lunedì 6 febbraio 2012

Che monotonia!

Io credo che, interpretando letteralmente la sua espressione, il Professore abbia ragione. Cioe', almeno per quanto riguarda i colletti bianchi, sia sbagliato rincorrere un "posto fisso" tipo quello che si usava negli anni settanta. Se si ha a che fare con la tecnologia, bisogna inseguirne l'evoluzione, e progredire significa anche accettare di cambiare posto di lavoro.
E non e' che e' cosi' da adesso. Io, per esempio, mi sono laureato nel 94 ed e' stata mia intenzione fare cosi' fin dall'inizio.

Senza contare i lavoretti saltuari, le ripetizioni di matematica e i miseri proventi dei concertini con la band, utili a malapena per pagarmi le vacanze, il primo lavoro e' arrivato dopo neanche tre mesi dalla laurea (per la verita' un po' tardiva di qualche anno fuori corso).
Avevo trovato un annuncio sulle pagine del Corriere (allora usava cosi', il venerdi' il quotidiano era riempito per meta' dagli annunci di lavoro!). Ho inviato un curriculum, mi hanno invitato per un colloquio e mi hanno preso.  Il posto era in Viale Monza, a Milano, a circa 25km da casa (abitavo ancora coi miei). Ci impiegavo un'ora con i mezzi, ma in auto ci avrei impiegato ben di piu'. Avevo un contratto di collaborazione, il lavoro non mi piaceva ed ero sottopagato, ma si sa, quando sei neolaureato ti va bene anche essere sfruttato, pur di cominciare. E poi, visto che stavo ancora coi miei, la paga misera e insicura non minava la mia sopravvivenza. Pero', neulaureato si', ma disilluso ancora no. Aspiravo a qualcosa di piu', sia dal punto di vista retributivo-contrattuale, sia da quello professionale. Si sa, da giovani si pensa di poter toccare il cielo con un dito, ma non mi pareva di peccare di eccesso di autostima considerando quel primo posto di lavoro di gran lunga intellettualmente dequalificante.

E quindi, dopo sei mesi di ricerche ho trovato qualcosa di meglio, o cosi' mi pareva (gia', da un paio di colloqui non e' che si possa davvero capire la qualita' del lavoro che viene offerto, bisogna andare un po' sulla fiducia e sull'istinto). Sono finito a lavorare a Guanzate, in provincia di Como. 28km da casa, 45 minuti in auto. Nessun mezzo pubblico a disposizione. Il contatto con l'azienda me l'aveva fornito mio fratello (collaborava con loro per lavoro). Intendiamoci, non fui raccomandato. Ho utilizzato mio fratello solo come fonte di informazione. Mi hanno assunto con un contratto di formazione-lavoro di un anno e mezzo. Ci sarebbe stato molto da crescere professionalmente, non fosse che, a causa della riorganizzazione imposta dalla Casa Madre britannica, non avessero deciso di spostare le attivita' di ricerca e sviluppo nel Regno Unito. Gli uffici, non i lavoratori. Per quelli non era previsto alcun trasferimento. Poco male: il mio contratto era in scadenza e quindi mi si poteva lasciare in mezzo a una strada senza stipendio anche se non avessi trovato un altro posto prima.
Che ho trovato, annunciando le dimissioni con un preavviso di sole due settimane. E poco e' valso dire che furono loro a intimarmi di andarmene: le altre due settimane di mancato preavviso mi costarono una penale pari a un mese di stipendio. Evidentemente a loro piaceva giocare con quello che ritenevano bruscolini: la mia vita.

