giovedì 18 settembre 2014

Difesa a oltranza dell'articolo 18

Mica tutti i lavoratori sono coperti dall'articolo 18 ne' da altre forme di protezione del loro posto di lavoro. Per esempio l'artigiano idraulico che ho chiamato l'altro giorno per aggiustare una perdita in bagno non ha il lavoro protetto dall'articolo 18. Se io lo chiamo perche' ho la perdita lui lavora. Ma se io la perdita non ce l'ho non lo chiamo, e lui non lavora e non percepisce un euro. E' uno svantaggio rispetto al mio lavoro, perche' quando c'e' lavoro per me, lavoro. Quando ce n'e' poco lavoro meno, ma devo comunque stare qui le mie otto ore e lo stipendio lo percepisco lo stesso. Naturalmente se le condizioni si fanno piu' critiche intervengono gli ammortizzatori sociali eccetera eccetera, ma sta di fatto che il datore di lavoro non mi puo' licenziare senza giusta causa, perche' c'e' l'articolo 18.
In ogni caso non preoccupatevi, il mio idraulico non e' che muore di fame. In realta' il mio idraulico percepisce un reddito molto maggiore del mio, ed io mi sono fatto il culo cosi' in universita' per farmi una cultura che mi servisse per la mia professione, mentre lui potrei definirlo semianalfabeta.
Accetto pero' questa cosa: il diritto ad essere coperto dall'articolo 18 me lo sono acquisito comprandolo con una parte di reddito. In altre parole e' un'assicurazione che ho pagato (salata, per giunta). Avrei potuto fare il lavoratore autonomo e il mio reddito sarebbe stato molto maggiore. Ma se per caso si fosse entrati in un periodo di crisi del mio settore, probabilmente avrei lavorato molto meno, e quindi guadagnato molto meno. L'articolo 18 serve a proteggere il lavoratore dalle bizze del mercato del lavoro, dalla carica delle vacche grasse e dalla fame di quelle magre.

Poi c'e' tutta una categoria di lavoratori che non sono coperti da articolo 18, ma che, di fatto, sono a tutti gli effetti lavoratori dipendenti. Sono diverse forme contrattuali, pur legali, come, ad esempio, la finta Partita IVA. Cito questa forma perche' anche io, nella mia storia lavorativa, in tempi non sospetti, ho dovuto piegarmi ed accettare queste condizioni. Ci avevo la mia brava partita IVA e fatturavo regolarmente la mia prestazione di lavoro a tutti i clienti che avevo. Uno. Sempre quello. Che mi faceva lavorare per 10 ore al giorno, niente ferie pagate, niente certezza per il futuro se non quella sancita da una stretta di mano elargita calorosamente in un periodo di vacche grasse. Difficile capire il livello del mio reddito. Si tratta di quasi venticinque anni fa. Allora si pagava in lire e con duecento lire si prendeva un cono gelato due gusti.

Pero' una cosa la posso dire: Quando mi sono licenziato e me ne sono andato sbattendo la porta dopo un anno che vanamente chiedevo che la promessa di essere assunto a tempo indeterminato venisse finalmente onorata, sono andato a lavorare per una azienda che mi ha subito assunto a tempo indeterminato, per uno stipendio netto annuale che era di gran lunga inferiore alla retribuzione che fatturavo in un anno al netto del 740. Nonostante cio' ho cambiato, perche' ritenevo che il "posto fisso" fosse comunque meglio del ricatto implicito. Ho pagato salato il mio passaggio ad una attivita' lavorativa protetta dall'articolo 18. E quando ho cominciato, non ci sono mai uscito. Ho cambiato posto di lavoro da allora, ma me ne sono ben guardato dall'accettare un altro posto che non mi offrisse la stessa certezza per il futuro. E' un diritto che mi sono conquistato.
Mi e' andata bene, perche' sono stato favorito nel trovare il modo per conquistarmelo dal periodo particolarmente fiorente di vacche grasse (circa 17 anni fa).

Ora sembrerebbe che quel diritto me lo vogliano improvvisamente negare.

Ebbena, questo mi sembra assolutamente una pretesa priva di ogni buon senso.

Tanto per cominciare vorrei dire due paroline a quei lavoratori che non sono gia' oggi coperti dall'articolo 18 e che trovano ingiusto che io invece lo sia.

