venerdì 30 dicembre 2011

Da Bus


È luogo comune che alle Hawai'i il turismo sia un po' di elite. In effetti data la loro dislocazione in mezzo all'oceano (le Isole sono piuttosto distanti da qualunque parte si arrivi) la sensazione è qualcosa di esotico. Dalla California distano almeno cinque ore di aereo, e quindi solo ad arrivarci non è proprio economico. Per non parlare di quanto costi, in termini di tempo e denaro, se si arrivi dall'Italia.
Di conseguenza, sbarcando a Honolulu, si trova l'ambiente tipico di questo tipo di turismo. Lo struscio un po' snob per le strade alla moda, la spiaggia di Waikiki, e nel traffico tante limousine.

Invece l'isola di Kaua'i è un po' in disparte rispetto le mete tipiche del turismo hawaiiano. E i mezzi di trasporto pubblico più comuni sono gli autobus di linea The Kaua'i Bus, familiarmente Da Bus (slang per "the Bus").
Purtroppo, se questi autobus sono molto utilizzati dai residenti, non si può dire lo stesso per i turisti. Consiglio invece a tutti quelli che vanno in vacanza a Kaua'i di utilizzarli, perché sono comodissimi, economici, efficienti e si può sperimentare meglio i costumi locali.

Il servizio, per le tratte che io ho sperimentato, è molto buono. Sempre in orario e con corse frequenti.
Certo l'auto è molto più comoda, visto che il bus deve rispettare determinati orari e impiega naturalmente tempo per le fermate intermedie. Però non costringe all'attenzione alla guida e ci si può concentrare sui paesaggi fuori dai finestrini.
Il costo fisso di una corsa (indipendentemente da quanto lunga sia) è due dollari (non proprio economico, se si tratta di una corsa breve, ma molto conveniente se si considera che è possibile girare l'intera isola). Non bisogna fare un biglietto ma si infilano direttamente i soldi dentro una cassetta a fianco dell'autista. Molto più conveniente, come abbiamo fatto noi, acquistare un abbonamento che dà diritto all'utilizzo illimitato di tutte le linee per un mese a 25 dollari.
Nella città di Lihue ci sono alcune linee che fanno servizio urbano, tra cui ce n'è una dal nome divertentissimo "Lunch Shuttle", in corsa nelle ore intorno a mezzogiorno e che ferma vicino ai ristoranti/fastfood più consueti (immagino che sia utilizzato dai lavoratori nella loro pausa pranzo).
Fuori Lihue, invece, le linee svolgono servizio sia urbano sia extraurbano. Percorrono infatti la highway e fanno frequenti deviazioni nei centri abitati, raggiungendo ospedali, scuole, centri commerciali e luoghi di utilità pubblica.

Il bello di Da Bus è l'umanità e la cordialità del servizio. Spesso l'autista si ritrova a chiacchierare con i passeggeri. Una volta l'ho sentito cantare insieme alla radio accesa "It's aloha friday, no work till monday", canzone pop hawaiiana molto comune, e poi, rivolgendosi ai passeggeri urlare "This is my song, friends!", allegro al pensiero del weekend che sarebbe cominciato a breve. Un'altra caratteristica autista era quella che ci ha accompagnato un paio di volte a Poipu: una nonnina con un cappellino adornato da teneri fiorellini che guidava lentissima nonostante le strade pressoché vuote, e ad ogni fermata ne annunciava il nome, anche se noi eravamo gli unici due passeggeri e sapeva quale fosse la nostra destinazione (la chiedono, a volte, per fini statistici).

Anche i passeggeri hanno un atteggiamento generalmente rilassato e amichevole (che differenza con la metropolitana di Milano!), e non mancano mai di salutare quando salgono e di ringraziare l'autista quando scendono. Si trova di tutto: dal ragazzo che fa il filo alla ragazza al tipo vestito da Michael Jackson che cerca di attrarre l'attenzione. L'uomo d'affari che non molla un secondo il telefonino e il nonno che sorride a tutti quelli che ne incontrano lo sguardo. In ogni caso, il più delle volte si finisce a chiacchierare con qualcuno che si incontra in vettura o alla fermata prima di salire, come se ci fosse un legame fraterno che accomuna tutti quelli che utilizzano Da Bus.

Sarebbe bello che il servizio funzionasse anche di notte, in modo da poterlo utilizzare anche per le uscite serali. Bisognerebbe potenziare le linee verso alcune destinazioni: per esempio non esiste una linea che porta in montagna (anche perché i centri abitati sono pressoché tutti connessi dalla highway che percorre quasi tutto il perimetro dell'isola). In generale sono ottimamente servite le destinazioni per i
locali, ma non altrettanto le mete turistiche. La splendida spiaggia di Poipu, ad esempio, che si trova su una deviazione dalla highway, ha una sua linea, ma le corse non sono sufficientemente frequenti, il che costringe a sprecare molto tempo nell'attesa.
Una cosa che ho trovato sgradevole è l'abitudine a tenere l'aria condizionata a paletta. Bisogna premunirsi con qualcosa da indossare, dal momento che fuori si sta in short e maglietta.
Davanti al cofano dell'autobus è sistemato anche un portabiciclette che ne può contenere fino a due. Credo che le bici viaggiano gratuitamente insieme al passeggero pagante. Questo servizio è utilizzato frequentemente: alla fermata il ciclista sistema la bici e poi sale. Non ho però capito se bisogna prenotarlo in anticipo (che succede se dovessero capitare più di due ciclisti sulla stessa corsa?). Ovviamente le vetture sono dotate di ascensore per i disabili e spazi per sistemare le sedie a rotelle.
Il servizio è dimensionato in modo perfetto (credo che a questo servano i dati statistici che ho menzionato sopra): i sedili sono spesso tutti occupati o quasi, ma raramente capita che qualcuno debba rimanere in piedi. Mi è capitata una sola volta, nell'ora di punta per gli studenti, una corsa sovraffollata (mai però qualcosa di paragonabile ai servizi pubblici delle nostre città).

Insomma, se si apprezza l'atmosfera di calma e confortevole rilassatezza che si respira a Kaua'i, Da Bus è il modo migliore per visitare l'isola.

Anche per questo post, le foto sono di Rowena

martedì 20 dicembre 2011

Escursionismo tropicale

Una passeggiata escursionistica alle Hawaii è decisamente un'esperienza diversa, per chi, come me, è abituato ai sentieri alpini.
Innanzitutto il clima. Il caldo umido rende più faticosi i movimenti. I sentieri, inoltre, tendono ad essere coperti dalla vegetazione tropicale piuttosto invadente: il sottobosco è costituito per lo più da felci che nascondono i tracciati e disorientano un po'. Le rocce sono anche quelle nascoste dalla vegetazione, per cui le indicazioni dipinte, se ci sono, non si vedono. Inoltre non c'è un servizio come quello prezioso del CAI per mantenere in ordine sentieri e paline.
Spesso sono gli escursionisti stessi che lasciano segnalazioni annodando nastri colorati ai rami.


Traccia GPS dell'escursione Honopu.
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Honopu ridge, 16 ottobre 2011

I nastri di segnalazione (arancione e rosa) si sono rivelati in effetti molto utili durante la prima delle nostre due escursioni all'isola di Kaua'i. Con R e me c'erano il figlio di R e la sua ragazza.

Raggiunto in auto l'inizio del percorso abbiamo seguito le indicazioni descritte qui. Si entra nella foresta, che, in discesa, si fa sempre più intricata. Ad un certo punto il sentiero si fa particolarmente umido e si finisce per scivolare.
Quando la foresta si apre ci si ritrova sul ciglio di un declivio particolarmente scosceso, piuttosto facile da superare se non per chi, come me, ha una innata antipatia per i precipizi. Al termine di questo breve tratto ci si arrampica un po', di nuovo

Vista dal punto di arrivo dell'escursione
nella foresta, e finalmente la vista si apre sulla stupenda costiera di Na Pali.
In realtà da qui la spiaggia, circa 1000 metri più sotto, non si vede. Si vede però il promontorio laterale che forma, con quello che ci troviamo sotto i piedi, una delle magnifiche baie di Na Pali. All'interno della vallata ci si aspetta di veder sbucare dalla vegetazione i colli dei brachiosauri, che proprio qui sotto furono protagonisti di Jurassic Park. Si possono invece scorgere degli uccelli (in realtà sono minuscoli puntini bianchi). Ogni tanto, molto più in basso, passa un elicottero turistico, anche quello difficilmente visibile. Altri puntini bianchi in mezzo all'oceano devono essere delle barche (la spiaggia nella piccola baia sottostante è inaccessibile via terra).
Ci si trova sulla cresta del promontorio, e quindi, voltando lo sguardo sull'altro lato la vista si apre su un'altra vallata. Si scorge in lontananza l'isola di Ni'ihau, l'Isola Proibita. Il sentiero qui prosegue, scendendo piuttosto ripido (e apparentemente non molto sicuro), sempre sulla cresta. Non sembra promettere una vista migliore di questa. Siamo appagati e coscienti che ci spetta il ritorno in salita. Torniamo ripercorrendo la stessa strada a ritroso.



Traccia dell'escursione Makaleha (le imprecisioni sono dovute
alla cattiva ricezione dei satelliti nella foresta)
Visualizza in una mappa di dimensioni maggiori
Makaleha Falls, 17 ottobre 2011

Altrettanto interessante, anche se totalmente diversa, è stata l'altra escursione.
Questa volta, oltre ai quattro della precedente escursione, c'erano anche il fratello e le due sorelle di R, con i rispettivi mariti. La guida era D, il fratello di R, che era già venuto qui tempo prima. Il percorso risale un torrente, e prevede numerosi guadi e tratti coperti da uno strato di fango melmoso. Avvertiti per tempo da D, abbiamo quindi adattato a queste condizioni l'equipaggiamento. I miei scarponi da trekking non andavano proprio: abbiamo quindi acquistato le apposite "Tabies", stivaletti di gomma, elastici, con la suola spessa ma morbida e ricoperta di uno strato rugoso ma soffice come il velcro. Senza questo tipo di calzature è impossibile riuscire a non scivolare. Inoltre, l'aderenza della gomma alla caviglia, simile a quella di una muta da sub, aiuta a sollevare il piede quando rimane "appiccicato" alla fanghiglia.

Guado
Il percorso è molto vario, quasi sempre immerso nella fitta foresta. Ad un certo punto si passa molto vicini ad un enorme monolito di forma cubica, che sembra un dado caduto dalle mani di un gigante. Poi improvvisamente si entra in un luogo surreale: una foresta di bamboo. Le canne, enormi e altissime, prendono il posto degli alberi, lasciando, tra l'una e l'altra, spazio sufficiente per districarsi. Qualche centinaio di metri e altrettanto improvvisamente, la vegetazione di alberi ad alto fusto e felci riprende il sopravvento. Qui il sentiero si perde, anche se non è difficile indovinare la direzione, visto che si continua a seguire il corso del fiume. Bisogna però ingegnarsi ad appoggiare i piedi sopra i tronchi o rami di alberi caduti, ricoperti di scivoloso muschio, o a passarci sotto, aggrapparsi ad altri rami o alle rocce per tenersi in equilibrio. Non si riesce a vedere il terreno, tanto è intricata la vegetazione, ma a giudicare dal livello dell'acqua, ci si trova a circa uno-due metri da terra.
L'umidità è tantissima, così che dopo qualche ora di cammino si trasforma in pioggia. Il tempo varia repentinamente, alle isole, e quindi giudichiamo che sia molto più sicuro tornare sui nostri passi. Peccato, perchè pare che in fondo al sentiero (un altro paio di chilometri) ci sia un laghetto dove si possa fare la doccia sotto la cascata.

Bellissime escursioni. Le Hawai'i evocano vacanze di spiaggia e mare, ma secondo me, soprattutto a Kaua'i, l'isola Giardino, è la struggente bellezza incontaminata dell'interno a lasciare senza fiato.

C'è qualcosa di intimo nell'esperienza di camminare nella natura, ed è stato bello condividerla con i miei parenti acquisiti. È come se, dopo queste esperienze, si fosse creato un legame

Io, nella foresta di bamboo.
Tutte le foto di questo post sono di Rowena

martedì 29 novembre 2011

L'onesta' dei ricchi

ROMA, 28 NOV – Vittorio Grilli, attuale direttore generale del Tesoro e nominato dal Cdm viceministro all'Economia rinuncera' al 70% dello stipendio.
Sara' infatti in aspettativa come dg e percepira' solo lo stipendio da viceministro.


