mercoledì 23 maggio 2012

Burocrazia

Mr. Bentley e il suo nuovo passaporto
Tra una decina di giorni ce ne andremo per un po' di ferie in Francia. In auto, facendo il tunnel del Frejus.
Essendo due stati membri la dogana non c'e', quindi nessuno ci fermera' per fare un controllo. Ma la regola e' regola, e noi siamo intenzionati a rispettarla, non si sa mai.
E la regola e' che i cani devono avere il passaporto.
Ci si chiedera', com'e' possibile che nell'Europa Unita e' consentita la libera circolazione delle persone MA NON DEI CANI? Ecco, io a questa domanda non sono riuscito a darmi una risposta.
Una giustificazione potrebbe essere che per fare (o rinnovare) il passaporto, i cani, oltre che essere in regola con la normale profilassi (cosa che e' ovviamente obbligatoria anche senza espatriare), devono anche fare la vaccinazione antirabbica.
La vaccinazione antirabbica non e' obbligatoria in Italia. E neanche in Francia. Cioe', se il signor François ha un cane non ha bisogno di fargli l'antirabbica. Se pero' deve venire in Italia con il cane deve fargli il passaporto. E per farlo lo deve vaccinare. Parimenti, il cane di Dario, finche' rimane in Italia non deve fare la vaccinazione, ma se deve andare in Francia deve fare il passaporto, e per farlo deve fare la vaccinazione.
Il motivo per cui in Italia non e' necessaria la vaccinazione e' che la rabbia in Italia e' considerata estinta, e questo e' il motivo per cui invece i cani che vengono dall'estero devono essere vaccinati, cosi' che un cane straniero, potenzialmente malato, non infetti anche quelli italiani. Lo stesso vale in Francia.
Ma io dico, quanto fa due piu' due? Quattro! Se la malattia e' estinta sia in Italia che in Francia, allora un cane Italiano non puo' infettare quelli francesi ne' viceversa, no?
Il problema sostanziale e' che la vaccinazione non e' totalmente indolore, ma potrebbe avere degli effetti collaterali. Fortunatamente i farmaci di ultima generazione sono piu' tollerati, ma fino a qualche anno fa una sola iniezione, soprattutto in un cucciolo, poteva causare seri problemi irreversibili al cervello.
E poi c'e' anche il costo. Una vaccinazione antirabbica dal mio veterinario, "manodopera" compresa, costa 35 euro. Ho due cani, e quindi diventa 70 euro. Praticamente un giorno in piu' in camera doppia al bed and breakfast. Poi c'e' anche il costo del passaporto in se'. 13 euro per Mr. Bentley - Maddie ce l'aveva gia'. E poi c'e' il tempo perso. L'ufficio veterinario delle ASL della provincia di Lecco si trova, appunto, a Lecco. Dieci chilometri. Nell'ora di punta sono tre quarti d'ora andare e tre quarti tornare. Con l'auto, ovviamente, perche' con i mezzi ci si impiegherebbe di gran lunga di piu'. L'ufficio e' aperto dal lunedi' al venerdi', dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 16. In quelle ore io dovrei essere in ufficio. Quindi mi mangio un'altra mezza giornata di ferie.

