I due vigneron
Gli appoggia teneramente le dita sul dorso della mano. È una mano nodosa
e segnata dal sole e dal lavoro, quella di Jean, abbandonata sopra il tavolo di
legno. Virginie alza lo sguardo sul suo viso, cercando il luccichio dei suoi
occhi, concentrati nel nero di quella notte racchiusa nella cornice della
finestra. Lui volta lo sguardo su di lei in un sorriso affettuoso e denso di
emozioni. "Raggiungimi a letto" gli sussurra lei, alzandosi e congedandosi
rispettosa di quel momento intriso di emozione. "Arrivo tra un attimo" promette
lui, guardandola allontanarsi. Lei gli sorride ancora, rinnovando
silenziosamente l'invito, mentre richiude piano la porta. Jean torna a scrutare
il buio, assorto nei propri pensieri.
La mente rincorre il tempo ripercorrendo la sua lunga vita.
Lui e Marcel, l'amico di sempre, inseparabile come un gemello siamese, sono
cresciuti insieme, hanno sfidato il duro lavoro e l'arte della vinificazione.
Alla fine hanno ottenuto la soddisfazione di chi sa di aver creato qualcosa di
importante. Hanno imparato a riconoscere le annate migliori, e con amore hanno
curato ogni singolo tralcio di vite e ogni fase della produzione. È una
azienda molto piccola, senza ambizione di crescita, perché non hanno mai
badato al successo e al denaro.
Jean rivive matrimonio con il suo unico amore, Virginie, in doppia cerimonia
insieme a quello di Marcel. Fu una tappa naturale di quel percorso di vita.
Jean era emozionato al punto che, dopo vari tentativi, Virginie dovette
intervenire per annodargli la cravatta. Marcel, dal canto suo, non riusciva
nemmeno ad abbottonarsi la camicia. Quanto erano raggianti le spose, mentre
chiacchieravano tra loro per stemperare la tensione! Di tanto in tanto Virginie
si voltava verso Jean per cercare conforto in uno sguardo rubato. E Diane,
bellissima come un bocciolo, i capelli biondi carezzati dalla brezza, scaricava
la tensione sull'anello di fidanzamento. Scuote la testa, ora, Jean, pensando
all'immenso vuoto che la prematura morte di Diane ha lasciato nel cuore
dell'amico, e dentro l'anima di tutti loro. La ricorda nelle risate e nei
volteggi delle danze durante la festa nuziale nel grande portico della
masseria. Gli amici ubriachi erano meglio di un film, a regalare loro
sincerità, fino a tarda ora.
E poi arrivò la prima notte di nozze. Fu il concepimento di Amelie.
Marcel e Diane non avevano avuto figli, ma con Jean e Virginie sono sempre
stati un'unica famiglia, e Amelie era quindi anche un po' loro. Jean la ricorda
da bambina giocare in vigna, e da ragazza, con i primi fidanzati impacciati.
Ancora gli risuona in testa la sua risata coinvolgente quando lanciava in aria
il tocco, in un gesto liberatorio, assieme ai compagni di studi, appena dopo il
conferimento della laurea. Virginie e Diane avevano pianto al matrimonio di
lei, mentre Jean e Marcel erano riusciti a stento a trattenere le stesse
lacrime quando con fierezza l'accompagnarono insieme all'altare. Ora lei vive
giù in città, e fa il medico all'ospedale.
Ancora adesso d'estate Amelie viene in visita con i marmocchi, a riempire la
vigna di vita e di risa. Ed è sempre difficile per tutti quando poi,
alla fine della vacanza, se ne tornano a casa, lasciando la vigna così,
solenne, silenziosa ed eterna come l'hanno trovata. Jean adora quella pace.
Finalmente si alza, chiude la finestra e raggiunge Virginie a letto. L'abbraccia
da dietro, lei stringe il suo braccio sul proprio ventre. Prima di
addormentarsi rivolgono un ultimo pensiero a Marcel che si sente russare
nell'altra stanza.
L'abitudine sveglia Jean all'alba. Quando apre la finestra della camera vede
Marcel intento a nutrire le galline. L'amico si interrompe un istante
sentendosi osservato. Si sorridono.
Si incontrano intorno al tavolo della veranda. Jean porta una pagnotta, una
fetta di buche-chevre e una caraffa di caffè. Consumano la colazione in
silenzio, osservando il fresco risveglio dell'infinita campagna. Virginie li
guarda con tenerezza dalla finestra.
Con una pacca sulla spalla Marcel interrompe la pausa. È ora di andare ai
campi, per una giornata di duro lavoro nel saggio silenzio della antica vigna.