Wow! mi sono detto quando ho sentito 'st'ansa alla radio, apprezzando una volta di piu' il nuovo corso di trasparenza ed onesta' del dopo-berlusconi.
E ho anche ammirato il senso di onesta' personale e di abnegazione al bene comune di Vittorio Grilli, che rinuncia al 70% dello stipendio per accettare una carica pubblica forse anche un po' scomoda.

Poi pero' ho fatto quattro conti, rispondendomi che il 70% di una certa quantita' di denaro non e' una espressione molto significativa se non si sa a quanto ammonta il totale. E subito mi e' venuto da pensare al mio, di stipendio. Uhm.... Start -> Tutti i programmi -> Accessori -> Calcolatrice. Il mio stipendio per 0.3... considerato il mutuo, considerato che siamo in due a sopravviverci sopra, anche ammesso di ammazzare i cani ed utilizzarli come riserva proteica facendoli arrosto, direi che sopravviveremmo... uhm.... mazza giornata. Forse, tirando un po' la cinghia, anche una giornata intera.

E poi ho sentito che l'anno prossimo l'Italia sara' in recessione, il che significa posti di lavoro in meno (come se ora ne avessimo da vendere).
E poi ho anche sentito che l'Europa ci impone un ritocco dell'articolo 18, per creare posti di lavoro. Cioe', coloro che, come me, hanno gia' un posto di lavoro potranno perderlo (rinunciando a... uhm.... il 100% del loro stipendio) con sempre meno speranza di trovare un altro posto di lavoro, ma lo faranno per una giusta causa: la creazione di nuovi posti di lavoro.

Consideravo, tra me e me, il distacco piu' totale tra le istituzioni e il cittadino.

lunedì 21 novembre 2011

Sit down, relax, eat, eat, eat...

"Siediti, rilassati, mangia, mangia, mangia..." è l'espressione di accoglienza che frequentemente ti rivolgono gli hawaiiani. Anche lì, come nella nostra cultura, il cibo assume un valore sociale, ma il convivio ha una forma diversa. La differenza sta nella "geometria". In Italia si mangia tutti seduti intorno al tavolo, assieme (anzi, è scortese iniziare quando non siano tutti pronti). Alle Hawaii (e, credo, in genere negli States), è più comune il buffet. Ognuno si serve riempiendosi il piatto, e non è infrequente che non esista nemmeno un tavolo. Si mangia ognuno un po' come vuole: in piedi, seduti su sedie o poltrone, lasciandosi trasportare dagli eventi nella formazione di gruppetti di conversazione più o meno grandi.

Luau
Luau è una parola del linguaggio dei nativi hawaiiani che significa più o meno "festa". Lo spirito è quello di ritrovarsi in un luogo per condividere un momento di incontro. Tradizionalmente gli invitati portano del cibo che poi viene condiviso tra tutti.

Il luau a cui ho partecipato nelle mie vacanze hawaiiane è stato organizzato nel Community Center della zona, in occasione del family reunion di mia moglie R.
Gli invitati erano i parenti diretti delle famiglie originate dalla defunta nonna di R, immigrata nelle Hawaii dalle Filippine. Eravamo circa duecento: un buon successo visto che la maggior parte di quei parenti si sono sparpagliati un po' ovunque nel mondo.

Il personaggio più tipico della festa era Patty Boy, un cugino dall'età indefinibile con lunga e folta chioma canuta raccolta in una coda di cavallo. Voce potente e profonda.

La cena al Luau
Quando siamo arrivati con i nostri cognati lui si è immediatamente fiondato dalla sorella di R (che abitualmente abita nello stato di Washington) accogliendola con un caloroso "Welcome to my cos from Italy" ("un benvenuto a mia cugina dall'Italia"). Quando gli abbiamo fatto discretamente notare l'errore ha ripetuto ad R la stessa formula, e mi ha abbracciato calorosamente con un "Thank you for taking care of my cos" ("grazie per prenderti cura di mia cugina").
Patty Boy, come gesto di accoglienza, mi ha messo al collo un lei di ti leaves (foglie di una pianta tropicale), e rispondendo al mio "i am honored" ("sono onorato") non ha perso l'occasione di sottolineare (forse con un po' eccessivo pathos) quanto fossimo fortunati a vivere quell'occasione di rinsaldare l'unità della famiglia.
Ecco, Patty Boy è quello che mi pare incarni meglio, quasi una caricatura, lo spirito di accoglienza totalmente sincero e disinteressato delle Hawai'i.

La cena era disposta su una lunga tavolata con grossi vassoi, pentole e piatti da portata. Il nostro contributo non poteva che essere qualcosa di tipicamente italiano: abbiamo farcito un numero considerevole di cialde di cannoli con ricotta dolce fresca e frutta candita. Il risultato non era affatto male, infatti sono spariti in pochi minuti.

Kalua pig

La preparazione del Kalua pig
La cosa più tipica della tavolata era il kalua pig.
Il modo originario hawaiiano per cucinare il maiale è quello di avvolgerlo intero in foglie di banana e così sotterrarlo in una buca in cui sono state depositate delle pietre arroventate di roccia vulcanica. Il maiale poi è ricoperto di altre pietre roventi e di sabbia. Dopo una quantità di tempo considerevole si scopre il tutto e il maiale si scarta dalle foglie di banana, bell'e cotto.
Abbiamo avuto la fortuna di poter assistere alla preparazione del kalua pig con metodi un poco più "evoluti". Il maiale, dentro le foglie di banana, era stato avvolto in carta d'alluminio e appoggiato in una gabbia di metallo. A sua volta la gabbia era appoggiata sulle pietre roventi all'interno di una buca, ed il tutto era ricoperto con stracci umidi e una apposita coperta di materiale plastico. Noi siamo giunti al luogo della preparazione durante il pomeriggio, nel momento in cui lo stavano scoprendo, ed abbiamo avuto l'occasione di assaggiarlo ancora rovente.

Poke
Tipicamente il kalua pig si accompagna con il poi, cioè una specie di puré di taro, un tubero tropicale dal colore grigio-rosa e sapore dolciastro. Il poi si mangia raccogliendolo da una ciotola con due dita ("two fingahs")

Poke
Un altro tipico modo di mangiare alle hawaii è il poke. Si tratta, più che di pranzo o cena, di spuntino. Il poke viene venduto nel reparto gastronomia dei piccoli supermercati, riforniti direttamente dai pescatori locali, come avviene a Hishihara market.

Lo chef di Chicken in a Barrel
Il pesce, freschissimo, viene tagliato a cubetti ("bite size") e marinato in salse e spezie. In genere si mangia con i chopsticks stile cinese.

Chicken in a Barrel
Una esperienza divertente è stata andare a pranzare in banchetti poco più che improvvisati ai bordi delle strade in riva al mare. Chicken in a Barrel è uno di questi. Un solo personaggio con vistoso cappello da cowboy accetta ordinazioni da una finestra in una casetta di legno,

Saimin
cucina il pollo sulla griglia sistemata sopra ad un fuoco mantenuto in un bidone di latta (un "barrel", appunto) e serve ai tavoli disposti sul prato circostante.

Saimin
Le Hawai'i sono un ricettacolo di tradizioni portate da chi vi è immigrato nelle varie fasi della storia. Grande è la comunità dei giapponesi, e quindi popolare è la cucina di quella provenienza. Uno dei miei posti preferiti è il ristorante giapponese Kintaro, dove ho assaggiato il miglior sushi della mia (limitata) esperienza. Ma un locale che non mi faccio mai perdere, quando vado a Kaua'i, è Hamura Saimin. Il saimin, il locale e i gestori somigliano molto a quelli descritti nel film The Ramen Girl. "Saimin", in effetti, è la denominazione hawaiiana del ramen. Il menù è piuttosto limitato, ma non importa. L'unica ordinazione che abbia un senso in quel locale è, appunto, il saimin.

Tutte le foto di questo post sono state prese dal blog di R: http://rubbahslippahsinitaly.blogspot.com/

lunedì 7 novembre 2011

In nome delle scimmie...

Allora, vorrei parlare del luau o di altre amenita' delle Hawaii, ma per quelle cose mi serve un po' piu' di serenita' d'animo, e adesso invece mi preme un altro post politico.

Premessa:
Io mi ritengo di sinistra, sicuramente, anche se fatico ad identificarmi in un partito di sinistra esistente (credo che questo "anche se" sia il dramma di tutto il popolo della sinistra... sbaglio?).
E in quanto di sinistra credo che Berlusconi se ne dovrebbe andare. O meglio, credo che l'uscita di scena di Berlusconi sia l'unico modo per salvare l'Italia dal fondo del baratro in cui stiamo rovinosamente precipitando. Credo e ho sempre creduto, da che Berlusconi ha cominciato a calcare la scena politica (e invero anche da prima!), che Berlusconi sia un ladro, un mafioso, uno che e' totalmente indegno a rappresentare i cittadini italiani (e non per merito di questi, ma per demerito di quello). Da subito (ricordo in particolare che la prima volta che ho cominciato a temere per l'Italia e' stato quando Emilio Fede ha fatto il primo TG speciale sulla prima guerra del Golfo) ho capito che Berlusconi aveva troppo potere, e che lo avrebbe esercitato per i propri interessi, in competizione con gli interessi dei cittadini.
Credo quindi che Berlusconi debba sparire dalla scena politica, e credo che anche quando lo facesse, dovremmo rimanere all'erta che non ne combini qualcun'altra per salvarsi il proprio e per vendere il culo dell'Italia.
Che se ne vada, in nome dell'Italia, dell'Europa, di Dio, e anche delle Scimmie, come dice Staino l'evoluzionista.

Ora,
Detto questo, pero', quando Berlusconi dice che rimarra' al potere finche' il suo governo sara' sostenuto da una maggioranza, ritengo che, anche se le sue motivazioni per dire cio' sono tutt'altre, non stia affatto contravvenendo alle regole. Anzi.
Sapevo che siamo in una democrazia, e in una democrazia il popolo e' sovrano. Siamo in una democrazia rappresentativa, e quindi in rappresentanza del popolo il Parlamento e'
sovrano. Non il presidente del consiglio o il presidente della repubblica, ma il Parlamento. E dove il Parlamento sostenesse il governo, il presidente del Consiglio non solo ha il diritto, ma anche il dovere di governare.
Come dicevo nella mia premessa tuttavia auspico (con la stragrande maggioranza del popolo italiano, spero), che Berlusconi se ne vada. Ma ritengo quanto mai bizzarro soltanto supporre che a decidere questa dipartita sia Berlusconi stesso, che sta li' per interessi personali, e quand'anche non avesse interessi personali dovrebbe stare li' per mandato democratico.
Non e' Berlusconi che deve fare un passo indietro. E' piuttosto il Parlamento che, capendo che Berlusconi non e' in grado di governare, dovrebbe sfiduciarlo.
Io sono ingenuo si', ma non cosi' tanto. Non e' che credo che i parlamentari non abbiano capito che Berlusconi se ne deve andare. E' che e' loro convenienza rimanere dove stanno. E' che sono tutti stati comprati da Berlusconi. Tutti? Be', non tutti. Ci sono quelli che dalla prima ora erano Berlusconiani convinti, credo. Quelli non sono stati comprati. No, credo che ad essere stati comprati siano tutti quegli Scilipoti che sono stati nominati dalle opposizioni, non dalla maggioranza. Insomma, se io dovessi comprarmi qualcosa non mi comprerei una cosa che gia' ho. Mi comprerei una cosa che appartiene a qualcun altro.
Berlusconi, se dovesse contare solo sui parlamentari che furono nominati alle ultime elezioni nelle sue fila (PdL+Lega+AN o come diavolo vogliamo chiamare i postfascisti), non avrebbe la maggioranza da tempo. Invece ce l'ha perche' puo' contare su alcuni parlamentari nominati dai partiti dell'opposizione che ora hanno cambiato bandiera. E non e' che li si puo' assolvere dicendo che hanno cambiato sinceramente opinione. No, sono indifendibili perche' hanno venduto il mandato popolare per trenta denari.
Cioe', praticamente, noi, popolo della sinistra, abbiamo votato dei partiti che hanno nominato delle persone le quali poi, per un pugno di soldi, hanno fatto esattamente il contrario di cio' che noi implicitamente abbiamo chiesto loro. E ora siamo qui a chiedere a Berlusconi di fare un passo indietro? Ma in nome di Dio, se ne vadano loro, tanto per cominciare! Quei corrotti nominati dalle opposizioni! Sono loro che hanno venduto l'Italia.