Va be', ho colto l'occasione per andare (di nuovo) al CAAF della CGIL per il 730.
In realta' al CAAF ci ero andato il giorno prima, a far controllare il mio precompilato. Da sempre, infatti, quando faccio il 730, lo compilo io. E' una questione di principio. Io le tasse le pago. Le voglio pagare fino all'ultimo centesimo, ma da non credere che cio' non sia doloroso. Quindi non voglio pagare di piu' di quello che mi spetta. Rifiuto di pensare che in uno stato civile debba esserci l'esigenza di pagare un professionista per essere semplicemente onesto e fare il dovuto. Un po' come dire che bisogna pagare l'accisa sui carburanti anche quando non si usa l'auto.
Quest'anno, di diverso dal solito, c'era la detrazione della parte SSN dell'RC auto. C'e' sempre stata, ma io non l'ho mai saputo, e gli impiegati del CAAF non si sono mai preoccupati di dirmelo. Vabbe', non ero proprio sicuro di dove andasse scritta la cifra (anche se mi sono letto le intricate istruzioni - ammetto di essere un po' imbranato in materia). E poi c'era il rimborso come contributo statale per l'installazione di una stufa a legna, un 36% che deve essere spalmato su un periodo di 10 anni. Anche qui, non si capisce perche' io la stufa la devo pagare tutta e subito mentre il contributo statale mi viene rimborsato in 10 anni (la stufa costa circa 1000 euro, quindi il rimborso e' di circa 36 euro all'anno).
Sfido chiunque non sia commercialista a capire dove diavolo va compliato sul 730. Io non sono commercialista, e quindi queste due voci non le ho compilate, sperando che al CAAF fossero cosi' magnanimi da aiutarmi a farlo. Mi sono letto e riletto le istruzioni, ho anche cercato un'illuminazione su Internet, ma non ero affatto sicuro.
Eh no! Non si puo'. Compito del CAAF e' correggere gli errori, non compilare. Se vuoi che te lo compilino loro, il 730, devi pagare l'intera parcella. 140 euro. Cioe', per detrarre una ventina di euro per l'assicurazione auto e 36 per la stufa devo pagare 140 euro?
No. Lo compilo da me e mi prendo un altro appuntamento per riprovarci. Al limite sbaglio e loro me lo correggono. Pensavo di fargli un piacere!
Peccato che prendere appuntamento adesso e' tardi. Sono rimasti solo dei buchi a giugno (quando io saro' in ferie) oppure al mattino. Okay, al mattino. Permessi dal lavoro bruciati.

Quando sono andato la prima volta al CAAF sono pero' riuscito quanto meno a farmi compilare il modulo per l'IMU. Dodici euro. Per scrivere due numeri sul pc e lanciare una stampa. Mi sono sentito sollevato, perche' pensavo che la tassa dovesse essere molto piu' alta. In realta' i 12 euro sono piu' del 30% del totale da pagare per la prima rata. E per il conguaglio dovro' pagare di nuovo.
Piu', ieri ho pagato anche sei euro (non obbligatori, penso quindi che l'anno prossimo non li paghero') per un servizio offerto dal CAAF che consente di mantenere in un db elettronico le scannerizzazioni dei documenti presentati per la dichiarazione dei redditi. Avevo appena letto un articolo secondo cui per controlli casuali lo stato presumeva che ci fossero delle detrazioni ingiustificate nelle dichiarazioni di quattro-cinque-sei anni fa se non si ripresentasser subito i documenti che le comprovassero (praticamente presunzione di colpevolezza). Cioe', prima ti accettano la dichiarazione (mica sulla fiducia: solo dopo averla fatta accuratamente controllare dagli impiegati del CAAF), e poi non si fidano e ti chiedono di dimostrare che quello che hai gia' dimostrato e' vero. Io e' dal 2003 che faccio il 730, ed e' da allora che archivio accuratamente tutti i documenti - non si sa mai -, quindi 'sto servizio non mi serve.
Pero', in che stato di polizia dobbiamo vivere!
Vabbe', avevo gia' in mano il documento dell'IMU, e quindi ho colto l'occasione della mezza giornata di ferie per andare anche in banca a pagarla. Si', perche' le banche aprono quelle tre ore al mattino piu' una al pomeriggio. Mai comunque ad orari sensati.

Insomma, sono riuscito a fare tutto. Ma che fatica!
Ora mi manca una visitina al veterinario per farmi timbrare i passaporti dei cani e poi saro' libero di andarmene in vacanza.
L'avventura continua!

(Grazie a http://rubbahslippahsinitaly.blogspot.it/ per la foto)

