abbraccia da dietro, lei stringe il suo braccio sul proprio ventre. Prima di addormentarsi rivolgono un ultimo pensiero a Marcel che si sente russare nell'altra stanza.


    L'abitudine sveglia Jean all'alba. Quando apre la finestra della camera vede Marcel intento a nutrire le galline. L'amico si interrompe un istante sentendosi osservato. Si sorridono.

    Si incontrano intorno al tavolo della veranda. Jean porta una pagnotta, una fetta di buche-chevre e una caraffa di caffè. Consumano la colazione in silenzio, osservando il fresco risveglio dell'infinita campagna. Virginie li guarda con tenerezza dalla finestra.

    Con una pacca sulla spalla Marcel interrompe la pausa. È ora di andare ai campi, per una giornata di duro lavoro nel saggio silenzio della antica vigna.


    Al sole di mezzogiorno Virginie li vede arrivare nella verandina accanto al casotto degli attrezzi, il tavolino già apparecchiato con della pasta calda e della frutta fresca. Jean e Marcel si lavano e si siedono, affamati. Jean bacia teneramente la moglie su una guancia. Mentre i due uomini consumano il loro pranzo Virginie racconta loro la sua mattinata, tra le faccende di casa e il rigoverno degli animali da cortile. "Ha telefonato Amelie" dice "stanno tutti bene e ci abbracciano". I tre si guardano, pensando a quanto lontana sia quella realtà ma nello stesso tempo a quanto sia forte il filo che li tiene legati, quasi che l'affetto crei una realtà parallela e distorta, dove le distanze siano ridefinite. "Che stava facendo, di bello?" chiede Marcel "Era in ospedale: giro visite..."

    La prima a muoversi è proprio Virginie, mentre Jean dà un paio di tiri alla pipa e Marcel sgranocchia una mela. Marcel getta il torsolo nella fossa di compostaggio e riempie la sua borraccia e quella dell'amico. Salutano Virginie che ritorna a casa, mentre loro, alzati i cappelli di paglia in testa, si dedicano ai lavori pomeridiani. Jean va nell'aia con un forcone tridente, Marcel si dirige al frutteto con un enorme cesto di vimini. Jean passa la giornata a rivoltare la paglia stesa a seccare, pensando ad Amelie: sembrava ieri quando da bambina come una farfalla svolazzava nei campi con la sua gonnellina colorata. Ma dov'era finito tutto quel tempo?


    Il sole allunga le ombre e Jean torna alla cascina. Invece di salire in casa come suo solito, scende in cantina. Non è sorpreso a trovare lì Marcel, seduto sopra ad una delle due botticelle adibite a seggiole, accanto ad una terza più grossa. Marcel lo sta aspettando in un appuntamento silenzioso. Sulla botte grossa due calici ballon, una bottiglia e un tire-bouchon.

    Non c'è nessuna ricorrenza, nessuna celebrazione ne' anniversario da festeggiare. Semplicemente è l'ora giusta, e loro lo sanno. Il momento che hanno atteso per venticinque anni, gli anni in cui il prezioso nettare riposa in una bottiglia impolverata, simile a tutte le altre e incasellata come tutte le altre nel portabottiglie. Giorno dopo giorno, per venticinque anni, si sono preoccupati di applicare un quarto di giro alla bottiglia. L'hanno accudita e conservata gelosamente nel loro cuore, oltre che nel cuore della loro cantina. Ed ora è giunto il momento giusto. Marcel ha l'onore di stappare. Si alza in piedi e afferra il cavatappi. Con gesti sicuri ma precisi taglia la capsula mettendo in evidenza il tappo. Esamina il tappo e sorride all'amico. Delicatamente infila la spirale del cavatappi e gira con forza misurata. Aggancia la prima tacca della leva al bordo del becco della bottiglia e solleva. Misura la forza per testare l'efficacia del tappo. Aggancia la seconda tacca e stappa definitivamente la bottiglia. Guarda ansioso l'amico. Si porta al naso il cavatappi con il tappo infilato, annusa chiudendo gli occhi e rimane immobile ad apprezzarne gli aromi. Quando riapre gli occhi vede lo sguardo interrogativo, ma paziente dell'amico e gli porge silenziosamente il cavatappi. Anche l'amico apprezza il tappo. I due si guardano a lungo senza fiatare. Finalmente Marcel prende delicatamente la bottiglia e ne versa mezzo dito nel bicchiere dell'amico, poi ne versa una quantità analoga nel proprio, avendo l'accortezza di far roteare la bottiglia lungo il suo asse per rompere la goccia. Tenendo la base del calice con due dita, lo fanno roteare in modo da ossigenare il prezioso liquido. Poi sollevano contemporaneamente i calici e apprezzano il colore attraversato dalla luce della candela. È rosso scuro, quasi bruno, ma ancora limpido e trasparente. Le lacrime sulle pareti del calice sono perfette, ne' troppo fitte, ne' troppo rade. Il profumo del vino comincia a diffondersi nella stanza, distinguendosi dall'odore di umidità della cantina e sovrapponendosi ad esso. I due amici si portano il bicchiere al naso e, di nuovo, chiudendo gli occhi, aspirano gli aromi che il vino sprigiona, dopo averli conservati nell'intimità della bottiglia per tutti questi anni. Gli angoli della bocca si alzano in un sorriso appena percettibile. Sanno che stanno provando la stessa sensazione, e non parlano, per non contaminare la solenne concretezza di quell'istante con la vacuità della sua descrizione.