Ma com'e' potuto essere?
Vien da chiedersi come sia possibile questo mercato di Parlamentari. Io una (parziale ma indubbia) risposta ce l'avrei. Il mercato delle vacche e' l'effetto del Porcellum (tanto per usare un linguaggio da fattoria). Un sistema elettorale che prevede che i parlamentari siano nominati dai partiti e non eletti dal popolo, un candidato, se vuole godere degli stessi privilegi ed essere nominato di nuovo deve fare l'interesse di chi potenzialmente puo' nominarlo di nuovo. Quindi quello che paga di piu'. Berlusconi.
Ma uno fa il deputato per godere di privilegi? Be', chiediamo conto di questa affermazione immorale a chi ha nominato quei brutti ceffi.
Mi si dira' che il Porcellum e' stato inventato da uno che stava dalla parte di Berlusconi. Si', e' vero. Ma, almeno a parole, lo stesso tipo che l'ha inventato si e' anche pentito di averlo fatto. Era pronto a fare un passo indietro per riformare la legge elettorale appena riformata, ma invece no. Proprio Veltroni (e non dico uno sfigato di un insignificante partitino della sinistra, ma il leader della piu' grande forza d'opposizione) ha deciso di affrettarsi a cavalcare proprio quella Porcheria, e non per governare, ma per rafforzare il potere di quel partito, e magari il suo personale all'interno di esso. Praticamente a chiedere a Berlusconi di dimettersi e' quel PD che per interesse politico ha cavalcato il Porcellum che e' causa della corruzione del Parlamento che e' a sua volta la base del sostegno a Berlusconi.
Ma solo io ci vedo qualcosa di contraddittorio in questo?

E dopo?
Che poi, supponiamo che Berlusconi se ne vada finalmente a casa.
Il PD ha detto, in coro con tutte le forze di opposizione, che a quel punto la sinistra e' pronta per governare, e per condurre l'Italia alla salvezza.
Certo io credo che finche' Berlusconi e' al potere l'Italia cadra' sempre piu' in basso. Ma non credo di sicuro che la causa della primavera Italiana potra' mai essere l'uscita di scena di Berlusconi. Ci vorrebbe qualcuno che faccia qualcosa.
Bersani si dice pronto a fare questo qualcosa.

Tra parentesi:
A me l'idea di un governo tecnico non piace affatto, perche' da che mondo e mondo i governi tecnici servono per prendere decisioni impopolari senza che le forze che lo sostengono se ne prendano le responsabilita'. In altre parole ho paura che un governo tecnico finira' per ridure i diritti dei lavoratori, le liberta' sociali, i soldi e i servizi ai cittadini (esattamente come Berlusconi ha promesso all'Europa di fare), perche' tanto alla fine non sara' colpa di nessuno. In conclusione ci fara' subire lo stesso prezzo del governo Berlusconi, ma ce lo fara' accettare con meno lacrime.
Il governto tecnico non mi piace, ma per uno politico ci vorrebbero le elezioni. E anche ammesso di avere il tempo di farle, e' impensabile farle con il Porcellum. E quindi il governo tecnico e' necessario per ricoprire il tempo tecnico di superare il momento critico e nel frattempo aprire la strada alle elezioni con un sistema nuovo.
...sempre che il governo tecnico si ricordi di riformare il sistema elettorale, altrimenti saremo da capo, perche' finira' che in Parlamento ci andranno dei corrotti che, per proprio interesse personale faranno l'interesse di chi paga meglio, che si chiami Berlusconi o no.
Chiusa parentesi.

Bersani si dice pronto a fare questo qualcosa, dicevo. Ma non sara' una buona idea spiegarci anche di che cosa si tratta? Fugherebbe i dubbi che anche un governo di centrosinistra - tecnico o no che sia - abbia la minima idea di come uscire da questo arrocco. Che' invece Bersani ha ben chiaro che cosa bisogna fare, vero? Sembra stia ripetendo da giorni proprio questo concetto.

C'e' almeno una manciata di blogger che seguo che mi direbbero che qualunque schifezza di governo di qualunque colore sara' senz'altro meglio di Berlusconi. E' vero. Meglio, ma non sufficiente.
Cioe', non e' troppo difficile trovare uno che governi meglio di Berlusconi. Anche uno che facesse andare la situazione un po' meno male di quanto faccia Berlusconi sarebbe meglio di Berlusconi, ma la situazione continuerebbe ad andare molto male. Se poi, tamponando la crisi, volessimo anche risparmiare i diritti degli Italiani, allora non ci serve un qualunque imbecille meglio di Berlusconi, ma uno bravo.
E chi e' quello bravo? Bersani?

venerdì 4 novembre 2011

Refrain

Questo post si infila qui, interrompendo di prepotenza una serie dedicata alle Hawai'i.
Non c'entra niente, ma mi prudono le mani.

Prima delle vicende di questi giorni, la Merkel mi piaceva abbastanza. Sarkozy invece no.
Papandreu deve imporre ai suoi concittadini certe misure restrittive (simili per altro a quelle che Berlusconi impone a noi), per salvare l'economia greca e rientrare nei parametri europei.

Tra parentesi, personalmente penso che ridurre i diritti dei lavoratori, le pensioni, i servizi, far tirare la cinghia al ceto medio e ai piu' poveri, non sia una buona soluzione per l'economia, perche' e' solo distribuendo la ricchezza che si consente a quelle classi di comprare, e quindi di rimettere in moto l'economia. Pero' io sono un fesso, e 'ste cose le lascio agli economisti piu' competenti. Chiusa parentesi.

La cosa che mi ha lasciato di sasso e' la sorpresa e la conseguente irritazione dimostrate da Merkel e Sarkozy quando Papandreu ha deciso di far approvare alla popolazione, con un referendum, le misure che quella stessa popolazione avrebbe dovuto patire.
Cioe', non e' che voglio difendere Papandreu: mi pare che fino ad un momento prima si era dimostrato prono ad accettare qualunque imposizione e poi, quando la solidita' del suo governo cominciava a vacillare, ha deciso a sorpresa di scaricare la responsabilita' sulla popolazione.
Quel che mi sembra davvero bizzarro e' che ci si aspetta che certe misure antidemocratiche vengano accettate dai governi che si definiscono democratici senza consultare la popolazione. Anzi, guai a chiedere un parere!
E allora mi chiedo dove diavolo sia tutta 'sta millantata democrazia. Tutto finto?

La Merkel impone a Papandreu di imporre ai greci certe misure, senza nemmeno consultarli. Mi chiedo se la stessa Merkel, ci fosse stata la necessita', si sarebbe permessa di strofinarsi le suole sporche di cacca utilizzando come zerbino la democrazia tedesca imponendo le stesse misure ai suoi concittadini. No. I cittadini tedeschi hanno maggiori diritti dei greci. Ma perche'? Non eravamo tutti europei? Non siamo tutti esseri umani?

Merkel e Sarkozy ribattono che i pompieri debbono agire immediatamente, quando c'e' un incendio, senza consultare le persone in pericolo. Mi pare un paragone un po' bizzarro. Primo perche' il motivo principale per cui i pompieri debbono agire immediatamente e' che se tardassero brucerebbe tutto prima di poter agire, mentre non mi pare cosi' immediato l'effetto della crisi (qualche giorno si potra' pure aspettare!), e inoltre non mi pare che un default della grecia significhi necessariamente la fine di quella nazione. Secondo perche' in genere, quando c'e' un incendio, succede che ad appiccarlo non siano stati proprio i pompieri, ne' tanto meno l'azienda che rifornisce di acqua e schiuma le loro autopompe, mentre le ricette contro la crisi mi paioono dettate proprio da chi l'ha innescata (con dolo o incompetenza).

Infine. La crisi economica puo' essere aggravata dall'incapacita' dei paesi in crisi, ma la sopravvivenza dell'Europa stessa e' convenienza di tutti, incluse in primis Germania e Francia. In altre parole, Merkel e Sarkozy possono imporre quel che vogliono, ma e' solo grazie al povero operaio greco che loro possono arrogarsi quel diritto. Sarebbe bello che questo fosse riconosciuto a quell'operaio, che perde il posto, non ha ammortizzatori sociali e ci rimette pure gli anni di contributi per la pensione, spesi per comprare quei disgustosi tailleur e cravatte che i due leader vestono.

venerdì 28 ottobre 2011

Deja-vu...?

Quello che colpisce, nonappena uscendo dall'aereo ci si ritrova nell'aeroporto di Lihue, è una forte percezione di deja vu.
Anzi, no. Forse deja vu non è l'espressione corretta in questo caso, perché, si potrebbe obiettare, è evidente che si ha la sensazione di aver già visto (appunto "deja vu") un posto dove si sa di essere già stati (ed io sono già stato diverse volte all'aeroporto di Lihue).
È piuttosto un insieme di stati d'animo che ti prendono dentro, nei polmoni, nello stomaco. Lo noti, ma non ti rendi conto di che cosa sia, esattamente.
Io credo che questa sensazione sia evocata principalmente dall'odore. Cannella e zenzero, ma soprattutto frutta molto matura. Odore dolcissimo e un po' appiccicoso (forse anche per l'elevato tasso di umidità dell'aria). Niente affatto sgradevole, ma molto violento. E anche sentori di torba e sottobosco grasso. L'isola ha un profumo molto diverso dall'odore secco e pungente che si prova dalle mie parti. Sembra quasi di riconoscere qualcosa di ancestrale e primitivo, che appartiene ai geni, ma senza alcun riferimento culturale, in questo senso deja vu. Come il ruggito di un leone, che farebbe spaventare chiunque, anche chi non ne avesse mai sentito il suono.


Baia di Kealia
Anche all'udito si percepisce qualcosa di diverso. Non è il solito riverbero di scalpitio della sabbia tra tacchetti di cuoio e pavimenti in finto marmo, tipico degli aeroporti, con voci artificiali asettiche e metalliche in sottofondo. Qui gli altoparlanti diffondono mielose melodie hawaiiane, gli annunci cominciano sempre con aloha e finiscono con mahalo. Tutto arriva un po' ovattato alle orecchie (sarà forse che ci si ritrova in un ambiente di aria calda e umida dopo l'aria condizionata dell'aereo). Il tutto si acuisce quando poi si esce dall'aeroporto, e lì è costante il rumore della risacca sulle spiagge o delle onde che si schiantano sulle scogliere.

La gente è straordinariamente, quasi irritantemente calma e pacata. Con gli haole (quale io appaio - e sono) sono tutti molto amichevoli. Con i locali (come R) attaccano a parlare in stretto pidgin ricercando - ed in genere trovando - amicizie o parentele comuni.
Le auto si muovono lentamente e il traffic rage non esiste. Lo scorrere degli eventi non è dettato dagli orologi ma dalla disponibilità di tempo di chi ne è coinvolto, tanto che c'è da chiedersi come sia possibile che la società si incastri in ciò che deve invece rispettare un tempo assoluto (ad esempio gli orari dei mezzi pubblici).
Stavolta siamo atterrati di sera, ma a me piace arrivare di giorno, a Kaua'i, perché si offre da subito, dalla highway, alcune vedute commoventi della catena montuosa, dalle forme simili alle Dolomiti, ma di diverse sfumature di verde (ai tropici la vegetazione riesce ad invadere ogni spazio disponibile). Da lontano sembrano quasi surreali, le tinte smussate un po' dall'umidità dell'aria.