venerdì 18 maggio 2012

Scelte di vita

Il mio papa' proviene da una famiglia agricola, ma, con notevoli sacrifici da parte dei suoi, riusci' a diplomarsi in una scuola professionale per disegnatori meccanici.
Dopo il diploma fu lavoratore dipendente presso una azienda meccanica in qualita', appunto, di disegnatore-progettista.
Quando io ero tanto piccolo che i ricordi si sono cancellati (cioe' circa quarantacinque anni fa) decise che la vita da lavoratore dipendente non faceva per lui. Cioe' che, invece che lavorare per altri (dividendo la ricchezza che produceva tra le sue tasche e quelle del datore di lavoro), preferiva lavorare per se' stesso (intascando il ricavato di tutto quello che produceva).
Cio' che fece fu utilizzare le conoscienze accumulate durante gli studi e il lavoro per progettare e costruire una macchina per la torcitura di filato sintetico (per intendersi quello che poi serve per tessere le calze di nylon), e poi utilizzarla per produrlo. Ovviamente per fare cio' ci mise dei soldi (indebitandosi) e delle energie, accettando di sobbarcarsi il rischio di perdere tutto, se l'operazione non avesse funzionato. La nostra fortuna e' che invece ha funzionato, a volte a rilento e con molti sacrifici, a volte meno.
L'azienda operava in un piccolo laboratorio allestito al piano inferiore di casa nostra, e, per dare un'idea della dimensione del business, ci lavoravano solo lui e (part time) la mamma.
Poi arrivo' la crisi degli anni 70. La produzione, nel suo piccolo, funzionava a meraviglia, ma il mercato si ridusse parecchio e per i piccoli artigiani come mio padre cominciarono tempi molto duri. Alla fine "la fabbrichetta" aveva un solo cliente per il filato che produceva (piccole quantita' ma qualita' superiore), il quale decise di affrontare la crisi di liquidita' pagando in natura (cioe' prodotti finiti: calze e altri articoli di biancheria sintetica). Mio padre si prese una licenza di vendita ambulante e comincio' a girare casa per casa a cercare di piazzare quegli articoli. Nel frattempo, poi, dovemmo trasferirci, perche' il rumore prodotto dalla macchina superava i limiti consentiti. Costruimmo una villetta con capannone annesso in zona industriale. Dalle ceneri della crisi, che abbiamo subito duramente, e' sorta una attivita' rinnovata che si e' via via ingrandita, assicurandoci un tenore di vita via via migliore, ed ovviamente finendo di pagare i debiti contratti per l'azienda e per la villa. Mio fratello ed io ci diplomammo, e poi laureammo e poi ognuno prese la propria strada. I miei, chiusa l'attivita', ora vivono di pensione e di un certo reddito proveniente dagli affitti del capannone e di un paio di appartamenti acquistati per investire il sovrabbondante.

Non si trattava di una famiglia ricca, ma nemmeno povera. Piuttosto appartenente a quella categoria di "piccoli imprenditori", che oggi sembra essere cosi' colpita dai suicidi.

Mio padre, nella sua vita, ha avuto la fortuna di poter scegliere, e ha fatto la sua scelta. Consapevolmente. Ha accettato di correre determinati rischi (mio fratello ed io eravamo troppo piccoli per avere titolo decisionale, ma mamma e' sempre stata al suo fianco), in cambio della liberta' di inseguire il proprio sogno. Si e' preso la responsabilita' delle proprie scelte, che comprendevano l'eventualita' che le cose potessero andare molto male. Eventualita' tutt'altro che remota, infatti nel periodo piu' buio papa' ha dovuto, come secondo lavoro, andare letteralmente a vendere le mutande porta a porta, altrimenti sarebbe stata la bancarotta.
In cambio della quotidiana assunzione consapevole di questo rischio, quel che ha ottenuto e' stato, col tempo, un migliore stile di vita, per se' e per la sua famiglia.
Un po' come quando si scommette, insomma. Piu' la puntata e' rischiosa, piu' si vince se la ruota gira dalla parte giusta.

Io invece non ho mai creduto nel mercato, nel capitalismo, nell'opportunita', nella libera impresa. Ho sempre pensato che il lavoro non fosse altro che uno strumento per trasformare un determinato tipo di ricchezza che si e' in grado di produrre in un altro che si e' in grado di consumare.
Io, per esempio, faccio programmi per PC. Non sono commestibili. Sono pero' molto utili per scambiarli in denaro, e il denaro e' utile per acquistare il pane con cui campo.
Ho sempre creduto nella collaborazione. Una azienda e' fatta da persone che collaborano per produrre un bene, e nessuno puo' prendersi singolarmente il merito del prodotto finito, perche' tutti hanno partecipato per produrlo. Io sono molto bravo a fare programmi, ma se non ci fosse una azienda che con questi programmi ci fa qualcosa, il mio lavoro sarebbe totalmente inutile, a me e al resto del mondo.
Rispetto alla scelta di papa', la mia comporta meno rischi. Non c'e' la possibilita' che il mio lavoro vada male. O meglio, si' che c'e', ma e' una eventualita' che posso controllare. Non e' mai dipeso da una scommessa su un futuro incerto.
E questa maggiore sicurezza la pago salata: le varie aziende in cui ho lavorato hanno tratto profitto dal mio lavoro, e quindi il mio lavoro vale di piu' del pane che posso comprare con il salario che mi frutta. E questo valore in eccesso e' servito a ingrassare l'imprenditore che ha reso possibile la trasformazione dei miei programmi per pc in pane. E' servito, in altre parole, a creare quella ricchezza in piu' che rende appetitoso il rischio da parte dell'imprenditore.