Sono quindi tornato a lavorare a Milano, in viale Fulvio Testi. Di nuovo ho utilizzato il Corriere come musa ispiratrice. 20km da casa. Prendevo i mezzi (oltre un'ora e mezza): li preferivo perche' cosi' evitavo il traffic-rage della rush hour, anche se con l'auto avrei risparmiato mezz'ora.
Partita IVA. Finta, naturalmente, perche' facevo lavoro da dipendente, dieci ore al giorno per cinque giorni alla settimana con una quota lorda mensile che, al netto delle tasse, faceva qualcosa meno dello stipendio che prendevo prima in contratto di formazione. Niente malattia. Niente ferie, salvo confidare nella magnanimita' del datore di lavoro, dovessi averne avuto bisogno. Dodici mensilita' secche e la sicurezza di continuita' basata sul rapporto di fiducia forzato.
Il lavoro era confinato in un campo per me molto interessante: l'utilizzo industriale della modellazione geometrica tridimensionale. Il gruppo di lavoro pero' era organizzato molto male, il che limitava notevolmente le mie ambizioni in spirito di ricerca e innovazione e reprimeva quindi un po' i miei stimoli.
Un anno esatto e poi, visto che il mio costante impegno e la mia sempre crescente produttivita' non veniva riconosciuta da pari aumenti retributivi ne' le mie richieste di formalizzazione e regolarizzazione contrattuale venissero prese in minima considerazione, dovetti sbalordire il datore di lavoro annunciandogli le mie dimissioni. Credetti nella sua sincerita' quando, per non perdermi, mi offri' un contratto a tempo indeterminato e un non meglio specificato aumento salariale, ma ormai la decisione era presa.

Raccontai che sarei andato a lavorare per una ditta che faceva strumenti musicali elettronici (in effetti feci un colloquio alla Korg di Osimo, ma purtroppo mi scartarono). Finii invece in una azienda per la quale facevo un software molto simile. Per questo dovetti mentire.
Mi avevano infatti fatto firmare un "patto di non concorrenza", cioe' un documento su cui dichiaravo che, dopo la cessazione del rapporto lavorativo, non avrei potuto lavorare per un concorrente. L'amico avvocato mi disse che quel documento non aveva alcuna validita', ma pensai fosse opportuno comunque nascondere i fatti miei a riguardo.

Ora vorrei aprire una parentesi a riguardo. Chiunque abbia mai cercato lavoro si sara' reso conto che si puo' schematicamente dividere gli annunci di lavoro tra profili junior e senior. Per i primi non si richiede esperienza, ma si offre stipendi contenuti. Per i secondi si offrono retribuzioni migliori ma richiede esperienza. Esperienza, ovviamente, nel campo di interesse dell'azienda che assume. Non e' che per fare l'elettricista devi avere esperienza come prestinaio o massaggiatore orientale, no, devi avere esperienza come elettricista, se no che senso ha? Se uno si impegna a rifiutare proposte di lavoro da parte di un concorrente, significa che bisogna che scarti qualunque annuncio per profili senior, perche' se l'esperienza che richiedono e' nello stesso campo, si tratta di una azienda concorrente. Ma nemmeno quelli che ricercano junior ti assumerebbero, perche' non sei junior e quindi si suppone che tu pretenda una retribuzione migliore, anche se sarebbe giustificata da una esperienza in qualcosa che a loro non serve. Insomma, firmare quel documento singifica rinunciare a trovare un altro lavoro.
Insomma, se sei un bravo cuoco con esperienza maturata in un ristorante, firmando un patto di non concorrenza dichiari che alla cessazione del rapporto lavorativo, non andrai a lavorare in un'altro ristorante. Quindi non puoi sfruttare la tua esperienza. Puoi invece andare a fare il sarto senza esperienza per un importante stilista, ma se lo facessi, l'importante stilista, conoscendoti come cuoco esperto, avrebbe l'innato sospetto che la scelta di quel posto di lavoro e' solo un ripiego. Quindi se vuoi farti valere nel mondo del lavoro, firmando quel documento rendi la tua esperienza non solo inutile, ma dannosa.
Chiusa parentesi.