La cosa più sorprendentemente buona al gusto è la frutta tropicale. Ho fatto enormi scorpacciate di papaya - chi non è mai stato ai tropici non può capire, la papaya da noi ha al massimo un vago sentore di polistirolo, lì sono invece dolcissime e burrose alla consistenza. Mango, avocado, ananas, star-fruit, banane di ogni dimensione e sapore, noci di cocco, le tipiche macadamia nuts, limoni, lime, pomelos, frutti della passione. A Kaua'i si trovano genuini e saporitissimi ai farm markets (cioè i mercati dove la vendita avviene direttamente dal produttore).
E poi c'è il pesce fresco, che viene venduto anche sotto forma di poke, cioè insalate di bocconcini di pesce crudo insaporite da salse, spezie e alghe, da mangiare con i chopsticks alla cinese.
Il vino è inusuale, ma la birra va a fiumi...
Ma all'argomento libagioni sarà dedicato un post specifico. Del resto il motivo (o la scusa) della nostra vacanza laggiù era proprio la partecipazione al tipico luau, in occasione del family reunion.

mercoledì 26 ottobre 2011

Aloha!

Eccomi di ritorno, dopo una breve vacanza alle Hawai'i. Sto ancora cercando di riassorbire il jetleg di 12 ore.
Cercherò di descrivere la bellissima vacanza con un po' di tempo nei prossimi post, ma intanto cominciamo da ciò che è andato male.

Aeroporto di Milano Linate, Check-in.
Ma lei ce l'ha l'ESTA? mi chiede l'antipatica signorina con l'emblema della British Airways appuntata sulla giacchetta.
E che diavolo è l'ESTA? vi chiederete voi.
E che diavolo è l'ESTA? chiedo io all'antipatica signorina con l'emblema della British Airways appuntata sulla giacchetta.
Si tratta di una specie di visto di ingresso per gli Stati Uniti, da compilare online prima della partenza. Scoprirò più tardi che si tratta delle stesse domande che una volta bisognava compilare su un modulo cartaceo a bordo dell'aereo, tipo "sei un terrorista?", "Stai trasportando del materiale esplosivo?", "Hai mai avuto a che fare con episodi di delinquenza comune?", "hai dei pendenti con la giustizia da scontare?", insomma domande retoriche con risposta negativa (non credo che un criminale o un terrorista si facciano problemi etici sulla sincerità delle risposte).
No, non ce l'ho, l'ESTA.
E allora non può partire.
Panico.
Come si fa, l'ESTA?
Si va all'indirizzo http://esta.cbp.dhs.gov/ e si ficcano dentro tutti 'sti dati. Tempo totale circa un minuto. Dopodiché istantaneamente si è abilitati ad entrare negli USA.
Un gioco da ragazzi.
Sì, a patto di avere un accesso ad Internet, ovviamente, altrimenti dove lo scrivo l'indirizzo http://esta.cbp.dhs.gov/? Su una cartolina?
Ora, direte voi, in un aeroporto trovare una connessione ad internet è un gioco da ragazzi!
A Linate evidentemente no. C'è una postazione Internet a gettone, ma temporaneamente fuori uso. Vedo se c'è un accesso WiFi libero raggiungibile dal mio palmare. Non c'è. Mi chiedo se ai banchetti dei CheckIn abbiano postazioni internet, scarto l'idea: la signorina con l'emblema della British Airways appuntata sulla giacchetta sarà mica così antipatica da non aiutarmi!
Demoralizzato decido di rivolgermi all'altra signorina, quella alla biglietteria della British Airways (questa qui invece molto simpatica!), per spostare il mio volo al giorno successivo. La simpatica signorina a tutta risposta mi chiede se non riesco a connettermi a Internet per fare l'ESTA al momento. Eh, no, purtroppo non riesco a connettermi a Internet, da qui. Neanche al banchetto della biglietteria British hanno una connessione. L'unica sembra davvero essere quella di cambiare data. Seicento euro e un giorno di vacanza buttati.

Va be', il giorno dopo arriviamo in aeroporto e stavolta c'è un signore, al banchetto del check in. Anche lui antipatico e anche lui con l'emblema della British Airways appuntato sulla giacchetta. Guarda i nostri passaporti. Guarda la mail stampata con la prenotazione del volo. Alza lo sguardo verso di me, ma non mi faccio prendere alla sprovvista. Sì, ce l'ho, l'ESTA. Controlla dubitativo sul suo terminale (mmmh... non hanno un accesso internet, ma possono controllare online se ho il maledetto ESTA!). Alla fine non può che ammettere. Appiccica un nastro con un codice a barre sul nostro bagaglio e ci dà le carte d'imbarco. Buon viaggio, sorride. Siamo in vacanza!
Ventisei ore dopo ci ritroviamo all'aeroporto di Lihue. Baggage Claim. Ci sono borse e valige di ogni foggia e colore, ma non una borsa sportiva nera e arancione. Il bagaglio si è perso da qualche parte nel mondo.
Andiamo all'ufficio bagagli, Ci dispiace, il bagaglio ve lo recapitiamo a casa domani. Ti viene da chiederti dove diavolo sia la sicurezza. Cioè, andando negli Stati Uniti bisogna fare almeno un paio di screening al bagaglio a mano e alla persona (togliere scarpe, cinture, orologi e passare in una porta magica) per ogni aeroporto. Bisogna anche fare il re-check del bagaglio (il nostro era già perso a LosAngeles), cioè, anche se il bagaglio è diretto a destinazione ultima, bisogna riconoscerlo e prendersi la responsabilità del contenuto. Ogni tre per due una vocina metallica ripete di non lasciare nessun bagaglio incustodito, pena la distruzione istantanea.
Però finisce che uno sta in un posto e il suo bagaglio in un altro, a decine di migliaia di chilometri di distanza. Alla faccia della sicurezza!

Il bagaglio poi arriverà tre giorni dopo il nostro arrivo (ovviamente ci toccherà andare a WalMart per comprare lo stretto necessario). Ma non ci facciamo rovinare le vacanze da questo. è una calda serata tropicale, l'aria è speziata e umida e risuona di una soffice musica di ukulele.
Aloha!

lunedì 10 ottobre 2011

Quattro


10/10/2007

giovedì 1 settembre 2011

Contratto a progetto/Partita IVA

Tempo di cambiar lavoro. Provate a sfogliare gli annunci sui siti specializzati, e noterete che la formula "Contratto a Progetto/Partita IVA" e' molto comune, nelle offerte di lavoro.
Il Contratto a Progetto e l'impiego con partita IVA sono due forme di rapporto lavorativo che hanno un loro senso di esistere.

Il contratto a Progetto regola una prestazione di lavoro a tempo determinato. Si sa gia' quale deve essere il lavoro da svolgere (il progetto) e quali siano i suoi limiti temporali, per cui si assume una persona limitatamente finalizzata a quella esigenza. Non c'e' nessun indizio che faccia presupporre una eventuale proroga quel lasso di tempo tramite un rinnovo del contratto oppure con la proposta di un rapporto regolato da una tipologia contrattuale diversa.
Un problema e' che nel mio campo (Informatica) spesso e' difficile determinare con esattezza i limiti temporali di un progetto, non tanto per la pur reale difficolta' a misurare il tempo necessario in questo tipo di attivita', quanto piuttosto perche' il progetto non e' mai ben definito, in quanto il datore di lavoro non ha le idee chiare su cio' che vuole, ciononostante deve determinare i tempi e i costi per realizzarlo.
Intendiamoci: non e' che si tratta (sempre) di stupidi. E' che "avere le idee chiare" significa definire esattamente e scrupolosamente che cosa deve fare un determinato prodotto software e come lo deve fare. Se questa definizione (che noi informatici ci vezziamo a chiamare specifiche) e' ben formulata, il compito dell'informatico e' banale e veloce. Quel che voglio dire e' che il tempo di realizzazione di un prodotto software e' determinato in larghissima misura dalla definizione puntuale di cio' che quel prodotto deve eseguire, mentre la stesura del codice in se' e' soltanto una minima parte del lavoro. E' piuttosto evidente che le cose stanno cosi' se si pensa a che cos'e' un programma. Essenzialmente e' la stesura, in un determinato linguaggio, di un algoritmo, ovvero della descrizione precisa di quello che il programma deve fare, e di come lo deve fare. Del resto cos'e' un computer se non uno stupido aggeggio che fa esattamente cio' che gli si chiede?
Per fare un paragone, e' un po' come la traduzione di un discorso. Una volta che il discorso e' pronunciato, per l'interprete e' un gioco da ragazzi tradurlo, tanto che i traduttori simultanei lo fanno in tempo zero (mi perdonino gli interpreti, so che la faccenda non e' cosi' semplice). Cosa piu' complessa e' la stesura del discorso, che invece comporta delle decisioni e delle invenzioni per la formulazione dei significati.
Quindi, nel caso dell'Informatica, non ha molto senso un contratto a progetto, perche' se la definizione del problema e' abbastanza articolata (e non lo e' mai), tradurla in programma e' cosa facile e veloce, se invece non lo e', il lavoro dell'analista/programmatore richiede un'indagine e una stesura delle specifiche, il che non e' quantificabile (per quanto piu' interessante). Un po' come chiedere al cuoco quanto ci impiega per cucinare un piatto, senza specificare quale sia il piatto. La risposta potrebbe variare tra il mezzo minuto e il paio di settimane.

Eppure, sulla Rete, si trovano un sacco di inserzioni che offrono contratti di lavoro a progetto per informatici. Quello che viene da pensare e' che il mondo sia pieno di progetti gia' ben definiti, e il lavoro da svolgere e' quindi banale e dequalificante (se il problema e' solo quello di scrivere codice, bisogna concludere che si tratta di progetti immensi).

L'impiego "a partita IVA" invece e' cosa totalmente diversa. Opposta, direi. La partita IVA e' un meccanismo per sottoporsi al Fisco se si lavora in autonomia (sono un po' evasivo perche' di 'ste scartoffie non ci capisco una fava). Quindi questo tipo di impiego fa riferimento ad un'impresa individuale per la produzione e vendita del software. Personalmente non credo che mi ci troverei bene, perche' se da un lato mi reputo molto bravo a progettare e scrivere software, dall'altro so che sarei una frana nel mestiere di venderlo, in quello di trovare, convincere e mantenere clienti e sarei un totale disastro nel gestire la burocrazia (gia' ora, ogni volta che devo solo compilare il 730 mi viene l'ulcera!). Pur essendo bravo a fare software, finirei per dedicare la maggior parte del mio tempo e delle mie energie in attivita' totalmente diverse, nelle quali non mi sento portato ne' interessato.

Nemmeno le inserzioni che offrono "contratto a Partita IVA" hanno quindi molto senso. Tanto per cominciare se uno ha la partita IVA non e' che ha un contratto lavorativo presso una azienda. Al piu' stipula un contratto per la prestazione di un lavoro o per la vendita di un prodotto. Non ha senso che uno che ha un'impresa individuale lavori di fatto subordinato ad una azienda. Inoltre ci sarebbe un enorme spreco di risorse, perche' il programmatore puo' impiegare solo una parte del suo tempo a focalizzarsi sul proprio lavoro.

Il fatto e' che le offerte di lavoro che propongono "Contratto a Progetto/Partita IVA" in realta' ricercano lavoratori per prestazioni di lavoro piu' o meno continuative, simulando la richiesta di prestazioni definite e limitate nel tempo oppure fornite da parte di aziende autonome, per eludere il fisco e l'articolo 18. Finendo, oltretutto, per snaturare il lavoro dell'informatico (oltre che, scommetto, di molte altre tipologie professionali). A prescindere dal giudizio etico che uno vuol dare a questi bassi trucchi, mi pare che sia una perdita considerevole per l'azienda, che forse riesce si' a risolvere l'esigenza, ma senza detenerne il know-how della soluzione.

Il che ci puo' anche stare. Cioe', posso immaginare che una azienda non sia interessata a fare propria la conscienza, ma solo a risolvere il problema contingente. Come quello che compra un chilo di pane senza riporre alcun interesse nell'arte della panificazione. Ma, se uno vuole un chilo di pane, mi pare insensato che metta un annuncio in cui richieda la prestazione occasionale del lavoro di un fornaio, definendone i limiti e la retribuzione. Mi pare piu' saggio che si rivolga invece ad una panetteria, che si occupa di produrre e vendere il pane in autonomia.