Ora mi si dice che il lavoratore deve accollarsi la sua parte di rischio d'impresa. Perche'? Per via della crisi.
Praticamente l'imprenditore, in tempi di vacche grasse, puo' risicare uno stile di vita migliore in cambio del rischio che le cose, per lui, possano andare male in tempi di vacche magre. Io non lo farei, ma lui pare che abbia proprio voluto farlo. In tempi di vacche grasse poteva decidere di non accollarsi quel rischio, e di fare come me, vivendo con uno stile un po' piu' sobrio. Ma ha preferito rischiare e fare l'imprenditore.
Che senso avrebbe, mi chiedo io, se ora rifiuta di pagarne il conto con la scusa che siamo in tempi di vacche magre? Bel Rischio! Sarebbe un po' come scommettere, intascarsi i soldi se si vince ma pretendere il rimborso della posta se si perde. Cosi' scommetto anch'io!
Eppure quelli me lo dicevano, negli anni 80 e 90. Ammettevano che loro si', erano privilegiati, ma che dovevano assumersi il rischio di impresa, mentre io potevo godermi sonni tranquilli. Che loro erano pieni di preoccupazioni per mandare avanti la baracca mentre io, una volta timbrato il cartellino in uscita, mi facevo i fattacci miei. Questo fa la differenza tra un'utilitaria e una maserati, tra un appartamento e una villa con piscina, tra una vacanza nella Bassa e una alle maldive, tra una moglie che rimane a casa a sgobbare come casalinga e una tutta firmata che va a spettegolare dal parrucchiere lasciando a casa la filippina che se ne occupi. Tutto questo, caro imprenditore, e' pagato con il rischio che te la pigli in quel posto se va male.

Quindi, ora che va male te la pigli in quel posto e te ne stai zitto, eccheccazzo!

Senti alla tv di un suicidio di un imprenditore, e poi di un altro, e poi di un altro ancora. E il cuore ti si stringe, perche' la quantita' di tristezza per compiere un gesto del genere e' sufficiente a inondare di lacrime intere popolazioni. Massimo rispetto da parte mia per ognuno di questi singoli gesti.
Ma se ora decidi di farla finita perche' le cose vanno male, mi vien da dire che quel rischio non te lo sei mai assunto.
Ah be'... pero' i benefici te li sei pappati! Troppo comodo.

E questo non e' che vale solo per quegli imprenditori cui escono i soldi dal buco del culo (invero quelli mi sa che sono gli unici che se la caveranno, e che continueranno a vivere la loro vita privilegiata, come se niente fosse). Ma anche per i "pezzenti" del mio livello.
In passato ho lavorato (mio malgrado) con contratti che non erano tutelati dall'articolo 18. La partita IVA, ad esempio. C'erano degli svantaggi e dei vantaggi. Il vantaggio sostanziale e' che il saldo tra retribuzione lorda e tasse forniva un netto di gran lunga superiore a quello di un contratto a tempo indeterminato. Lo svantaggio e' che non si era vincolati ad una azienda, e quindi niente articolo 18, niente ferie retribuite eccetera. Quando si e' proposto il bivio io ho scelto la formula "meno rischi = meno soldi". Mi chiedo secondo quale logica quelli che hanno fatto l'altra scelta possano chiedere che l'articolo 18 venga esteso anche a loro, o che, in alternativa, venga abolito anche per noi.

La mia solidarieta' va a tutti i lavoratori precari, che la possibilita' di una scelta non ce l'hanno e non ce l'hanno mai avuta (morire di fame non e' un'opzione). Ma se uno che ha scelto consapevolmente di fare il libero professionista si lamenta della precarieta' di condizioni che vive adesso, senza l'articolo 18 che lo protegga, be', mi sembra che stia allo stesso tempo insultando anche i precari. Quelli veri.
Quando ho chiuso la partita IVA per andare a fare il lavoratore dipendente, ho dovuto rinunciare a parte del mio stipendio. Quegli stessi che lamentano di non avere la protezione dell'articolo 18 allora mi davano del pirla.