Il contatto per il nuovo lavoro fu la mia amica M, compagna di corso, con cui condivisi molti momenti al CNR, che frequentai per la stesura della tesi di laurea. Il lavoro di M al CNR era finanziato da questa azienda, che, dopo la laurea, la assunse. Anche qui, nessuna raccomandazione, anche se credo che la stima professionale di M nei miei confronti fu tenuta in considerazione.
Il posto di lavoro era a San Mauro, nell'hinterland torinese. Impensabile fare il pendolare dalla provincia di Milano, quindi affittai un monolocale vicino al centro di Torino. Il posto di lavoro era a circa 10km. Con i mezzi, dalla zona ad alta concentrazione abitativa in cui vivevo, alla zona dall'impronta industriale in cui lavoravo, paradossalmente ci si impiegava oltre due ore e mezza (evidentemente chi pianifica la mobilita' pubblica non si aspetta che la gente che vive nelle zone residenziali lavori nelle zone industriali!!!), quindi me la facevo in auto in 20 minuti. Nella bella stagione me la facevo spesso in bici in 40 minuti.
Fu il mio primo contratto a tempo indeterminato. Il lavoro era interessantissimo e professionalmente qualificante, quindi mi accontentai di uno stipendio piuttosto contenuto, con l'illusione di aumentarlo col tempo, anche in considerazione del fatto che il mio rinnovato entusiasmo avrebbe portato frutti tangibili anche per l'azienda.
Nonostante l'esplicito apprezzamento per il mio lavoro, pero', cio' non avvenne, e mi trascinai questa situazione per sei anni. E avrei continuato ben piu' a lungo, se avessi valutato soltanto l'aspetto professionale in cui sentivo di poter dare ancora molto (continuando ad accrescermi intellettualmente). Ma in me si era ormai sviluppata la consapevolezza che il lavoro non serve per migliorare la propria vita, ma per migliorare quella del datore di lavoro. E che la retribuzione non e' proporzionale al valore di cio' che si produce, ma al valore di mercato del lavoratore. Il mercato delle vacche.
E allora, arrabbiato e disilluso, decisi di sfruttare questa logica, visto che il mondo del lavoro offriva ancora qualcosa.

Trovai una nuova offerta allettante tramite un contatto lavorativo, e, forte di una lettera d'assunzione, cominciai a contrattare. Giocavo col fuoco. Comunicavo l'offerta della nuova azienda alla vecchia che mi faceva un'offerta migliore per trattenermi. Comunicavo l'offerta della vecchia azienda alla nuova che la migliorava per convincermi ad andare da loro.
Ero ormai convinto di cambiare, ma continuai a mercanteggiare peggio che al suk. Fino a che la situazione era diventata ridicola. Rifiutai un'offerta di aumento da parte della vecchia azienda pari al doppio della mia retribuzione precedente. Il che fa concludere che per sei anni mi hanno pagato la meta' del mio valore. Nella nuova azienda mi offrivano di piu'. Anche inquesto caso non svelai la mia destinazione perche' mi fecero firmare anche stavolta un patto di non concorrenza, anche se a rigore le due aziende non erano in concorrenza.
Fu un cambiamento totale di vita, perche' contemporaneamente mi trasferii, mi sposai e cambiai posto di lavoro.
Il lavoro e' meno interessante di prima, ma la zona dove abito e' bellissima, sulle catene ininterrotte di monti a seconda dello sporgere o del rientrare dei quali il ramo del lago di Como che volge a Mezzogiorno e' tutto a seni e golfi. Per un primo periodo vivemmo in un appartamento in affitto, poi aprimmo un mutuo per l'acquisto della casa dove ora abitiamo. A dieci chilometri dal posto di lavoro. I mezzi sono improponibili (e' uno degli svantaggi di vivere in un piccolo villaggio montano), ma in auto ci metto dieci minuti. Ultimamente, con la bella stagione, me la faccio con la bici, affrontando la salita con l'aiuto del motore elettrico di cui e' fornita.
Una cosa negativa e' che in questa zona, per il lavoro che faccio, non ci sono alternative. Il che ha bloccato un po' le mie aspirazioni ad un giusto cambiamento, non solo per rompere la monotonia (!), ma anche per migliorare la mia condizione lavorativa e umana. Sono oltre otto anni che sto qui, e i continui ricatti da parte del datore di lavoro si sono enormemente accentuati da quando c'e' crisi, cioe' da quando il mio valore, nel mercato delle vacche, e' diminuito drasticamente (c'e' crisi di lavoro -> parecchi lavoratori sono a spasso -> il lavoro costa meno all'azienda).
Ora sono al limite della sopportazione. La mia condizione lavorativa ha risvolti addirittura psicosomatici. E' ora di cambiare. Altro che monotonia!
Eppure non ci riesco, a cambiare. In totale avro' fatto un centinaio di colloqui. Qualche decina negli ultimi tre anni, da quando mi sto impegnando seriamente per cambiare. In questi tre anni avro' spedito qualche migliaio di curricula. L'unica offerta concreta che ho avuto e' della stessa azienda per cui ho lavorato, anni fa, con Partita IVA (vedi sopra), e me ne sono andato sbattendo la porta. Stavolta mi offrivano un tempo indeterminato (sveglia!!!), con uno stipendio netto che, in un anno, sarebbe stato di un migliaio di euro inferiore al mio attuale, a quarante chilometri di distanza da percorrere in auto oppure coi mezzi (oltre un'ora in ogni caso). Neanche da dire che l'ho rifiutato.
Ed oggi sono in ballo per un altro posto di lavoro che sembra concretizzarsi. In settimana devo fare il secondo colloquio. Ma sta a ottanta chilometri di distanza. Nell'ora di punta ci si mette oltre due ore, con l'auto o con i mezzi. Naturalmente ci sono molte soluzioni a questo problema e, forse, se si dovesse concretizzare, me ne farei piacere una. Il lavoro sembra davvero interessantissimo e, visto da questo punto di vista, non avrei alcuna esitazione. Anche l'ambiente sembra bello, per quanto e' difficile valutarlo quando sei un semplice ospite per un colloquio.