A questo scopo, per gli informatici, ci sono le agenzie di consulenza. Una azienda che ha bisogno di un prodotto, servizio o prestazione software, si rivolge ad una di queste agenzie (il panettiere), dotata di ufficio vendite, marketing, segretarie e ragionieri... e di uno staff di informatici per l'analisi e la definizione del progetto e per l'implementazione del software.
Ecco. Credo che anche una realta' del genere non mi sia troppo congeniale, perche' io tendo a rendere molto quando c'e' un problema complesso piuttosto che quando c'e' una gran quantita' di roba facile. Insomma, prediligo la qualita' alla quantita', e la qualita' e' molto piu' difficile da monetizzare, se presuppone una invenzione innovativa; percio' e' piu' probabile trovarla in una azienda (se non in un istituto di ricerca, ma questa e' utopia!) che investa in know-how.
Pero', vabbe', non sputerei sopra nemmeno a questo tipo di realta', dovesse capitare.
Il fatto e' che poi, se l'agenzia di consulenza, a sua volta, utilizza lavoratori tramite contratti a Progetto o Partita IVA, siamo ancora daccapo. Mi pare che, come al solito, a rimetterci, sia soltanto il lavoratore. In buona sostanza l'azienda paga la prestazione di lavoro all'agenzia, ma solo una parte di quel denaro finisce al lavoratore. Sarebbe accettabile se ci fosse una contropartita, se l'agenzia si occupasse cioe' di dare stabilmente lavoro al lavoratore.

L'altro giorno sono andato a fare un colloquio presso una societa' di consulenza, dove sono stato trattato a pesci in faccia.
Arrivo un po' in anticipo e, dopo qualche minuto, una giovane donna, molto gentile, carina e un po' impacciata, attacca a farmi le solite domande che si fanno ai colloqui, cioe' sostanzialmente approfondimenti a quanto c'e' gia' scritto nel curriculum, gia' in loro possesso. Completava il dialogo il solito test psicominchione, tipo "mi dica tre suoi pregi e tre difetti". Domanda alla quale tendo a trovare difficolta', non tanto per mancanza di autocritica, quanto piuttosto per un senso di pudore. Comunque una piacevole conversazione con una persona simpatica, nonostante quei goffi tentativi di non sorridere per mantenere un'aria il piu' possibile professionale e distaccata.
Alla fine, la giovane donna, in tutto il suo candore, si rivela. "In realta', dottor C, lei avrebbe dovuto sostenere questo colloquio con l'ingegner X, che purtroppo e' impossibilitato a causa di un altro impegno". Notando la mia aria perplessa, si affretta ad aggiungere "ma non c'e' nessun problema, ora lo chiamiamo e continuiamo il colloquio al telefono"...
"Devo aggiungere un quarto difetto:" dico, dopo aver assimilato la sorpresa "ho un rapporto piuttosto negativo con il telefono!" (cosa che, per altro, corrisponde a verita'). La mia battuta viene totalmente ignorata dalla giovane donna che mi sta di fronte, che, a questo punto e' evidente, sta solo recitando un copione. In cuor mio penso all'inutilita' di essermi sorbito un paio d'ore di traffico per recarmi al colloquio e di dovermene sorbire altrettante per tornare a casa, quando poi il colloquio doveva essere telefonico.
Va be', mentre la giovane donna rimane seduta immobile e muta di fronte a me io parlo nel suo iPhone con l'ingegner X. Inizio molte delle risposte con la formula "Come dicevo alla sua collega", rivelando un poco di fastidio per la situazione che si e' venuta a creare.
Morale, le domande cruciali e significative di questa fase riguardano la mia richiesta retributiva ed il periodo di preavviso. Al primo argomento rispondo che dipende molto da quale sia il lavoro che mi viene offerto (cosa che non e' stata rivelata, ne' lo sara' dopo). E comunque deve essere molto superiore alla mia attuale retribuzione, visto che si tratta appunto di contratto a progetto che non assicura alcun futuro. E non so quantificare, perche' mi aspetto che in una collaborazione del genere ci sia un'offerta da parte loro. Per quanto riguarda il preavviso, si tratta di 90 giorni teorici, contrattabili. L'ingegnere mi chiede se sono disposto a pagare la penale per liberarmi il prima possibile. La risposta a quest'ultima domanda e' che evidentemente sono disposto a pagare la penale se mi viene assicurata una retribuzione tale da consentirmi di coprire la spesa che devo sostenere per pagarla. Non provo nemmeno ad azzardare, come motivazione etica che preferirei evitare di lasciare le cose che sto facendo a meta'.
L'ingegner X conclude quindi che non ci sono basi per dialogare, visto che io non sono in grado di dirgli quanto voglio ne' quando mi libero, e, senza queste informazioni, lui non ha modo di contrattare con il suo cliente. Insomma, lui vuole avere il controllo del mio lavoro per poter vendere al meglio la mia prestazione al cliente, salvo poi avere la possibilita' di cacciarmi a calci in culo, dopo aver munto la vacca. Questo in soldoni.

"Mi dispiace di averle fatto perdere tempo" non mi resta che concludere all'ingegner X, per evitare ulteriori crampi testicolari.
Mi rifaccio poi con la giovane donna a cui espongo tutto il mio disappunto, dopodiche' mi congedo sfoderando un ossimorico sorriso con "E' stata un'esperienza davvero umiliante, ma mi ha fatto piacere conoscerla", tanto per ovviare al suo palese imbarazzo.

sabato 27 agosto 2011

L'hai voluta la bicicletta?....

Accidenti! - mi chiedevo qualche tempo fa - ma perche', per andare al lavoro, giorno dopo giorno, devo per forza inquinare e sprecare soldi e risorse in carburante, finanziare multinazionali del petrolio e signori della guerra, guidando senza nemmeno divertirmi?
Mi piace guidare, ma quando c'e' un viaggio da fare! L'aspetto positivo di questa attivita' e' legato all'esigenza di evadere dalla quotidianita'. Il tragitto casa-lavoro invece e' sempre quello, e addirittura risulta fastidioso dover prestare attenzione alla guida. Nel mio caso, poi, sarebbe davvero piu' bello farsi rapire dal fascino bucolico del bosco di castagni piuttosto che concentrarsi sulle strade strette e sui tornanti a gomito.

Ci sarebbe l'autobus. Ma per me e' scomodo, perche' ha degli orari difficilmente conciliabili con il mio orario lavorativo. Certo non posso biasimarli: la linea e' pensata per servire un centro abitato piccolissimo. Insomma, e' un servizio preziosissimo in caso di emergenza, ma davvero improponibile per la quotidianita'.

Quando stavo a Torino, e anche prima, quando facevo il pendolare in treno tra la provincia e la citta' di Milano (in quel caso il problema era coprire il tragitto tra casa e la stazione), usavo la bici. E mi piaceva! E' un mezzo silenzioso, efficiente, veloce, pratico. E soprattutto mi piaceva il tipo di attivita' fisica.
Io non sono un tipo sportivo. Non mi piacciono gli sport fini a se stessi. Penso che sia assurdo sprecare risorse (soldi, energie, tempo) in comodita' per rendersi la vita sedentaria, salvo poi sprecarne ancora (per esempio in palestra) per rimediare agli inconvenienti causati proprio da quello stile di vita. Piuttosto e' meglio utilizzare le nostre

Profilo altimetrico del tragitto casa-lavoro, rilevato con il GPS
energie per farle risparmiare al mondo e a noi stessi dopo. La bici, da questo punto di vista e' perfetta, se compatibile con il tragitto da coprire. A Torino, ad esempio, mi ero studiato un percorso di circa 15 km (allungando un po' il tragitto) che tagliava in mezzo un parco cittadino e rimaneva per lo piu' sulle alzaie del Po, della Dora e di un canale di servizio (dovevo fare i conti col traffico solo in pochi punti).

Dove abito adesso invece c'e' un grosso problema. Il tragitto tra casa e il posto di lavoro e' esattamente 10km. Non molto, ma casa si trova ad un'altitudine di cinquecento metri in piu'. Mediamente quindi la pendenza e' del 5%. Naturalmente, quel 5% poi non e' costante, e in alcuni tratti la pendenza tocca il 10%. Alla pagina qui linkata c'e' il profilo altimetrico del percorso. Rispetto al grafico, casa mia e' circa al km 5. Il tratto da percorrere comincia quindi 5km prima dell'inizio del grafico e ne ha una pendenza simile.
Quella salita non e' impossibile. Anzi, la puntuale documentazione nel sito www.salite.ch, dedicato ai ciclisti "scalatori" dimostra che si tratta di un classico nel suo genere. E se ne incontrano a mazzi, soprattutto nel weekend, con le loro bici ipertecnologiche, le tutine aderenti con pacco in vista e gambe depilate. Tutti grondanti di orgoglioso sudore nonostante i polpacci con una circonferenza paragonabile al mio ventre (e non e' poco!), ma con una tonicita' ben diversa. Quelli ce la fanno, certo. Ma credo che anche a loro manco passerebbe per la testa di farsela tutti i giorni per tornare a casa dopo il lavoro.
Ed io, come dicevo sopra, non e' che sia un tipo molto atletico!
Ma va', lascia stare! La bici non e' proprio cosa!

...a meno che...

...a meno che non ci sia qualcuno che ti da' una spintarella mentre pedali.

Ecco l'idea!
Mi sono fatto, a riguardo, una cultura su Internet e presso i negozi specializzati.
Alla fine mi sono rivolto a "Punto Fotovoltaico" di Galbiate (LC), concessionario anche del marchio collegato "Ecoveicoli" (che, come facilmente intuibile dal nome, commercializza veicoli ecologici), e l'ho comprata.
Si tratta di una bicicletta elettrica a pedalata assistita.

Va be' "elettrica" - mi si dira' - ma che cavolo vuol dire "pedalata assistita"?

C'e' una normativa precisa a riguardo che consente ad un mezzo del genere di essere omologato al pari di una comune bicicletta (quindi niente bollo ne' assicurazione RC ne' casco ne' patente).
(...) sono altresi' considerati velocipedi le biciclette a pedalata assistita, dotate di un motore ausiliario elettrico avente potenza nominale continua massima di 0,25 KW la cui alimentazione e' progressivamente ridotta ed infine interrotta quando il veicolo raggiunge i 25 km/h o prima se il ciclista smette di pedalare.
Gazzetta Ufficiale N. 31 del 7 Febbraio 2003
Praticamente c'e' un motore elettrico che aiuta a spingere il veicolo solo quando i pedali sono in movimento. Il motore smette di spingere se non si pedala e, ovviamente, se si frena. La spinta e' inversamente proporzionale alla velocita' della pedalata fino al raggiungimento di 25km/h, quando si annulla. Ho l'impressione (ma non ne sono sicuro) che la velocita' e' calcolata sulla rotazione dei pedali, e non su quella della ruota, il che non e' la stessa cosa, perche' dipende dal cambio (a parita' di velocita' il motore sembra spingere di piu' con una marcia alta).

La mia bici, ritratta nella foto, e' una Dinghi Special 24", con l'allestimento "Export".
Ho meditato a lungo l'acquisto. La mia indecisione si basava sull'esigenza di una conferma che questo mezzo mi consentisse di superare, piu' o meno agevolmente, la salita che ho descritto sopra. Non ero affatto convinto che ce la potesse fare.
Alla fine il tipo del negozio mi ha aiutato a superare il dilemma, consentendomi una prova. Un sabato mattina lui ed io abbiamo inforcato i due modelli candidati e siamo andati a fare un lungo giro (per la verita' con una pendenza un po' meno "cattiva" e una distanza di circa la meta').
La differenza tra i due modelli sta nell'allestimento "Export". A parte qualche tocco estetico e l'ammortizzatore sulla forcella (utile ma non determinante) l'improvement che giustifica i 450 euro in piu' dell'equipaggiamento piu' costoso consiste nella batteria agli ioni di litio anziche' al piombo.
Oltre al vantaggio in termini ecologici della batteria al litio, durante la prova ho potuto constatare che il minor peso totale bici+batteria (gia' considerevole sul modello Export) e soprattutto una maggiore immediatezza nell'erogazione della piena potenza poteva davvero costituire l'elemento determinante della mia scelta, considerata la criticita' del tracciato.

Ho gia' percorso quattro volte il tragitto casa-lavoro e ritorno.
L'andata, naturalmente, e' facilissima. Ci impiego piu' o meno nello stesso tempo che impiegherei in auto. Il il motore lo lascio sempre spento ma non faccio quasi nessuna fatica (la strada presenta solo due salite quasi pianeggianti e molto brevi). Arrivo al lavoro riposato e rinfrescato dall'aria frizzante del mattino. Unica pecca: non posso ascoltare il GR di Popolare Network (guaio a cui penso di porre rimedio con una radiolina).
Il ritorno invece e' abbastanza impegnativo. Soprattutto in questo periodo, piuttosto torrido a quell'ora anche da noi in montagna. Le salite sono dure nonostante l'aiuto del motore. Ma la fatica e' sopportabile. Ci impiego circa quaranta minuti (meno del doppio dell'automobile).