Aggiungerei infine che l'articolo 18 tutela anche chi non ce l'ha.
Abolendo l'articolo 18, per l'azienda sarebbe piu' conveniente un lavoratore dipendente piuttosto che una collaborazione con una azienda individuale esterna. Lo assume, lo fa lavorare finche' gli serve, e poi gli molla un bel calcio in culo.
Quindi verrebbe da dire che i lavoratori a partita IVA dovranno riconvertirsi in lavoratori dipendenti, con stipendi piu' bassi e nessuna tutela. Siccome ti possono dare un calcio in culo quando vogliono, ti terranno a fare lavoro da schiavo per due lire.
Aspettando che tornino le vacche grasse - se mai torneranno.

mercoledì 9 maggio 2012

Botta e risposta/2

Continua la mia ricerca di lavoro, e sono sempre piu' perplesso sulla (in)consapevolezza da parte dei selezionatori riguardo al loro ruolo.
Mi stupisco della loro arroganza, cartina di tornasole del fatto che, se si tratta di un servizio per le aziende, certo non lo e' per il lavoratore, a meno che non sia alla canna del gas (e in questo periodo purtroppo parecchia gente e' in quelle condizioni - per fortuna, io no).

Ecco un interessante scambio di mail che riporto camuffando i dati sensibili.

Oggetto: candidatura analista/programmatore .NET

Gentile Sig. C.,
La ringrazio per la Sua candidatura in relazione alla posizione in oggetto.
Siamo interessati a valutare il Suo profilo. A completamento di quanto da Lei indicato nel Curriculum, La pregherei di fornirmi indicazioni circa:
- la Sua attuale posizione contrattuale;
- le Sue aspettative economiche;
- i Suoi obiettivi professionali.

In attesa di un Suo cortese riscontro, Le porgo cordiali saluti.

Dott.ssa R. F.
Responsabile Marketing e Risorse umane
Xyz

Buongiorno, Dott.ssa F.
La ringrazio per la sua cortese mail
- La mia posizione contrattuale e' inquadrata al 6' livello del CCNL metalmeccanico
- Le mie aspettative economiche sono un miglioramento (che non saprei quantificare adesso) della mia attuale retribuzione (cioe' X euro netti mensili x 13 mensilita' piu' un premio di produzione variabile annuo)
- I miei obiettivi professionali sono di migliorare la mia conoscenza nel campo specifico descritto nel CV oppure anche in altri campi in cui ci si prospetti una crescita intellettuale (e quindi un miglioramento o un ampliamento del mio skill).

Colgo l'occasione per porle anch'io alcuni quesiti:
- Che tipo di posizione si tratta? (nella mail fa testo alla posizione in oggetto, ma "Analista/Programmatore .NET" e' una dicitura piuttosto generica!)
- Che tipo di offerta economica proponete?
- Che tipo di contratto offrite?

In attesa di una sua rispsta le porgo cordiali saluti.
Dott. Dario C.

Gentile Sig. C.,
La ringrazio per la cortese e sollecita risposta.

Rispondo di seguito alle Sue domande:
- Credo sappia già di quale posizione lavorativa si tratti, dal momento che ha effettuato la candidatura; tuttavia, troverà le specifiche necessarie sul sito attraverso il quale ci ha inoltrato il Suo CV.
- Ovviamente il trattamento economico è proporzionato alle competenze, sarebbe prematuro adesso e in questa sede parlarne senza aver effettuato un colloquio conoscitivo e tecnico; a tale proposito, Le proporrei di effettuare un test tecnico preliminare al colloquio, in modo da effettuare le dovute valutazioni da ambo le parti.
- Il contratto è a tempo determinato.

Attendo Sue comunicazioni riguardo al test tecnico e Le porgo cordiali saluti.
R. F.

Gent. Sig.ra F.,
Grazie per le delucidazioni che mi ha fornito.