Quando parlano del posto fisso per tutta la vita a me viene da ridere. Ho quarantasette anni e il posto di lavoro piu' duraturo e' quest'ultimo che segna il record di otto anni e qualche mese. Non e' che io mi ci aggrappi ed eviti l'idea di un cambiamento. E' che non ci sono opportunita'. Un po' come andare in un paese sottosviluppato in africa e sorprendersi quando vedi un bambino denutrito che mangia un pezzo di pane secco e sporco. Sempre pane secco e sporco: che monotonia!

E' giusto cambiare lavoro per migliorarsi professionalmente. Trovo molto positiva l'ambizione di crescita intellettuale. Se per "posto fisso" si intende un lavoro in cui si continua a fare sempre le stesse cose, finendo per non accrescere il proprio bagaglio ne' quello della societa', allora mi pare che si tratti di un disvalore da rifuggire. Ma se per "posto fisso" si intende uno scudo contro i ricatti del mondo del lavoro, che tende a far pesare i danni delle vacche magre sempre e solo sui lavoratori, senza pero' compensarli coi benefici di quelle grasse, be', mi pare che aspirarne ad uno sia sacrosanto.

E poi e' anche discutibile l'ipotesi stessa che cambiare lavoro costituisca una ricchezza intellettuale per se ed economica per la societa'. Nel mio caso la controprova e' il passaggio dal penultimo all'ultimo posto di lavoro. Prima ci mettevo la testa ed ero orgoglioso delle soluzioni intelligenti che riuscivo a produrre. E, mi si perdoni la superbia, posso anche dire che uno in grado di trovare soluzioni altrettanto intelligenti era difficile da trovare. E quindi il mio lavoro si poteva definire molto produttivo. Cambiare per andare nel mio attuale posto di lavoro ha significato reprimere le mie capacita' e le mie ambizioni, e quindi sono diventato un po' meno produttivo, anche se piu' remunerato.
Probabilmente il sistema paga di piu' gli inesperti o comunque quelli che la testa non ce la devono mettere. Quelli in gamba invece sono spesso tagliati fuori, soprattutto in un periodo di crisi. Questo e' il problema, in Italia. Che l'imprenditore non e' in grado di innovare, e quindi non e' spinto a scegliersi il lavoratore in gamba, poiche' un qualunque pistoletto neolaureato costa di meno.

Se io fossi sicuro di trovare un altro posto di lavoro in breve tempo, che mi consentisse di accrescermi e di rendermi piu' utile alla societa', be', se fosse cosi', rinuncerei volentieri all'articolo 18.