Insomma, sono soddisfatto dell'acquisto. Ma qualche critica ce l'ho:
- La bici, quando il motore e' acceso, ha una spia verde che diventa rossa quando la batteria e' quasi scarica. Purtroppo la "riserva" mi concede solo un paio di chilometri in salita. Per cui, per non rischiare di rimanere a piedi, la ricarico ogni volta, il che e' sconsigliato se si vuole dare alla batteria una lunga vita (l'ottimo e' caricarla solo quando e' completamente scarica). Sarebbe stato meglio un sistema un po' piu' complesso, come quello presente nel modello superiore ("Frisbee"), dove lo stato di carica della batteria e' visualizzato in dettaglio da un potenziometro a led. In quel caso, forse, avrei potuto arrischiarmi a fare due tragitti con una sola carica (*).
- Dinghi Special 24" e' dotata di un cambio con deragliatore posteriore a sei rapporti (da 42/13 a 42/34). In alcuni punti del tragitto, la salita richiederebbe un rapporto ancora piu' corto, come nella Frisbee.
- In discesa, data la pendenza, il peso del mezzo (e del ciclista), bisogna tenere il freno quasi sempre tirato. Viene da rimpiangere lo spreco di energia. Non si sarebbe potuto avere un sistema di recupero per ricaricare la batteria?

La bici costa di listino 1321 euro, ma l'ho portata via a 1200, piu' 15 euro per il cestello. L'ho poi "adornata" con un aggeggio che misura velocita' e distanza percorsa (23 euro da Decathlon). Mi sono comprato anche un caschetto (16 euro), che non e' obbligatorio, ma opportuno.

(*): La casa dichiara che una carica regge 80km in piano o 40 in salita. E' una misura puramente ipotetica, perche' ovviamente dipende da molti fattori, tra cui la pendenza della salita, il peso del ciclista e la forza che ci mette a pedalare (e quindi la velocita' di marcia).

mercoledì 27 luglio 2011

Borghezio

Ieri ho sentito che la Lega si scusa con la Norvegia per le parole di Borghezio.
Francamente mi aspettavo che l'Italia intera se ne scusasse, visto che Borghezio l'abbiamo eletto noi.......

...che vergogna...

lunedì 25 luglio 2011

La questione morale

A tutti, o almeno a me, piace aver ragione, e piace che la ragione venga riconosciuta, quando si hanno opinioni differenti.

Personalmente mi piace di piu' quando questa ammissione capiti subito dopo, o addirittura durante la discussione che abbia generato la divergenza di opinioni, ma cio' non sempre puo' avvenire, perche' tale situazione presuppone la constatazione di una verita', che magari non e' ancora disponibile, accettata da entrambe le parti. Il che, naturalmente, e' possibile solo se c'e' onesta' intellettuale, poiche' quella verita' deve appunto essere esplicitamente accettata.
Ad esempio entrando in una gelateria con un amico posso dire "mmh... il gelato al Puffo fa schifo", mentre lui puo' ribattere che invece e' buono. Potremmo prendere un cono al Puffo ed assaggiarlo. Il mio amico dovrebbe a quel punto cambiare idea e concordare con me che quel gusto e' una schifezza. Ma potrebbe anche capitare che si impunti e continui a sostenere la bonta' di quel gelato, nonostante abbia constatato che effittivamente di schifezza trattasi. In questo esempio il mio amico avrebbe buon gioco ad agire cosi', poiche' il sapore di un gelato non ha valore assoluto (se cosi' fosse il gelato al Puffo non piacerebbe a nessuno e sparirebbe una volta per tutte dalla faccia della terra). Ma ci sono altri argomenti che sono piu' oggettivi e negarne l'evidenza assumerebbe toni meno sostenibili. Ad esempio potrei affermare che in quella gelateria sono disonesti perche' le ragazze che ti servono (sto pensando ad una gelateria in particolare, dove sono tutte ragazze a servire) non rilasciano lo scontrino fiscale. Potremmo prenderci il gelato e, alla cassa, constatare che in effetti non lo rilasciano. A quel punto il mio amico potrebbe ancora negare l'evidenza. "Mmh... magari si e' dimenticata, ma di solito lo fa"... "forse ha finito proprio adesso il rotolino del registratore di cassa"... "Potrebbe essere che sia stata ingannata da quel programma di scherzi radiofonici in cui annunciavano l'abolizione della legge sullo scontrino obbligatorio"... "Le hai visto il dito indice? Deve essersi rotta una falange e quindi non poteva battere i tasti, poverina!". Credo che con una buona dose di fantasia qualunque affermazione falsa potrebbe rientrare nella sfera del plausibile, per quanto improbabile.

A me piace di piu', dicevo, che la ragione mi venga concessa subito. Non sono un gran fan del telavevodetto, per intenderci. Anzi, in genere preferisco, a posteriori, metterci una pietra sopra e far passare tutto sotto silenzio, se mi rendo conto che l'interlocutore prenda atto di aver avuto torto. Se e' onesto e' inutile infierire. Se e' invece uno che mai ammetterebbe la sconfitta, farglielo notare lo allontanerebbe comunque dalla verita'. E ci sarebbe una nuova sofferta quanto inutile discussione. La mia consapevolezza di aver ragione non dipende dalla sua umiliazione.

Okay, anche io stesso sono testone, e ammettere di avere torto mi fa imbestialire. Ma questo post non e' certo per autocelebrare la mia millantanta onesta' intellettuale.

C'e' anche un altro scenario.
Il contendente che ha torto puo' gia' essere consapevole fin dall'inizio di sostenere un argomento fallace, ma per una convenienza di qualche tipo, potrebbe comunque sostenere quella posizione.
Evidentemente questa persona rifiutera' qualunque argomentazione gli venisse presentata sotto gli occhi, perche' paleserebbe una sconfitta totale anche nel metodo. Questa posizione implica dolo, e quindi negarla non e' solo una questione di orgoglio, ma anche una difesa della propria onesta'. L'ammissione di un errore fatto in buona fede, la giudicherei cosa nobile. L'ammissione di un errore consapevole invece mi farebbe concludere che di quella persona non mi sarei dovuto fidare, e quindi non mi ci dovro' fidare in futuro, dovesse ricapitarne l'occasione.

Quando in politica parlano di "questione morlale" sono fondamentalmente questi gli argomenti che mi balzano in testa.

Io non ho alcun interesse a sfoderare un telavevodetto, ma era ancora l'aprile 2010 quando io, da semplice elettore (forse piu' attento di alcuni ma sicuramente meno attento di molti altri) dichiaravo i miei forti sospetti su Filippo Penati, allora come candidato perdente alle regionali in Lombardia.
Non e' che voglia fare del giustizialismo eh! Secondo me finche' non ne viene dimostrata senza ombra di dubbio la colpevolezza, nessuno deve pagare.

Ma dare un ruolo politico a Penati sostenendo che non esista una prova della sua disonesta' mi pare un po' come sostenere che la ragazza della gelateria non rilasci lo scontrino fiscale perche' ha una falange rotta.

mercoledì 22 giugno 2011

Sacchi gialli

Lunedi' ho scritto la mail che riporto qui sotto (opportunamente modificata per questioni di privacy), indirizzandola all'indirizzo generico del comune, all'Ufficio Relazioni con il Pubblico e all'Ufficio Tributi. Non ho ancora ricevuto risposta a riguardo, e mi sa che non ne ricevero' alcuna.
Il problema che segnalo si e' gia' presentato l'anno scorso (con una giunta comunale diversa), e quindi la protesta e' gia' stata comuniata agli impiegati del comune. In quella occasione ho rotto talmente tanto le scatole che alla fine mi hanno consentito di non pagare. Quest'anno ho deciso che non ho altrettanto tempo ed energie da perdere. Se non ricevero' risposta a questa mail, andro' diligentemente a pagare entro i termini previsti.

Buongiorno.
Mi chiamo Dario Xxx e sono cittadino di Yyy.
Vi scrivo in relazione al bollettino che ho ricevuto in cui si specifica che debbo pagare il tributo descritto con "Conguaglio/Bollettazione sacchi RSU Anno 2010".
La spesa che devo sostenere non e' esosa (20 euro), ma e' la logica che vi sta sotto che e' particolarmente irritante, dal mio punto di vista. Faccio riferimento all'avviso che ha per oggetto "Raccolta dei rifiuti solidi urbani - ANNO 2010 - Acquisto sacchi trasparenti RSU", prot. n. 5974/2010. (*)
Ho anche chiesto delucidazioni al personale negli uffici del municipio e mi e' stato spiegato che il problema e' che non ho comprato una sufficiente quantita' di sacchi gialli per la raccolta dell'indifferenziato (**).

Il problema dell'immondizia, del suo recupero e della raccolta differenziata mi sta particolarmente a cuore.
Siccome mia moglie ed io ci consideriamo in dovere di comportarci nel modo piu' compatibile possibile con le pratiche ambientali, cerchiamo di rivolgere tutte le nostre attenzioni nella direzione della limitazione della produzione dei rifiuti, in particolare di quelli non riciclabili.

Prediligiamo i prodotti senza o con pochi imballaggi, e rivolgiamo le nostre scelte su quelli che consentono un maggiore riciclo. Questa pratica ha modificato sensibilmente le nostre scelte di consumo, molte volte in senso sconveniente dal punto di vista economico. I risultati da quello ecologico, sono nondimeno evidenti. Produciamo pochissimi rifiuti riciclabili, e una quantita' irrisoria di indifferenziato. Per il servizio di raccolta di quest'ultimo prediligiamo i sacchi gialli grandi (quelli da 110 litri) perche' in tale modo vi e' un minore spreco di plastica per produrli a parita' di quantita' di rifiuto.
La conseguenza e' che riusciamo a riempire un numero bassissimo di sacchi gialli (grosso modo uno ogni tre mesi - ma questo numero e' variabile). In tale modo ci pare che vi sia anche un vantaggio dal punto di vista del trasporto: se tutti facessero come noi, la raccolta porta-porta potrebbe essere effettuata solo una volta ogni tre mesi, anziche' tutte le settimane, con conseguente risparmio di risorse inquinanti per i mezzi adibiti a questo servizio.

Ci pare che questa pratica non solo risulti piu' ecocompatibile, ma che risparmi potenzialmente una gran quantita' di risorse ai servizi del comune. Se applicata in grande scala ridurrebbe il costo della raccolta porta-porta e anche quello per lo smaltimento dei rifiuti riciclabili alla discarica.

Inoltre siamo molto attenti anche ai rifiuti umidi. La maggior parte li raccolgliamo nella compostiera che abbiamo installato (a nostre spese) in giardino, delegandone alla raccolta porta-porta solo una minima quantita'.

Ebbene, un comportamento del genere ci pare che debba essere considerato virtuoso, e dovrebbe essere incentivato da parte del Comune, non certo punito.

E invece sembrerebbe che le regole del Comune richiedano al cittadino una quantita' minima di rifiuti: bisogna riempire un certo numero di sacchi gialli, altrimenti c'e' da pagare una penale.

Io trovo che questo sistema sia incivile.

Grazie anticipatamente per qualunque tipo di delucidazione mi possiate dare in merito.

Cordiali saluti
Dario Xxx.