    Finalmente poggiano il bicchiere di nuovo al tavolo. Si guardano, poi contemporaneamente lo sollevano, tenendolo delicatamente per lo stelo e se lo portano alla bocca. Poggiano le labbra e accolgono giusto un piccolissimo sorso. Lo tengono in bocca e lo fanno scivolare in modo da bagnare tutta la cavità orale e apprezzare ogni sfumatura. Gli occhi, prima chiusi in questo gesto, contemporaneamente si aprono e ora sono sbarrati negli occhi dell'altro con una passione quasi carnale per la perfetta amalgama di aromi che stanno assaporando. Nessun atteggiamento falsamente plateale da snob sommelier, solo i gesti sicuri e precisi di veri esperti intenditori consumati ma accresciuti dalla propria esperienza di vita. Si sorridono con gli occhi, mentre ingoiano il vino. Un vero sommelier l'avrebbe sputato, ma loro sanno che non è questa misera fine che deve fare un Grandissimo Vecchio: è una questione di rispetto. E poi il loro scopo non è di catalogare, ma dare degno compimento al loro lavoro, alla loro arte, a ciò a cui hanno creduto e fermamente hanno continuato a credere per un quarto di secolo. Quella non sarà una recensione su una rivista patinata, ma un segreto da coltivare nei loro antichi cuori. E anzi, il fatto che siano i soli ad apprezzare fanno di quell'esperienza un evento ancora più prezioso.


    Appoggiano i bicchieri alla botte e, a vederli, dimostrerebbero loro stessi venticinque anni di meno, quasi avessero appena collocato la bottiglia nella rastrelliera da invecchiamento. Guardano la bottiglia, guardano i bicchieri che contengono ancora un po' di vino. Si sorridono. Si alzano. Si danno una pacca sulla spalla, complimentandosi a vicenda, in silenzio. Jean si bagna due dita della destra con la saliva e le richiude sulla fiamma della candela, spegnendola. Poi prende il tridente che aveva appoggiato al muro. Marcel raccoglie il cesto pieno di pere appoggiato al pavimento. Il primo apre per far passare l'amico. Poi passa lui e si chiude la porta alle spalle.

    Solo il Grande Vecchio, appoggiato alla botte, sparisce nell'oscurità vicino ai bicchieri semivuoti, al cavatappi e alla candela spenta, nel silenzio infinito della cantina.


    Depositati gli attrezzi, portate le pere in dispensa, una doccia e Virginie li aspetta già a tavola con un piatto di minestra.

    Ed è già tramonto.


    Dopo cena Virginie si gode il meritato riposo al fresco sulla sedia a dondolo in veranda, perdendosi in ricordi e calzini da rammendare, i vigneron tornano alla cantina.

    Ché l'esperienza ormai è consumata, ma sprecare un Grande Vecchio così significherebbe non rendergli onore.

    Si sorridono e siedono di nuovo alle loro posizioni di prima. Stavolta è Jean che versa. Di nuovo si gustano il Grande Vecchio, che nel frattempo si è ossigenato ed il sapore ha avuto modo di svilupparsi. Gesti sicuri nuotano nella loro soddisfazione rossa.

    Quando finiscono di godere del secondo assaggio, si guardano complici. "E adesso?" chiede Jean, violando un silenzio pieno di venticinque anni di significato. "E adesso non rimane che la bottiglia D", risponde l'altro, sorridendo consapevole dell'inutilità di una risposta a coronare un'altrettanto inutile domanda retorica.

    Il loro sguardo lentamente scorre le bottiglie schierate alla tenue luce della candela, e si focalizza su una in particolare, all'apparenza identica alle altre, al cui collo è aggrappata una cordicella a legare un'etichetta ingiallita dal tempo, che riporta semplicemente la lettera D. D come "definitivo". Il capolavoro definitivo della loro vita, racchiusa in quella bottiglia. Il massimo cui si può sperare di tendere. La perfezione assoluta. Il loro sguardo si sposta di nuovo sugli occhi dell'altro e si sorridono. "La bottiglia D" sussurra Jean, come parlando tra sè e sè, e nel frattempo solleva di nuovo il Grande Vecchio e versa un'altro bicchiere all'amico e a sè. Lentamente si gustano questo terzo bicchiere. Alla fine tappano infilando il sughero a forza, sciacquano i bicchieri, spengono la candela e se ne tornano di sopra. A dormire presto che domani il lavoro ci chiama. Si augurano la buonanotte. Jean raggiunge Virginie a letto, che gli sussurra interrogativa "il Grande Vecchio...?" "...magnifico" risponde lui, abbracciandola. Lei sorride e chiude gli occhi, orgogliosa della propria vita.