Al sole di mezzogiorno Virginie li vede arrivare nella verandina accanto al
casotto degli attrezzi, il tavolino già apparecchiato con della pasta
calda e della frutta fresca. Jean e Marcel si lavano e si siedono, affamati.
Jean bacia teneramente la moglie su una guancia. Mentre i due uomini consumano
il loro pranzo Virginie racconta loro la sua mattinata, tra le faccende di casa
e il rigoverno degli animali da cortile. "Ha telefonato Amelie" dice "stanno
tutti bene e ci abbracciano". I tre si guardano, pensando a quanto lontana sia
quella realtà ma nello stesso tempo a quanto sia forte il filo che li
tiene legati, quasi che l'affetto crei una realtà parallela e distorta,
dove le distanze siano ridefinite. "Che stava facendo, di bello?" chiede Marcel
"Era in ospedale: giro visite..."
La prima a muoversi è proprio Virginie, mentre Jean dà un paio di
tiri alla pipa e Marcel sgranocchia una mela. Marcel getta il torsolo nella
fossa di compostaggio e riempie la sua borraccia e quella dell'amico. Salutano
Virginie che ritorna a casa, mentre loro, alzati i cappelli di paglia in testa,
si dedicano ai lavori pomeridiani. Jean va nell'aia con un forcone tridente,
Marcel si dirige al frutteto con un enorme cesto di vimini. Jean passa la
giornata a rivoltare la paglia stesa a seccare, pensando ad Amelie: sembrava
ieri quando da bambina come una farfalla svolazzava nei campi con la sua
gonnellina colorata. Ma dov'era finito tutto quel tempo?
Il sole allunga le ombre e Jean torna alla cascina. Invece di salire in casa
come suo solito, scende in cantina. Non è sorpreso a trovare lì
Marcel, seduto sopra ad una delle due botticelle adibite a seggiole, accanto ad
una terza più grossa. Marcel lo sta aspettando in un appuntamento
silenzioso. Sulla botte grossa due calici ballon, una bottiglia e un
tire-bouchon.
Non c'è nessuna ricorrenza, nessuna celebrazione ne' anniversario da
festeggiare. Semplicemente è l'ora giusta, e loro lo sanno. Il momento
che hanno atteso per venticinque anni, gli anni in cui il prezioso nettare
riposa in una bottiglia impolverata, simile a tutte le altre e incasellata come
tutte le altre nel portabottiglie. Giorno dopo giorno, per venticinque anni, si
sono preoccupati di applicare un quarto di giro alla bottiglia. L'hanno
accudita e conservata gelosamente nel loro cuore, oltre che nel cuore della
loro cantina. Ed ora è giunto il momento giusto. Marcel ha l'onore di
stappare. Si alza in piedi e afferra il cavatappi. Con gesti sicuri ma precisi
taglia la capsula mettendo in evidenza il tappo. Esamina il tappo e sorride
all'amico. Delicatamente infila la spirale del cavatappi e gira con forza
misurata. Aggancia la prima tacca della leva al bordo del becco della bottiglia
e solleva. Misura la forza per testare l'efficacia del tappo. Aggancia la
seconda tacca e stappa definitivamente la bottiglia. Guarda ansioso l'amico. Si
porta al naso il cavatappi con il tappo infilato, annusa chiudendo gli occhi e
rimane immobile ad apprezzarne gli aromi. Quando riapre gli occhi vede lo
sguardo interrogativo, ma paziente dell'amico e gli porge silenziosamente il
cavatappi. Anche l'amico apprezza il tappo. I due si guardano a lungo senza
fiatare. Finalmente Marcel prende delicatamente la bottiglia e ne versa mezzo
dito nel bicchiere dell'amico, poi ne versa una quantità analoga nel
proprio, avendo l'accortezza di far roteare la bottiglia lungo il suo asse per
rompere la goccia. Tenendo la base del calice con due dita, lo fanno roteare in
modo da ossigenare il prezioso liquido. Poi sollevano contemporaneamente i
calici e apprezzano il colore attraversato dalla luce della candela. È
rosso scuro, quasi bruno, ma ancora limpido e trasparente. Le lacrime sulle
pareti del calice sono perfette, ne' troppo fitte, ne' troppo rade. Il profumo
del vino comincia a diffondersi nella stanza, distinguendosi dall'odore di
umidità della cantina e sovrapponendosi ad esso. I due amici si portano
il bicchiere al naso e, di nuovo, chiudendo gli occhi, aspirano gli aromi che
il vino sprigiona, dopo averli conservati nell'intimità della bottiglia
per tutti questi anni. Gli angoli della bocca si alzano in un sorriso appena
percettibile. Sanno che stanno provando la stessa sensazione, e non parlano,
per non contaminare la solenne concretezza di quell'istante con la
vacuità della sua descrizione.