(*) L'avviso comunica che entro il 31 dicembre 2010 era consentito acquistare un numero sufficiente di sacchi gialli (il numero di sacchi e' diverso a seconda della pezzatura dei sacchi - per quelli da 110 litri il numero minimo e' 10). Se non si e' provveduto all'acquisto, bisogna comunque pagarne il prezzo entro il 30 giugno, senza pero' ottenerne la consegna.
(**) Nel comune Yyy la raccolta dei rifiuti riciclabili viene effettuata nel centro di raccolta, aperto al sabato tutto il giorno, al martedi' e al giovedi' mezza giornata. La raccolta dell'umido e dell'indifferenziato viene effettuata al lunedi' mattina con un servizio porta-porta; l'umido deve essere raccolto nell'apposito secchiello verde, l'indifferenziato in sacchi gialli trasparenti su cui vi e' stampato il logo ufficiale del comune di Yyy. I sacchi gialli vengono venduti negli uffici del municipio. Sono disponibili in diverse dimensioni. Hanno un prezzo decisamente molto alto se confrontati ai normali sacchi di plastica per immondizia di analoga fattura comunemente venduti nei supermercati. Il loro prezzo e' giustificato dalla modalita' di pagamento della tassa sulla nettezza urbana: non si paga infatti una tassa fissa e il tributo viene esatto tramite la vendita dei sacchi stessi. La logica e' che piu' rifiuti indifferenziati si producono, piu' sacchi ci vogliono per contenerli, piu' si paga per acquistarli.

mercoledì 18 maggio 2011

Il dopo-voto al bar sport

Dunque sono proprio felice per come sono andate le amministrative (anche se, per scaramanzia, sarebbe meglio aspettare fino a dopo il ballottaggio).

Anche se i commenti al voto mi sembrano sempre piuttosto vani, tanto piu' se provengono dall'ultimo pirla quale io sono, ci sono delle considerazioni che mi sono venute spontanee subito dopo aver ascoltato i risultati: queste considerazioni poi le ho ritrovate nel TG di Mineo, quando il direttore citava qualcuno (non ricordo piu' chi) del PdL. Quel politico la presentava come una critica alla sinistra, mentre a me pare invece cosa sorprendentemente positiva.
Quello che mi e' apparso, nel contesto dei voti di sinistra, e' che ci sono state tre tendenze, tutte riconducibili ad una.
1) Anche dove i candidati, i partiti, le coalizioni di sinistra hanno vinto o stravinto, il movimento Cinquestelle ha spesso ottenuto ottimi risultati. Emblematico il caso di Bologna.
2) In alcuni casi candidati che rappresentano il nuovo corso, che io avrei votato per la loro (almeno ai miei occhi) onesta' intellettuale, hanno avuto ottimi risultati, superando i "classici" candidati della sinistra. Questo e' il caso di Napoli.
3) A Milano, il candidato di Sinistra ha vinto contro ogni pronostico, nonostante (e secondo me proprio per questo) fosse quello che ha spiantato il candidato che, alle primarie, era appoggiato dalla dirigenza del PD.

Per la verita' c'e', tra le citta' importanti, il caso di Torino, dove non mi aspettavo per niente che Fassino, prototipo del vecchio mai riciclato, vincesse. Sono contento di essermi sbagliato, in questo caso. Anche se Fassino continua a non piacermi per niente.

Secondo me la considerazione che si puo' fare a riguardo e' che la vittoria, in queste amministrative, e' del popolo sinistra, e non della dirigenza del PD.
Sempre al TG di Mineo ho sentito Civati intervistato, che proponeva di dialogare con i movimenti Cinquestelle. Secondo me e' impossibile farlo, perche' non c'e' un vero soggetto con cui dialogare (che si fa? Si racconta barzellette insieme a Beppe Grillo?). Pero' quello che si puo' fare e' cercare di interpretare la disillusione verso il PD del popolo della sinistra, visto che e' proprio questa la fetta di elettorato che vota Cinquestelle. I movimenti Cinquestelle vogliono (o, quanto meno dichiarano di volere) riportare le esigenze del cittadino nei ruoli politici che in una democrazia gli dovrebbero competere. E questa e' l'unica cosa che condivido con i Grillini. La politica (sia quella di destra sia quella di sinistra) non rappresenta piu' le mie esigenze, il che, secondo me, e' proprio quello che si vuole dire votando i Grillini.
Quel che voglio dire e' che non e' che il PD debba dialogare con Grillo, ma che debba cercare di personificare le esigenze degli elettori di sinistra, in modo che questi non disperdano i voti, ma li convoglino nel PD. E non perche' questo porterebbe piu' voti al PD, ma perche' e' giusto che l'elettore di sinistra venga rappresentato da un partito di sinistra. Un partito vero con dei politici veri, intendo, non un teatrino di cabaret con un comico che racconta barzellette.

Pisapia secondo me ha vinto (tie' tie' tie'... tutti gli scongiuri possibili) perche' ha saputo far proprie le esigenze dei cittadini milanesi. Credo che Boeri non l'avrebbe saputo fare. Sicuramente la Moratti ha ampiamente dimostrato di non esserne per niente capace.

Napoli ha bisogno di una svolta, che non venga ne' del fallimentare governo della sinistra, ne' dell'incapacita' dell'intervento di destra, ma da qualcuno che si dimostri capace di rimboccarsi le maniche e aiutare a pulire la spazzatura.

sabato 14 maggio 2011

Voto utile?

Premetto che io non vado a votare perche' non mi tocca. A questo giro non si vota ne' nel mio comune, ne' nella mia provincia ne' nella mia regione.

Il mio disappunto nasce dalla lettura di alcuni blog. Alcuni convinti elettori di Sinistra, che votano il PD, se la prendono duramente con altri elettori che, pur riconoscendosi nei valori della Sinistra, decidono di non votare. O, peggio, di votare le liste Cinquestelle di Grillo.

Io penso che decidere di non votare sia profondamente sbagliato. Se questa volta fossi chiamato alle urne, voterei anch'io, come ho sempre fatto. Il diritto di voto ha un senso solo se lo si esercita a prescindere. Teorizzare il non voto equivale a teorizzare la rinuncia al diritto di voto.
Penso anche che votare la lista di Grillo sia sbagliato, perche' Grillo non rappresenta una vera proposta politica, ma una protesta sociale contro la politica stessa: e' quindi un autoriferimento contraddittorio. Il fine della Politica, credo, dovrebbe essere quello di costruire qualcosa, non semplicemente smontare cio' che altri hanno costruito.
Ma il motivo principale per cui sostengo che votare Grillo, non votare o votare altre liste minori sia un errore, e' che l'urgenza, adesso, e' di salvare la democrazia messa in pericolo dagli sporchi interessi personali di Berlusconi.

Detto questo, pero', aggiungo che mi pare che i motivi per cui i voti della sinistra non confluiscono, come ci si aspetterebbe, nel PD non possano ricondursi semplicemente nell'appeal mediatico (se di cio' si puo' parlare) di Grillo - o nella pigrizia degli elettori che non vanno a votare.
E mi sembra che non si tratti nemmeno di intransigenza, di rifiuto di accettare qualunque compromesso, da parte degli elettori. Casomai si puo' accusare certi partitini, numericamente insignificanti, di voler fare i "duri e puri", ma non certo la massa degli elettori che vorrebbe invece vincere e vedere, una buona volta, un vero governo di sinistra. O, almeno, un governo degno di questo nome.
Se fossi chiamato al voto, io voterei il PD, come dicevo, indipendentemente dal fatto che il PD rappresenti i miei valori politici. La cosa piu' urgente da fare, oggi, e' di sconfiggere Berlusconi, prima che sia troppo tardi (se non lo e' gia').

Io voterei PD, ma sia chiaro che non rappresenta affatto i miei valori.
Il problema e' proprio quello, secondo me.
Il popolo di sinistra non si sente rappresentato dal PD. E fondamentalmente e' per questo che (a mio giudizio, sbagliando) non lo vota.
Evidentemente il popolo di sinistra che non vota il PD (disperdendo il voto in Grillo, partiti minori o astensionismo) finisce per tirarsi la zappa sui piedi, perche' in quel modo contribuisce alla vittoria di Berlusconi, il che e' certo cio' che non vuole. Ed e' per questo che dico che bisogna votare PD a prescindere.

Ma accusare gli elettori di sinistra che non votano PD di essere la causa della vittoria di Berlusconi mi pare equivalga affrontare il problema dal punto di vista sbagliato.

La strategia politica del PD e' semplicemente inesistente. L'apparenza e' che la dirigenza del PD sacrifichi (dolosamente o colposamente) ogni proposito di governo per conservare la poltrona. Qualunque nuova proposta viene sistematicamente eliminata dalla scena politica, o relegata a ruoli minori, quando invece il buon senso suggerirebbe a chi perde di farsi da parte, per evitare di perdere di nuovo (vedi per esempio Ignazio Marino segato alle primarie, o, prima ancora, Debora Serracchiani che non si presenta nemmeno perche' Franceschini pone il veto). Il nuovo, nel PD, rimane ai margini, perche' il vecchio, pur perdente, non si vuole fare da parte.
I valori della sinistra non sono adottati dal PD. In Piemonte Mercedes Bresso non difende le rivendicazioni del popolo No-TAV, come ci si aspetterebbe da un partito di sinistra (e quindi i No-TAV finiscono per votare Cinquestelle, con effetti devastanti: Cota al governo del Piemonte).
Per sentire dal PD una netta presa di posizione contro il nucleare si e' dovuto aspettare il disastro di Fukushima.
Gli operai della Fiat che protestano contro l'accordo scandalo con Marchionne rimangono orfani di una controparte politica.
E si potrebbe continuare. Il popolo non e' piu' rappresentato dalla politica. L'unico partito che, all'apparenza, tende a soddisfare le esigenze del popolo e', paradossalmente, la Lega. Che pero' si limita a promettere (senza poi mantenere) di riempire la pancia dei propri elettori, non di soddisfarne i valori valori.

E allora, a me pare che il vero problema non sia stabilire dove finiscano i voti di Sinistra: se nell'astensione o nei partiti minori, ma piuttosto capire perche' non finiscano orgogliosamente nel PD, che dovrebbe essere il recipiente naturale.

Stanotte ho avuto un incubo. Sono Bersani, ed vado al ristorante. Sulla porta leggo il regolamento della serata: "I segretari di partito mangiano gratis - verranno pesati prima e dopo la cena e quello che avra' mangiato di piu' si portera' via l'Italia in premio". Entro e noto Berlusconi che si sta gia' sbafando una fiorentina da due chili.
Dopo aver registrato ufficialmente il mio peso, mi siedo un po' piu' in la' e, ordino al cameriere una fiorentina da due chili anch'io. Me la faccio portare insieme ad un piatto vuoto. Quando sono servito, taglio la bistecca in due. Ne metto una meta' sul piatto vuoto, che ripongo sul tavolo vicino e comincio a mangiare l'altra meta'.
Ora, potremmo pure discutere se e' piu' etico che Grillo si mangi il mio avanzo, se e' meglio buttarlo nel cassonetto dell'umido, oppure se magari non sarebbe meglio che quel bel pezzo di carne non si animasse improvvisamente di vita propria e cercasse di saltarmi in bocca, ma la si veda come si vuole, la conclusione di questa storia e' che dopo la cena, al netto del peso iniziale, io peso un chilo meno di berlusconi, e lui se ne va a casa con il premio.
Poi, certo, me ne vado a casa anch'io soddisfatto: mi sono mangiato un chilo di ottima fiorentina a sbafo. Tanto, a farne le spese, non saro' certo io! E la prossima volta faro' in modo di essere di nuovo io, il segretario del partito, che' cosi' mangio ancora a ufo.

Le regionali in Piemonte furono emblematiche.
Una grossa fetta dell'elettorato piemontese era profondamente contrario alla realizzazione del tratto di TAV in Val di Susa, tanto da condizionare il voto proprio su quell'argomento.
Le alternative erano Cota (Lega), favorevole alla TAV, Bresso (PD), pure favorevole alla TAV, anche se in modo meno evidente, Davide Bono (Cinquestelle), contrario alla TAV e altri candidati che non menziono.
Data la vicinanza dei pronostici tra Cota e Bresso, per un elettore che si riconoscesse nella sinistra, votare Bono o non votare sarebbe stato controproducente, perche' avrebbe favorito Cota. Bono non aveva alcuna chance di vincere, e quindi il voto a lui sarebbe stato inutile. Quindi non c'era alcuna alternativa reale: bisognava votare per la TAV.
Avrebbe potuto vincere Bresso, invece di Cota, ma i lavori per la TAV non si sarebbero fermati.
Io, invece, credo che un candidato debba rappresentare i valori di colui che lo dovrebbe votare. Se un candidato non raggiunge la vittoria, vuol dire che non rappresenta i valori della maggioranza degli elettori. Secondo me e' giusto che non vinca.
Non e' un gioco d'azzardo il cui premio in palio e' fare quel che si vuole. In democrazia bisognerebbe che i governanti facciano quel che i cittadini vogliono. E quindi che i candidati promettano di fare quel che la maggioranza dei cittadini vorrebbero che venisse fatto. E i cittadini piemontesi di sinistra, potenziali elettori della Bresso, la TAV non la volevano. Secondo me, se la Bresso avesse fatto proprie le rivendicazioni dei movimenti No-TAV avrebbe vinto le elezioni. Bono non avrebbe preso un voto e Cota se ne sarebbe andato a casa.
Quindi verrebbe da concludere che la candidatura di Bresso e' stata la causa della sconfitta della sinistra in Piemonte.
E non fu solo la Bresso ad essere sconfitta, ma anche chi l'ha votata con convinzione e chi l'ha votata come "voto utile" ("utile"? Il voto utile e' solo quello che vince!). In pratica la strategia fallimentare di Bresso ha tradito i suoi elettori. Dare la colpa a Grillo o a Bono mi pare davvero sintomo di incapacita' di analizzare criticamente la sconfitta.