    L'indomani, dopo il lavoro Jean e Marcel si ritrovano, come in un implicito appuntamento, nella cantina. Si versano un altro dito del Grande Vecchio e si siedono a meditare. Il vino se lo gustano, sì, ma nei loro pensieri c'è la bottiglia D. Sono consapevoli della potenza del Grande Vecchio, ma sanno che è niente confronto a quello che sarà bottiglia D. La tensione a quel che verrà dopo motiva l'esperienza del Grande Vecchio. Il Natale che giustifica l'eccitazione della vigilia. "La bottiglia D" sussurra Marcel, perso un questi pensieri. L'altro, perso anche lui negli stessi pensieri annuisce appena con il capo.


    Passa qualche giorno e il Grande Vecchio finisce, e con lui la quotidianità dei taciti appuntamenti.


    Dopo molte lune, senza averlo deciso prima, Jean e Marcel si ritrovano contemporaneamente in cantina, sapendo che è gunto finalmente il momento. La loro vita li ha condotti a quel punto d'attrazione spazio-temporale. E prima di loro la vita dei loro avi, dell'umanità intera, li ha portati al compimento della perfezione Definitiva, che si realizza quando il vino è pronto e quando loro sono pronti per stapparlo. La bottiglia D.

    Si siedono con una solennità ancora maggiore, stappano la bottiglia D con l'accortezza di un chirurgo che opera a cuore aperto. Impiegano ore ad annusare il tappo. Non bevono nemmeno, ma versano il vino nel decanter. È necessario ossigenarlo per almeno 24 ore, per poterlo apprezzare. Fanno roteare il decanter per cinque volte, e poi l'appoggiano alla botte. Coprono la bocca del decanter con un panno di lino bianco lavato con acqua ma senza sapone. L'emozione bagna i loro occhi, mentre si guardano, leggendo la propria vita nel volto dell'altro. Alla fine se ne vanno eccitati. Virginie legge lo sguardo del marito "...è arrivato il momento, vero?". Non ha bisogno di risposta, ma poggia una mano su quella di lui consegnandogli la propria presenza al suo fianco, nel momento chiave di una intera vita.


    Il giorno dopo, ad esattamente 24 ore di tempo, si ritrovano, con due bicchieri diversi da quelli che avevano usato per il Grande Vecchio, Due ballon anche questi, con l'imboccatura un po' più piccola e la pancia un po' più grossa. Jean versa D delicatamente, tenendo il decanter per il collo con una mano, e reggendone la pancia con l'indice dell'altra. Ha un colore bruno limpido. Lacrime un po' più fitte scendono sulle pareti dei ballon, segno che la gradazione alcolica è maggiore di quella del Grande Vecchio.

    Annusano.

    Assaggiano.

    Le papille gustative sono in tensione. Le lingue dirigono il nettare in certi anfratti della bocca che una persona normale non sa nemmeno di possedere. Ha un sapore magnifico. Sa di terra, di fiori, di legno, di letame, di un'infanzia vissuta in campagna, di un amico cresciuto come un fratello. Di una sposa che sembra di conoscere da sempre, di una festa in vigna con gli amici ubriachi, a ballare fino a notte. Sa di una figlia, di pannolini da cambiare, di sonagli e giocattoli, di mattine ad accompagnarla alla fermata dello scuolabus. Sa di una festa di laurea, di un matrimonio e di marmocchi a scorrazzare per la vigna. Sa di lavoro duro nei campi, e di mille Grandi Vecchi. Sa di futuro, un futuro da ricominciare da capo, con lo stesso entusiasmo. Sa di vita, una vita che solo adesso Jean e Marcel sono pronti a vivere, una vita che si è sviluppata in questa bottiglia piano piano, con il trascorrere degli anni e con cura instancabile.

    La bottiglia D, Definitiva, lo scopo della loro vita. Hanno la consapevolezza che il mondo non è che la tensione a qualcosa di più grande. Ci sarà forse un'altra bottiglia D, ma i nostri non se ne curano, perché ora sanno che lo scopo non è un obiettivo, ma il cammino per raggiungerlo.

    giovedì 3 giugno 2010

    Parre Sopra - S. Antonio

    Accidenti!
    E' proprio da molto tempo che non posto niente. Non ne ho il tempo, e forse manca un po' anche l'ispirazione.
    Va be', 'sta volta vi descrivo l'ultima escursione, anche se non ho ancora postato la penultima (che lascio per un futuro post).
    Non e' che le nostre escursioni siano cosi' frequenti, ma evidentemente lo sono di piu' dei miei post.
    Edit: Ieri abbiamo fatto un'altra escursione che sara' rimandata ad un ulteriore post!