Finalmente poggiano il bicchiere di nuovo al tavolo. Si guardano, poi
contemporaneamente lo sollevano, tenendolo delicatamente per lo stelo e se lo
portano alla bocca. Poggiano le labbra e accolgono giusto un piccolissimo
sorso. Lo tengono in bocca e lo fanno scivolare in modo da bagnare tutta la
cavità orale e apprezzare ogni sfumatura. Gli occhi, prima chiusi in
questo gesto, contemporaneamente si aprono e ora sono sbarrati negli occhi
dell'altro con una passione quasi carnale per la perfetta amalgama di aromi che
stanno assaporando. Nessun atteggiamento falsamente plateale da snob sommelier,
solo i gesti sicuri e precisi di veri esperti intenditori consumati ma
accresciuti dalla propria esperienza di vita. Si sorridono con gli occhi,
mentre ingoiano il vino. Un vero sommelier l'avrebbe sputato, ma loro sanno che
non è questa misera fine che deve fare un Grandissimo Vecchio: è
una questione di rispetto. E poi il loro scopo non è di catalogare, ma
dare degno compimento al loro lavoro, alla loro arte, a ciò a cui hanno
creduto e fermamente hanno continuato a credere per un quarto di secolo. Quella
non sarà una recensione su una rivista patinata, ma un segreto da
coltivare nei loro antichi cuori. E anzi, il fatto che siano i soli ad
apprezzare fanno di quell'esperienza un evento ancora più prezioso.
Appoggiano i bicchieri alla botte e, a vederli, dimostrerebbero loro stessi
venticinque anni di meno, quasi avessero appena collocato la bottiglia nella
rastrelliera da invecchiamento. Guardano la bottiglia, guardano i bicchieri che
contengono ancora un po' di vino. Si sorridono. Si alzano. Si danno una pacca
sulla spalla, complimentandosi a vicenda, in silenzio. Jean si bagna due dita
della destra con la saliva e le richiude sulla fiamma della candela,
spegnendola. Poi prende il tridente che aveva appoggiato al muro. Marcel
raccoglie il cesto pieno di pere appoggiato al pavimento. Il primo apre per far
passare l'amico. Poi passa lui e si chiude la porta alle spalle.
Solo il Grande Vecchio, appoggiato alla botte, sparisce nell'oscurità
vicino ai bicchieri semivuoti, al cavatappi e alla candela spenta, nel silenzio
infinito della cantina.
Depositati gli attrezzi, portate le pere in dispensa, una doccia e Virginie li
aspetta già a tavola con un piatto di minestra.
Ed è già tramonto.
Dopo cena Virginie si gode il meritato riposo al fresco sulla sedia a dondolo in
veranda, perdendosi in ricordi e calzini da rammendare, i vigneron tornano alla
cantina.
Ché l'esperienza ormai è consumata, ma sprecare un Grande Vecchio
così significherebbe non rendergli onore.
Si sorridono e siedono di nuovo alle loro posizioni di prima. Stavolta è
Jean che versa. Di nuovo si gustano il Grande Vecchio, che nel frattempo si
è ossigenato ed il sapore ha avuto modo di svilupparsi. Gesti sicuri
nuotano nella loro soddisfazione rossa.
Quando finiscono di godere del secondo assaggio, si guardano complici. "E
adesso?" chiede Jean, violando un silenzio pieno di venticinque anni di
significato. "E adesso non rimane che la bottiglia D", risponde l'altro,
sorridendo consapevole dell'inutilità di una risposta a coronare
un'altrettanto inutile domanda retorica.
Il loro sguardo lentamente scorre le bottiglie schierate alla tenue luce della
candela, e si focalizza su una in particolare, all'apparenza identica alle
altre, al cui collo è aggrappata una cordicella a legare un'etichetta
ingiallita dal tempo, che riporta semplicemente la lettera D. D come
"definitivo". Il capolavoro definitivo della loro vita, racchiusa in quella
bottiglia. Il massimo cui si può sperare di tendere. La perfezione
assoluta. Il loro sguardo si sposta di nuovo sugli occhi dell'altro e si
sorridono. "La bottiglia D" sussurra Jean, come parlando tra sè e
sè, e nel frattempo solleva di nuovo il Grande Vecchio e versa un'altro
bicchiere all'amico e a sè. Lentamente si gustano questo terzo
bicchiere. Alla fine tappano infilando il sughero a forza, sciacquano i
bicchieri, spengono la candela e se ne tornano di sopra. A dormire presto che
domani il lavoro ci chiama. Si augurano la buonanotte. Jean raggiunge Virginie
a letto, che gli sussurra interrogativa "il Grande Vecchio...?" "...magnifico"
risponde lui, abbracciandola. Lei sorride e chiude gli occhi, orgogliosa della
propria vita.