Dal momento che sono un analista/programmatore e lavoro su piattaforme .net, e dal momento che sono motivato a cambiare lavoro, mi sono iscritto a numerosi motori di ricerca mirati, e prendo in considerazione tutte le offerte di lavoro che titolino "analista/programmatore .net". La mia strategia e' leggere attentamente l'offerta e se si confa' alle mie aspirazioni e alle mie competenze, invio una applicazione, corredata da CV nel formato che il motore di ricerca prevede.
Ora, io non ricordo di aver mai mandato una applicazione a
Xyz direttamente, ma potrei averlo fatto indirettamente tramite un motore di ricerca. Non ricordo, ma potrei sbagliarmi, di aver mai visto in alcun annuncio cui io abbia risposto, l'esplicito riferimento a  Xyz.
Di conseguenza, sono certo di aver risposto a parecchi annunci che titolavano l'oggetto della Sua mail, e sono anche convinto di averli valutati tutti accuratamente. Quello che pero' mi sfuggiva, e continua a sfuggirmi, e' a quale di questi Lei si riferisca.
Ma non credo che cio' importi piu', visto che io valuto soltanto contratti a tempo indeterminato, mentre voi avete solo un tempo determinato da offrire (particolare che, a parte un eventuale episodio di colpevole distrazione da parte mia, non compariva nell'annuncio, altrimenti non mi sarei permesso di scomodarLa con l'inutilita' di una mia risposta).

Mi perdoni l'ignoranza, ma vorrei cercare di capire la logica che sta sotto alla selezione del personale. Ho sempre pensato che il trattamento economico non dovrebbe essere proporzionato alle competenze della persona che viene assunta, ma alle competenze che vengono richieste per il posto che quella persona deve ricoprire. Se un imprenditore assumesse un ignegnere per fare le pulizie dei bagni aziendali, dovrebbe pagarlo quanto un pulitore di bagni, non quanto un ingegnere. Dando per scontato che chi assume conosca il ruolo che la persona che assume dovra' ricoprire, suppongo anche che abbia ben chiaro quali siano le competenze che richiede, e quindi abbia una idea precisa della retribuzione che e' disposto ad elargire. Se il candidato ha quelle competenze, verra' retribuito in quel modo, se non le ha verra' scartato nella selezione. Credo questa prassi sia molto comune in paesi piu' evoluti del nostro, come ad esempio gli Stati Uniti (ho avuto modo di sperimentare personalmente), dove l'offerta di lavoro viene pubblicata completa della parte economica, e nessuno si permetterebbe di adottare strategie per mercanteggiare a posteriori. Verrebbe considerata una mancanza di rispetto per il lavoratore.

Piuttosto ora mi stupisco della sua richiesta riguardo alle mie aspettative economiche. E' altrettanto ovvio che siano proporzionate all'impegno, dal punto di vista del tempo e delle energie, che verrebbe richiesto. Per questo non ho potuto essere piu' preciso nella mia risposta. Evidentemente non cambierei posto di lavoro se mi si offrisse un peggioramento del mio stipendio, ma e' altrettanto evidente che, senza conoscere i dettagli dell'offerta, mi e' impossibile quantificare il miglioramento minimo che potrei prendere in considerazione. Inoltre le mie ambizioni di crescita intellettuale e culturale potrebbero indirizzarmi nella scelta indipendentemente dalla retribuzione offerta.

Sono certamente favorevole all'idea di un test tecnico (se cio' non dovesse comportare alcuna spesa di tempo e denaro da parte mia - di che si tratta? di un questionario? - scusi la precisazione, ma qualche tempo fa mi convocarono per un colloquio conoscitivo a 400 km di distanza, inutile dire che mi sono dovuto sobbarcare la spesa del viaggio - succede anche questo!). Penso tuttavia che il test tecnico non servirebbe a me come autovalutazione: io credo di essere conscio dei miei limiti. Mi servirebbe invece per avere una conoscienza piu' approfondita delle richieste e delle logiche del mercato del lavoro, visto che mio malgrado ci ho a che fare. Mi scuso ma purtroppo io non ho un questionario analogo da inviare a Lei per poter valutare la Sua Azienda.

Cordiali saluti
Dario C. 


Questo scambio di mail si e' risolto nel giro di due giorni. La dott.ssa R. F., Responsabile Marketing e Risorse umane della Xyz, non ha ritenuto opportuno dare seguito alla piacevole conversazione.