    Domenica 23 maggio siamo andati a Parre, citta' degli scarpinocc. Cosa sono gli scarpinocc? Continuare a leggere per la risposta.


    Cappella di S. Antonio
    Le indicazioni sul percorso che abbiamo trovato su Internet (sul sito del Rifugio Vaccaro) dicevano di partire dalla chiesa. Meno male che ci siamo fermati a chiedere informazioni in un bar, proprio di fronte alla chiesa principale di Parre, perche' ci hanno spiegato che il sentiero comincia vicino all'altra chiesa, quella di Parre Sopra. Abbiamo lasciato l'auto in un comodo parcheggio proprio la'.
    Il cammino inizia sotto un arco affrescato, proprio vicino alla chiesa. Subito dopo c'e' un bivio. Stavamo imboccando la direzione sbagliata quando una signora gentilissima e simpaticissima, impegnata a stendere il bucato in giardino, ci ha fermati e ci ha dato le indicazioni corrette: dopo l'arco si svolta a sinistra e dopo qualche metro si abbandona la strada asfaltata e si imbocca il sentiero acciottolato sulla destra. Qui si continua a salire fino a che si incontra una cappelletta in onore dei defunti e dispersi di tutte le guerre. Tenendosi la cappelletta sulla sinistra il sentiero sfocia su una carrozzabile privata ("non collaudata" dice il segnale di pericolo) in cemento e asfalto. Si prende la direzione a sinistra, e qui comincia una breve discesa che giunge ad un ponticello spora il torrente. Si risale sul crinale opposto in una ascesa abbastanza costante che ci accompagnera' fino all'arrivo. Il percorso e' ben segnalato con il segnavia CAI 241 e con le indicazioni per il rifugio Vaccaro.
    Ad un certo punto la carrozzabile finisce in un tratto vietato. In quel punto bisogna imboccare l'evidente sentiero a sinistra che si inoltra nei boschi, con degli splendidi scorci sulla Val Seriana. Subito dopo una costruzione di ricovero per le vacche, dove abbiamo incontrato un cane dall'aspetto poco cordiale, il sentiero si riconnette con una strada asfaltata. Qui si svolta a sinistra e ben presto si arriva alla chiesetta di Sant'Antonio.

    Scarpinocc
    Dopo una breve sosta, siamo tornati sui nostri passi, ripercorrendo l'intero sentiero a ritroso, ma volendo si puo' proseguire, per altri cinquecento metri di dislivello, fino al rifugio Vaccaro, e scendere sul sentiero 240 fino a richiudere l'anello a Parre Sopra.
    Questo sarebbe il giro (a ritroso) proposto per l'"Escursione gastronomica" denominata "Gir di Fontane de Par" (il giro delle fonane di Parre, infatti il percorso tocca ben 20 fontane sorgive) organizzata dal Gruppo Escursionistico Parre, in programma per il prossimo 3 luglio (stiamo meditando se parteciparvi). Si tratta di una escursione collettiva a 7 tappe, al termine di ognuna delle quali vengono distribuiti cibi tipici e bevande. In effetti e' abbastanza impegnativa (920 metri di dislivello in 17 km), ma e' distribuita in tutto l'arco della giornata (tempo previsto: 10 ore).

    La giornata era splendida. Forse Maddie e Mr. Bentley hanno sofferto un po' il caldo. Il percorso era abbastanza breve, ma la pendenza piuttosto ripida: circa 12.5% di media. Considerando che il primo tratto e' in discesa, la parte in salita era abbastanza faticosa. La vista da Sant'Antonio, sulla valle, con tutte le cascate sul crinale di fronte, era mozzafiato.

    Al ritorno ci siamo fermati all'albergo-ristorante Belvedere per assaggiare questi famosi "scarpinocc", un tipo di pasta ripiena, la cui forma ricorda vagamente una scarpa (da qui il nome). Il ripieno e' a base di formaggio, con profumo di cannella.

    Andata:
  • Tempo: 1:28
  • Distanza: 3.97km
  • Dislivello: 412m (496m in salita, 84m in discesa)
  • Altitudine: tra 622m e 1050m

  • Ritorno (lungo lo stesso percorso):
  • Tempo: 1:09
  • Traccia GPS dell'escursione.
    A: Parcheggio; B: Chiesa di Parre Sopra; C: Arco affrescato con l'effigie di San Cristoforo; D: Ponticello; E: bivio; F: Cappella di S. Antonio