Con coloro che ragionano cosi' e che appartengono alla prima categoria (cioe' quelli che non sono lavoratori dipendenti perche' hanno SCELTO di non esserlo) sono particolarmente arrabbiato.
Quando io ho chiuso la partita IVA e sono andato a lavorare come dipendente, come dicevo sopra, ho rinunciato a parte del mio reddito per avere la protezione dell'articolo 18. In quei tempi c'era un mio amico-collega con le stesse condizioni lavorative, che ha fatto la scelta opposta. Ha deciso di mantenere la sua partita IVA e di diventare un vero lavoratore autonomo. Cioe' di procacciarsi altri clienti, oltre a quello per cui lavoravamo, e di aumentare il prezzo delle sue prestazioni in base a usuali leggi di marketing e di domanda/offerta. Il datore di lavoro, almeno per un po', e' stato costretto a dare piu' soldi a quel mio amico nonostante avesse ridotto notevolmente il tempo che dedicava a quell'azienda. Dopo un po' il mio amico si e' fatto un giro di clienti e ha chiuso il contratto con quell'azienda. Quel mio amico ha accumulato soldi durante il periodo di vacche grasse. Se li meritava, che' era bravo. Ma anch'io ero bravo. Lui pero' si e' riuscito a comprare una Porsche, e io no (non che avessi mai avuto voglia di comprarne una, ma se ne avessi avuto voglia non ne avrei avuto i soldi per farlo). Poi le vacche grasse sono finite, ma non so che fine ha fatto il mio amico. Ci siamo persi definitivamente di vista prima. Ora io dico. E' vero che i lavoratori autonomi come quel mio amico non sono tutelati come me dall'articolo 18. Ma e' anche vero che in tutti questi anni sono stati pagati profumatamente per aver rinunciato a quella tutela. Hanno fatto le cicale? Tutto loro diritto, ma ora non pretendano di avere la dispensa piena come noi formichine.

Piu' solidale mi sento nei confronti di chi invece ha una partita IVA finta, cioe' e' a tutti gli effetti lavoratore dipendente, ma vive sotto la spada di Damocle del licenziamento facile ed immediato. Condizione particolarmente critica, coi tempi di vacche magre che corrono.
Ebbene, se ci fosse un'azienda che offrisse loro un lavoro analogo a tempo indeterminato (peccato che al momento non ci sia!), loro potrebbero mandare a fanculo il datore di lavoro ricattatore e accettare, seppure con una riduzione di reddito, il lavoro protetto. Io glielo consiglierei.
Il punto e' che se noi eliminassimo il concetto di articolo 18, quell'alternativa non ce l'avranno mai. Non avranno mai l'ambizione di trovarsi un posto a tempo indeterminato protetto dal licenziamento selvaggio, perche' il licenziamento selvaggio diventerebbe la regola. Non succederebbe nemmeno in tempi di auspicate vacche grasse, e loro continuerebbero a viverla con una spada di damocle appesa sopra la cucuzza. E per di piu' il loro lavoro come lavoratore autonomo (seppur finto) varrebbe di meno, perche' la situazione secondo cui un lavoro protetto dall'articolo 18 paga di meno di uno non protetto, vista dall'altro lato della medaglia, dice che un lavoro non protetto paga di piu'. In altre parole se oggi per farti accettare un lavoro a partita IVA (non protetto) ti devono pagare di piu' di un equivalente lavoro protetto, domani il lavoro protetto non ci sara' piu', e quindi non ci sara' alcun motivo per cui ti dovrebbero pagare di piu' (ragionamento ovviamente che varra' solo quando le vacche torneranno a ingrassare - ma ci possiamo sperare ancora?).
Il ragionamento della riduzione dei diritti in favore di un aumento di flessibilita' e' quello di dare accesso al mio posto di lavoro a chi ha un contratto di lavoro non tutelato. Per farlo bisogna che il mio datore di lavoro fosse libero di licenziarmi per assumere uno di loro al mio posto. Quindi, per poter offrire il mio posto a uno di loro bisogna fare che il mio posto di lavoro non sia piu' tutelato. E se cosi' diventasse, che attrattiva avrebbe il mio posto di lavoro nei confronti di un posto di lavoro equivalente che gia' oggi non e' tutelato? Apriamoci gli occhi, cavoli. Quello che manca, in un periodo dove ci sono piu' lavoratori di posti di lavoro e' la tutela del lavoratore, non la flessibilita'. Quindi estendiamo le tutele a chi lavora e non ce le ha, non riduciamole a chi ce le ha!

Infine una cosetta anche ai datori di lavoro.
Ci avete offerto un contratto che noi abbiamo sottoscritto. Nel contratto c'era scritto l'articolo 18, e in fondo alla pagina, prima dello spazio per apporre la nostra firma, c'era scritto l'ammontare del nostro stipendio.
Noi abbiamo firmato, e anche voi l'avete firmato. E' un contratto come un altro, e le due firme indicano chiaramente che entrambe le parti sono costrette a rispettare le clausole scritte nel contratto. Se non ci fosse stata la clausola dell'articolo 18 noi non avremmo firmato, a meno che voi aveste corretto al rialzo la cifra del nostro stipendio. Ora che abbiamo firmato, quel contratto non puo' essere modificato solo perche' siamo in tempi di vacche magre, perche' quella firma noi l'abbiamo posta proprio perche' prevedevamo l'eventualita' di entrare in un periodo di vacche magre.