L'indomani, dopo il lavoro Jean e Marcel si ritrovano, come in un implicito
appuntamento, nella cantina. Si versano un altro dito del Grande Vecchio e si
siedono a meditare. Il vino se lo gustano, sì, ma nei loro pensieri
c'è la bottiglia D. Sono consapevoli della potenza del Grande Vecchio,
ma sanno che è niente confronto a quello che sarà bottiglia D. La
tensione a quel che verrà dopo motiva l'esperienza del Grande Vecchio.
Il Natale che giustifica l'eccitazione della vigilia. "La bottiglia D" sussurra
Marcel, perso un questi pensieri. L'altro, perso anche lui negli stessi
pensieri annuisce appena con il capo.
Passa qualche giorno e il Grande Vecchio finisce, e con lui la
quotidianità dei taciti appuntamenti.
Dopo molte lune, senza averlo deciso prima, Jean e Marcel si ritrovano
contemporaneamente in cantina, sapendo che è gunto finalmente il
momento. La loro vita li ha condotti a quel punto d'attrazione
spazio-temporale. E prima di loro la vita dei loro avi, dell'umanità
intera, li ha portati al compimento della perfezione Definitiva, che si
realizza quando il vino è pronto e quando loro sono pronti per
stapparlo. La bottiglia D.
Si siedono con una solennità ancora maggiore, stappano la bottiglia D con
l'accortezza di un chirurgo che opera a cuore aperto. Impiegano ore ad annusare
il tappo. Non bevono nemmeno, ma versano il vino nel decanter. È
necessario ossigenarlo per almeno 24 ore, per poterlo apprezzare. Fanno roteare
il decanter per cinque volte, e poi l'appoggiano alla botte. Coprono la bocca
del decanter con un panno di lino bianco lavato con acqua ma senza sapone.
L'emozione bagna i loro occhi, mentre si guardano, leggendo la propria vita nel
volto dell'altro. Alla fine se ne vanno eccitati. Virginie legge lo sguardo del
marito "...è arrivato il momento, vero?". Non ha bisogno di risposta, ma
poggia una mano su quella di lui consegnandogli la propria presenza al suo
fianco, nel momento chiave di una intera vita.
Il giorno dopo, ad esattamente 24 ore di tempo, si ritrovano, con due bicchieri
diversi da quelli che avevano usato per il Grande Vecchio, Due ballon anche
questi, con l'imboccatura un po' più piccola e la pancia un po'
più grossa. Jean versa D delicatamente, tenendo il decanter per il collo
con una mano, e reggendone la pancia con l'indice dell'altra. Ha un colore
bruno limpido. Lacrime un po' più fitte scendono sulle pareti dei
ballon, segno che la gradazione alcolica è maggiore di quella del Grande
Vecchio.
Annusano.
Assaggiano.
Le papille gustative sono in tensione. Le lingue dirigono il nettare in certi
anfratti della bocca che una persona normale non sa nemmeno di possedere. Ha un
sapore magnifico. Sa di terra, di fiori, di legno, di letame, di un'infanzia
vissuta in campagna, di un amico cresciuto come un fratello. Di una sposa che
sembra di conoscere da sempre, di una festa in vigna con gli amici ubriachi, a
ballare fino a notte. Sa di una figlia, di pannolini da cambiare, di sonagli e
giocattoli, di mattine ad accompagnarla alla fermata dello scuolabus. Sa di una
festa di laurea, di un matrimonio e di marmocchi a scorrazzare per la vigna. Sa
di lavoro duro nei campi, e di mille Grandi Vecchi. Sa di futuro, un futuro da
ricominciare da capo, con lo stesso entusiasmo. Sa di vita, una vita che solo
adesso Jean e Marcel sono pronti a vivere, una vita che si è sviluppata
in questa bottiglia piano piano, con il trascorrere degli anni e con cura
instancabile.
La bottiglia D, Definitiva, lo scopo della loro vita. Hanno la consapevolezza che
il mondo non è
che la tensione a qualcosa di più grande. Ci sarà forse un'altra
bottiglia D, ma i nostri non se ne curano, perché ora
sanno che lo scopo non è un obiettivo, ma il cammino per
raggiungerlo.