Domani spero che vinca Pisapia a Milano. Mi pare che rappresenti il popolo della sinistra, anche se non ho i sondaggi in mano.

lunedì 28 marzo 2011

C'e' guerra e guerra...?

Il post precedente voleva parlare in generale di guerra, e non di questa in particolare. In effetti, come dice Artemisia,un mio difetto e' che parlo troppo di massimi sistemi. Tuttavia ritengo che sia impresa troppo difficile riuscire a costruirsi una legge morale partendo dalla valutazione dei casi particolari senza poi astrarne una regola che si pretende valida per tutti i casi in cui se ne riconoscono affinita'. Il procedimento e' farsi una opinione sui casi particolari ed estendere una legge universale per poter decidere la propria opinione prima che sia troppo tardi, la prossima volta che ne capitasse l'occasione.
Mi pare sia cosi' un po' per tutti. L'importante, credo, e' che si dia spazio ad eventuali casi particolari che sfuggano alla categorizzazione, perche' il mondo e' sicuramente piu' vario del nostro modello mentale di esso.
In altre parole (scusate la divagazione) la mia opinione che ho tentato di descrivere nel post precedente era basata sul concetto generale di guerra, non sull'intervento in Libia. E pero', per dir la verita', questo caso non fa affatto eccezione, mi pare.

Quello che volevo dire e' una cosa molto semplice, e mi pare non molto contraddicibile, proprio per la sua estrema linearita'.
Partirei dal presupposto che nessuno, sano di mente, giustificherebbe la guerra, intesa come imposizione violenta di un ideale, di un concetto, di un punto di vista, o di qualunque soluzione ad una domanda che ammetta risposte alternative.
Insomma, dove c'e' una controversia, nessuna persona sensata direbbe che la violenza sia la soluzione migliore da intraprendere per risolverla. Anche se, per la verita', in alcuni (molti) casi e' la soluzione piu' facile, e quella piu' spesso adottata. E cosi' il compagno di classe grosso e muscoloso ottiene la merendina dal mingherlino cosi', semplicemente perche' a seguito di un rifiuto di questa logica, ad un possibile scontro quello che si farebbe piu' male e' il mingherlino
Nella nostra cultura diremmo che ognuno ha diritto alla propria merendina, qualunque cosa significhino l'aggettivo "propria" e il sostantivo "merendina", e nel caso ci sia squilibrio generato da una ingiusta distribuzione di merendine o comunque da pretese accampate da taluni compagni, la violenza non sia l'arma da auspicare per ristabilire l'equilibrio.
Questo credo che lo pensino tutti, dai piu' pacifisti ai piu' guerrafondai.

Poi pero' secondo me si puo' dividere il mondo dei sani di mente in due categorie (del tutto artificiose!: non si tratta di un tentativo, da parte mia, di mettere etichette, ma semplicemente di un modo per descrivere le mie valutazioni in merito al problema della guerra).
1) la prima categoria e' di quelli che rifiutano la guerra. I pacifisti ad oltranza. Quelli che pensano che la soluzione migliore non sia mai quella dell'intervento armato, e che ad esso ci sia sempre una alternativa. Che pensano che se si giunge alla necessita' della guerra, l'unico motivo e' che una alternativa non e' stata perseguita, e si ha ancora l'intenzione dolosa di non perseguirla.
2) la seconda e' di quelli che, pur (auspicabilmente) pensando che la guerra sia sempre un male, pur pensando che la pace sia una situazione di equilibrio migliore della guerra, ammettono che in taluni casi la guerra sia un male minore rispetto ad una situazione deteriorata, o addirittura che l'equilibrio pacifico sia ottenibile solamente dopo una fase di guerra (si spera limitata nel tempo).

In altre parole i due casi li possiamo semplificare cosi':
1) sempre e solo la pace
2) pace quasi sempre, tranne qualche caso in cui non e' possibile.
Trascurerei menti deviate che considerino altre posizioni che non ricadano in queste categorie.

Ora, direi di chiamare (per comodita') la posizione 1 quella dei pacifisti, la 2 quella dei mmmmh.... quasi-pacifisti.

Quello che mi chiedo e' quale possa essere il rigore logico dei quasi-pacifisti.
Supponiamo che ci sia il solito prepotente grande e grosso che vuole le merendine dai compagni di classe. Evidentemente le vuole perche' in cuor suo crede che sia morale averle. Pensa che sia giusto che lui, grande e grosso, si meriti tante merendine, mentre certi compagni piccoli e rachitici non se le meritino e non ne abbiano veramente bisogno. Il nostro prepotente si definisce un pacifista. Ed in effetti riesce ad ottenere le merendine senza nemmeno chiederle, semplicemente grazie al suo involontario aspetto esteriore minaccioso.
I compagni mingherlini, del resto, anche se ritengono sia giusto che ognuno conservi la propria merendina indipendentemente dalla stazza fisica, pur non avendo mai visto il prepotente menare le mani, lo temono, e per non rischiare gli cedono la merendina, piccolo pegno da pagare per conservare tutte le ossa al loro posto.
Poi pero' un bel giorno un mingherlino si sveglia storto, e quando arriva a scuola non cede la sua merendina di sua sponte al prepotente. Il prepotente, piu' sorpreso che adirato, gli chiede delucidazioni. Il mingherlino gli risponde cantandogliela in rima, che non e' giusto che finisca per rinunciare alla merendina, e quindi non intende sottomettersi. Il prepotente non si converte alle ragioni del mingherlino, e si genera quindi un conflitto, perche' sia il prepotente sia il mingherlino pensano di aver diritto alla merendina. Il prepotente, magnanimo, propone di dividerla a meta', ma il mingherlino si rifiuta di nuovo.
Be', pensa il prepotente. Credo nella pace, ma ammetto eccezioni, e questa e' un'eccezione al normale andamento del mondo. Spacca la faccia al mingherlino e si sbafa la merendina in questione, ristabilendo l'ordine morale della propria coscienza applicato al mondo.

In altre parole, la regola che adotta il nostro prepotente e' che non bisogna mai ricorrere alle mani, salvo in quei casi in cui non si riesce ad ottenere i propri scopi (secondo la sua visione giusti) in altro modo.
Personalmente trovo che quelle eccezioni vanifichino lo spirito pacifista generale. E' chiaro che nei casi in cui le controversie si possono risolvere pacificamente, risolverle pacificamente sia la strada giusta. Il punto e' decidere come risolvere le controversie quando queste non abbiano una cosi' chiara soluzione pacifica. Una posizione come "se me la dai con le buone bene, altrimenti te la prendo con le cattive" mi pare esattamente agli antipodi del pacifismo.

Ora, mi si dira', sto paragonando il prepotente agli insorti libici e ai loro alleati e, peggio ancora, sto paragonando Gheddafi al mingherlino rachitico che vuole difendere la propria merendina. Lo so, e' una visione un poco deviata, ma l'ho fatto apposta. E' una parabola e come tale deve provocare almeno un po'.
Il punto e' che ci sono in questo caso, come credo fermamente in tutti i casi di guerra, nessuna eccezione, due (o piu') fazioni che la pensano in modo fermamente diverso, essendo reciprocamente consapevoli di questa diversita' morale, e tuttavia credendo nella correttezza della propria posizione in modo sincero. Imporre una posizione sull'altra significa in ogni caso attribuire un valore morale inferiore a quella che soccombe. Farlo con la violenza significa sostenere che la violenza sia il criterio di decisione morale suprema. Esattamente il metodo che io tenderei ad attribuire al "guerrafondaio".

Se poi l'uso della violenza e' la questione controversa stessa, la guerra, come soluzione, risulta ancora piu' evidentemente contraddittoria. Ridurre all'impotenza con la violenza il dittatore perche' usa la violenza per ridurre all'impotenza e' come condannare se stessi prima ancora di agire. Senza poi contare la domanda se abbia un senso imporre la pace con la guerra.

Parlando poi di questa guerra in particolare, direi che non si discosta da tutte le altre guerre moderne. Cioe', si sostiene un regime autoritario che schiaccia la popolazione per pura convenienza economica. E, come spesso accade, il fatto che quel regime sia autoritario non e' affatto accessorio, perche' in questo modo il vantaggio economico e' piu' controllabile. In altre parole si sostiene un dittatore che accentri il potere economico di una nazione a scapito della popolazione. Poi, alla prima scintilla, e' lecito fare voltagabbana e combattere la suprema ingiustizia. E non sto parlando solo del Facciadimerda che ha baciato la mano a Gheddafi, prostrando tutta l'Italia ai suoi piedi, non molto tempo fa, ma di tutta la storia di quel dittatore, da quando e' salito al potere quarant'anni fa. Tutti noi (e non solo l'Italia) l'abbiamo sostenuto semplicemente perche' lui ci dava il petrolio. Non solo sostenuto, anche rifornito di tutti quei mezzi che sono serviti per realizzare quel regime autoritario di cui parlavo sopra. Poi, a un bel momento gli abbiamo voltato le spalle. Verrebbe quasi da pensare che difettiamo di coerenza, e che i veri motivi non siano esattamente quelli di proteggere quella povera popolazione.
Si potrebbe poi discutere se sganciargli le bombe sulla testa significhi esattamente proteggerli.

Francamente penso che Gheddafi sia da eliminare. Magari non fisicamente, ma almeno renderlo impotente. Anche questo penso che non sia appropriato, perche' se lui non vuole cedere il potere spontaneamente, l'unico modo di prenderglielo e' la violenza - anche senza finire per ammazzarlo. Ma penso che questa sia l'estrema ratio per risolvere una questione che si e' creata per colpa nostra. Si e' preso un burattino, lo si e' protetto fino ad ora, adesso che non serve piu' lo si costringe all'impotenza. E si sostiene che questo ultimo atto sia dettato da quei principi morali che fino a poco fa non prendevamo nemmeno in considerazione.
Sono poi pure convinto che sia molto piu' facile stanare e tagliare le ali Gheddafi che bombardare la Libia. Penso che in questo caso (come avviene in molti casi) le vie diplomatiche non si sia voluto percorrerle e si continui a non volerle percorrere (da parte dell'Italia, in quanto interlocutore privilegiato ma incapace, ma anche dell'Europa e dell'America).

Mi si dira' che il punto non sono le motivazioni specifiche di chi decide la guerra, ma se, almeno come effetto collaterale, non si finisca per agire in modo giusto pur perseguendo interessi che di etico non hanno niente. Mmh... non credo di condividere questa posizione, ma... tant'e'!
Quello che mi fa dubbio e' che se anche ammettessimo questo principio, cioe' che questa guerra si e' resa necessaria per incapacita' della nostra politica e diplomazia di sistemare le cose prima che si girasse la boa del non-ritorno, ebbene, dovremmo, ammettendo di avere sbagliato in questo caso, provvedere che non si sbagli piu' in futuro. E invece la storia mi pare ripetersi sempre uguale a se stessa. Se il mondo occidentale avesse imparato dall'errore in Iraq, in Afghanistan e in mille altre guerre in precedenza, allora avrebbe dovuto provvedere con armi pacifiche a fare in modo che non si arrivasse alla crisi libica. Imparando dalla crisi libica, non mi risulta che i governi stiano facendo alcunche' per evitare altro spargimento di sangue futuro.

Dire che la guerra e' inevitabile, che non c'e' alternativa nonostante la soluzione non ci piaccia e' pura retorica. Molto di piu' che dire che la guerra non puo' risolvere le controversie.