Insomma, e' un po' come un'assicurazione. Ti dicono: paghi 10 euro all'anno e io ti risarcisco l'intero costo dell'auto dovesse pioverci un elefante sopra. Naturalmente e' molto improbabile che un elefante piova proprio sopra alla mia auto, quindi sembrerebbe che l'assicurazione stia facendo un affare. Io pero' mi sento piu' tranquillo a sottoscriverla, perche' ho sempre avuto una fobia degli elefanti che piovono sopra le auto.
Ecco, dopo un po' un elefante piove sopra la mia auto. In quel momento l'assicurazione non puo' dirmi che non puo' risarcirmi il danno accampando la scusa che l'assicurazione contro la pioggia di elefanti vale solo quando non piovono elefanti. Non c'era scritto nel contratto. Nel contratto c'era scritto esattamente che nella pur remota possibilita' che piovesse un elefante sulla mia auto, l'assicurazione avrebbe dovuto risarcirmi.

E' la stessa cosa. E' chiaro che il datore di lavoro non mi licenzierebbe mai quando c'e' lavoro per me. Io non ho mai pensato che l'articolo 18 servisse per proteggere il mio posto di lavoro quando c'era lavoro per me. Ho invece pensato che l'articolo 18 servisse per fare in modo che il datore di lavoro non mi licenziasse quando invece avrebbe voluto licenziarmi, cioe' quando il lavoro scarseggia.
Passo la mia vita portandomi l'ombrello sul braccio tutto il giorno come un londinese e poi quando piove... Eh, no, caro Dario, ti diamo il permesso di aprire l'ombrello solo quando non piove. Allora ditemelo prima, che l'ombrello lo lascio a casa. Che' portarmelo dietro chiuso e' una rottura anche per me, e aprirlo quando non piove non serve a niente!

martedì 16 settembre 2014

Monica Dellavedova Quintet - Cartoons in Jazz


In questo video alcuni stralci dello spettacolo "Cartoons in Jazz", del Monica Dellavedova Quartet/Quintet.
Sabato sera, ad Azzate (Va), ho assistito ad una replica. Un concerto straordinario. Un grande jazz con molto buon gusto. Unica critica che si poteva trovare riguarda il pubblico. A volte la musica risultava un po' dispersiva perche' credo sia molto difficile riuscire a coinvolgere il pubblico in una situazione del genere (una serata organizzata dal Comune all'aperto, nel giardino di una villa storica, a ingresso libero). E se il pubblico non e' coinvolto, il jazz ne patisce. Mi sono immaginato lo stesso concerto in un pub, o in un teatro, e mi sa che sarebbe venuto decisamente molto meglio: in questi altri contesti il pubblico e' piu' consapevole. Non e' che ci va solo perche' non c'e' niente di meglio in TV.

Bravissimi gli strumentisti. Mi e' piaciuto particolarmente il solo di batteria in Crudelia Demon. Naturalmente mi e' piaciuta ogni singola nota suonata dal pianista (e' anche il mio strumento e quindi riesco ad apprezzarlo piu' degli altri strumenti - certo non ho mancato di provare molta invidia riguardo al livello tecnico).

Ma soprattutto Monica e' stata meravigliosa.

Conosco Monica da circa trent'anni. Non la vedo da almeno venti. Abbiamo suonato insieme in tre occasioni, quando per qualche ragione la cantante del mio gruppo era assente. Suonando con lei sono rimasto letteralmente senza fiato. Ricordo anche qualche lacrima che il mio orgoglio maschile mi costringeva a nascondere. Con lei c'era un feeling tale che mi sembrava di avere, oltre alla mia tastiera, la sua voce come se fosse un altro strumento tra le mani. Una protesi del mio corpo.
Era come se fossi io stesso a cantare, salvo che lei canta divinamente, mentre io non ne sono mai stato capace.

Sono passati vent'anni, non abbiamo piu' suonato assieme, ne' ci siamo rivisti, ognuno per la sua strada. L'ho ritrovata per caso su Facebook. E io che ho sempre sostenuto l'inutilita' dei social network!

Ora, dopo vent'anni che non suono sto cercando faticosamente di rimettermi in pista. Ma di questo parlero' in un altro post.